WHAT DISTINGUISHES OUR PARTY: The political continuity which goes from Marx to Lenin, to the foundation of the Communist Party of Italy (Livorno, 1921); the struggle of the Communist Left against the degeneration of the Communist International, against the theory of „socialism in one country“, against the Stalinist counter-revolution; the rejection of the Popular Fronts and the Resistance Blocs; the difficult task of restoring the revolutionary doctrine and organization in close interrelationship with the working class, against all personal and electoral politics.

 

Speravamo anche noi, e si capisce il perché, che non si facessero. Ma bisogna deporre oramai ogni speranza. Le elezioni si fanno. Che cosa farà il Partito Comunista?

A parte tutte le modalità che gli organi competenti potranno stabilire secondo alcuni compagni occorrerebbe porsi la domanda: deve o no il Partito Comunista partecipare alle elezioni? Secondo me questo problema non ha ragione di esistere. Per chiare ragioni di disciplina tattica internazionale il Partito Comunista deve intervenire, ed interverrà, nelle elezioni.

Non intendo dire che il problema della tattica elettorale sia nel seno della Internazionale Comunista definitivamente risolto colle decisioni del secondo Congresso. Credo anzi che il numero di noi astensionisti sia aumentato in molti Partiti Comunisti occidentali, e non è escluso che la questione ritorni al prossimo terzo Congresso.

Se questo avvenisse io sarei per le stesse tesi che presentai e che furono bocciate al Congresso dell'anno scorso: per il migliore svolgimento della propaganda comunista e della preparazione rivoluzionaria nei paesi "democratici" occidentali, nell'attuale periodo di crisi universale rivoluzionaria, i comunisti non dovrebbero partecipare alle elezioni. Ma finché vigono le tesi opposte di Bucharin e Lenin, per la partecipazione alle elezioni e ai parlamenti con direttive e finalità antidemocratiche e antisocialdemocratiche, bisogna partecipare senza discutere, e procurare di attenersi a queste norme tattiche. Il risultato di questa azione fornirà nuovi elementi per giudicare se noi astensionisti avevamo torto o avevamo ragione.

C'è qualche compagno astensionista - ed anche qualcuno elezionista - che dice: ma non si può trovare nelle tesi di Mosca un appiglio per astenersi dalle elezioni senza incorrere in indisciplina? A ciò rispondo anzitutto che l'astensionismo che cerchiamo di fare passare dalla porta non deve entrare dalla finestra, a mezzo di pretesti e sotterfugi. E poi tutte le circostanze in cui ci troviamo in questa campagna elettorale concorrono a rendere più chiara la applicazione delle tesi di Mosca, nello spirito e nella lettera, nel senso della partecipazione.

Rileggano i compagni tutti gli argomenti di Lenin e Bucharin, e vedranno che essi corrispondono meglio a circostanze di reazione e di conculcamento della libertà di movimento del partito. Rileggano gli argomenti recati da me, e vedranno che essi si riferiscono soprattutto a situazioni di "democrazia" e libertà - senza, intendiamoci, che io li pensi superati nelle circostanze attuali. Quando Lenin disse: abbiamo partecipato alla Duma più reazionaria, io risposi che il vero pericolo è nei parlamenti più liberali. Lenin è convinto che un partito veramente comunista può e deve partecipare, ma ammette con me il valore controrivoluzionario della partecipazione nelle condizioni del 1919, con un partito non comunista.

Le due tesi che parlano della eventualità che i Partiti Comunisti boicottino il parlamento e le elezioni, si riferiscono a circostanze nelle quali "si possa passare alla lotta immediata per prendere il potere". Vorrei che così fosse, ma così oggi non è: non è escluso che domani la situazione si capovolga; ci vorrebbe allora poco a mandare all'aria, colla baracca parlamentare, i comitati elettorali che il nostro Partito avrà costituiti.

A Mosca, se avessi accettato i suggerimenti di alcuni compagni, avrei potuto forse ottenere un "allargamento" di quelle eccezioni, ed oggi si potrebbe, forse forse, applicarle - sebbene noi siamo, ripeto, nelle condizioni specifiche pensate da Lenin per l'utile partecipazione. Ma invece preferii presentare conclusioni nettamente opposte: ciò ha condotto al benefizio di avere direttive chiare e sicure e di non sentirsi "serrateggiare" col noiosissimo argomento delle "speciali condizioni". La centralizzazione è il cardine del nostro metodo teorico e pratico: come marxista, prima sono centralista e poi astensionista.

Per altre tesi non si fece così. Si rabberciarono alcuni punti per soddisfare piccole opposizioni (ma più grandi della nostra pattuglietta di astensionisti, coûte que coûte). La conclusione nella applicazione di queste tesi, che hanno un po' smarrita una precisa direttiva teorica, non la ritengo favorevole per la efficacia e sicurezza della azione rivoluzionaria.

Noi astensionisti fummo i soli che contrapponemmo alle tesi proposte da uomini, la cui autorità era ed è giustamente formidabile, precise conclusioni in contrario. (Tacevano intanto molti critici della ventesima giornata, che nulla seppero opporre a conclusioni contro cui si sono poi ribellati). Noi astensionisti dobbiamo anche essere quelli che daranno l'esempio della disciplina, senza sofisticare e tergiversare.

Il Partito Comunista, dunque, non ha ragione di discutere se andrà o no alle elezioni. Esso vi deve andare. Con quali modalità sarà opportunamente deciso. Con quale obiettivo lo dicono le tesi di Mosca, e si riassume in poche parole: spezzare il pregiudizio parlamentare e quindi accettare se invece dei voti si vogliono contare le legnate e peggio. Spezzare il pregiudizio socialdemocratico, e quindi volgere le batterie, con inflessibile intransigenza, contro il partito socialdemocratico. Gli astensionisti sono al loro posto.

 

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