WHAT DISTINGUISHES OUR PARTY: The political continuity which goes from Marx to Lenin, to the foundation of the Communist Party of Italy (Livorno, 1921); the struggle of the Communist Left against the degeneration of the Communist International, against the theory of „socialism in one country“, against the Stalinist counter-revolution; the rejection of the Popular Fronts and the Resistance Blocs; the difficult task of restoring the revolutionary doctrine and organization in close interrelationship with the working class, against all personal and electoral politics.

 

 

(Da: I Comunisti al Parlamento - Contro il Fascismo e contro le Opposizioni, Libreria del PCd'I, 1925)

 

Repossi. Parlo del processo verbale della seduta del 13 giugno. Se le dichiarazioni mie, voglio dire del Gruppo Comunista, saranno giudicate riferirsi alla situazione attuale, ciò dipende dal fatto che la situazione di oggi non è che lo sviluppo di quella già costituita al 13 giugno. Se avessi presenziato a quella seduta, avrei dovuto rilevare ai deputati Rocco, Soleri e Delcroix che una Camera di fascisti e di sostenitori del fascismo, una Camera eletta da Cesare Rossi e da Marinelli, non può commemorare Giacomo Matteotti senza commettere una profanazione vergognosa.

Presidente. On. Repossi, la richiamo all'ordine!

Repossi. Queste cose vi devo ripetere oggi. Non si tratta di responsabilità politiche del regime, il quale non ha oggi appoggio all'infuori degli squadristi che gridano: "Viva Dumini"; né si tratta soltanto delle responsabilità morali di chi quotidianamente considera legittima la violenza sanguinosa che si esercita sopra i lavoratori. Si tratta in questo caso di responsabilità personali dirette, le quali non si eludono con l'imporre le dimissioni di un sottosegretario né con la mostruosa contraddizione della rinunzia al Ministero degli Interni.

Presidente. Non posso farla continuare di questo passo!

Repossi. Da che mondo è mondo, agli assassini e ai complici degli assassini non è mai stato permesso di commemorare le loro vittime. Su quest'assemblea grava il peso di una correità.

Presidente. La richiamo all'ordine per la seconda volta.

Repossi. Noi vi ritorniamo oggi soltanto per ripetere contro di voi il nostro atto d'accusa, e nulla c'impedirà di tornarvi ogni volta che riterremo necessario servirci di questa tribuna per indicare agli operai e ai contadini d'Italia la via della liberazione dal regime di reazione capitalistica che voi rappresentate. Se noi fossimo stati presenti il 13 giugno avremmo dovuto e voluto dire che il delitto Matteotti appariva il determinatore di una situazione appunto perché in realtà ne era l'indice raccapricciante.

Presidente. On. Repossi, lei non parla sul processo verbale...

Repossi. Il delitto Matteotti è stato il segno spasmodico del fallimento fascista.

Greco. Così non si può proseguire!

Repossi. Già allora era ben chiaro che si può fiaccare per un istante un'organizzazione proletaria, ma che non si può fiaccare a lungo il proletariato, perché ciò vuol dire ridurre tutto il paese alla schiavitù.

Capanni (scatta e grida). Non ti tocco perché mi fai schifo!

Repossi. Già allora potevamo dirvi, ed oggi vi ripetiamo, che il proletariato non dimentica nemmeno le responsabilità di coloro che hanno preparato e fiancheggiato il fascismo, di chiunque ne ha favorito l'avvento al potere, di chiunque: fosse pure l'invocato "chiunque" del Quirinale. Già allora noi prevedevamo che, restringendo la lotta antifascista alla ricerca di un compromesso parlamentare, il quale lascia intatta la sostanza reazionaria del regime di cui soffrono e contro cui imprecano in tutta Italia milioni di operai e contadini, non si poteva giungere a nessun esito positivo. Si recava anzi aiuto al fascismo. Noi non viviamo nell'attesa di un compromesso borghese per il quale la borghesia invoca oggi l'intervento del re, per il quale la socialdemocrazia riformista e massimalista fa gettito della lotta di classe e auspica una "amministrazione superiore ed estranea agli interessi di ogni parte", cioè una dittatura militare che dovrebbe impedire l'avvento inesorabile della dittatura del proletariato.

Il centro della nostra azione è fuori di quest'aula, fra le masse lavoratrici le quali sempre più profondamente si convincono che la fine della vergognosa situazione in cui il paese è tenuto da voi, dai vostri sostenitori filofascisti e dai vostri alleati e fiancheggiatori democratici e liberali, si avrà soltanto col ritorno in campo e col prevalere sopra di voi della loro forza organizzata. Noi additiamo anche da questa tribuna ai lavoratori qual è la via che essi devono seguire: essa è la via della resistenza e della difesa fisica contro la vostra violenza, della lotta incessante verso le conquiste sindacali, dell'intervento organizzato contro il rincaro della vita e contro il precipitare della crisi economica; essa è la via della costituzione dei Comitati operai e contadini. Attorno ai Comitati operai e contadini si devono raccogliere tutti coloro che vogliono lottare contro di voi con armi adeguate. Dai Comitati operai e contadini devono partire le sole parole d'ordine che contengono una soluzione radicale della situazione presente: Via il Governo degli assassini e degli affamatori del popolo. Disarmo delle camicie nere. Armamento del proletariato. Instaurazione di un Governo d'operai e contadini. I Comitati operai e contadini saranno la base di questo Governo e della dittatura della classe lavoratrice.

E ora, commemorate pure Giacomo Matteotti, ma ricordatevi che il grido lanciato dalla madre del Martire è diventato anche il grido di milioni di lavoratori: "Assassini! Assassini!".
 

 

 

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