WHAT DISTINGUISHES OUR PARTY: The political continuity which goes from Marx to Lenin, to the foundation of the Communist Party of Italy (Livorno, 1921); the struggle of the Communist Left against the degeneration of the Communist International, against the theory of „socialism in one country“, against the Stalinist counter-revolution; the rejection of the Popular Fronts and the Resistance Blocs; the difficult task of restoring the revolutionary doctrine and organization in close interrelationship with the working class, against all personal and electoral politics.

 

 

(Da: Tesi di Lione, Parte III - Questioni italiane, cap. 6, in L'Unità, 12-26 gennaio 1926)

 

(...) La partecipazione alle elezioni del 1924 fu atto politico felicissimo, ma non così può dirsi della proposta dell’azione comune fatta dapprima ai partiti socialisti, e della etichetta assunta di "unità proletaria", come fu deplorevole la tolleranza eccessiva di certe manovre elettorali dei terzini. Più gravi problemi si posero a proposito della crisi manifestatasi con l’eccidio Matteotti.

La politica della Centrale poggiò sulla assurda interpretazione che l’indebolimento del fascismo avrebbe messo in moto prima le classi medie e dopo il proletariato. Ciò significa da una parte sfiducia nella capacità classista del proletariato, rimasta vigile anche sotto la soffocazione dell’armatura fascista, e sopravalutazione dell’iniziativa delle classi medie. Invece, a parte la chiarezza delle posizioni teoriche marxiste al riguardo, l’insegnamento centrale dell’esperienza italiana è quello che dimostra come i ceti intermedi si lasciano spostare e si accodano passivamente al più forte: nel 1919-20 al proletariato; nel 1921-22-23 al fascismo; dopo un periodo di emozione chiassosa ed importante nel 1924-25, oggi nuovamente al fascismo.

La Centrale errò nell’abbandono del parlamento e nella partecipazione alle prime riunioni dell’Aventino, mentre avrebbe dovuto restare al parlamento con una dichiarazione di attacco politico al governo e una presa di posizione immediata anche contro la pregiudiziale costituzionale e morale dell’Aventino, che rappresentò il determinante effettivo dell’esito della crisi a favore del fascismo. Non è da escludersi che ai comunisti sarebbe potuto convenire di abbandonare il parlamento, ma con fisionomia propria e solo quando la situazione avesse permesso l’appello all’azione diretta delle masse. Il momento era di quelli in cui si decidono gli sviluppi delle situazioni ulteriori; l’errore fu quindi fondamentale e decisivo agli effetti di un giudizio sulle capacità di un gruppo dirigente, e determinò una utilizzazione sfavorevolissima da parte della classe operaia prima dell’indebolimento del fascismo e poi del clamoroso fallimento dell’Aventino.

La rientrata nel parlamento nel novembre 1924 e la dichiarazione di Repossi furono benefiche, come lo dimostrò l’ondata di consenso proletario, ma troppo tardive. La Centrale oscillò lungamente e si decise solo per la pressione del partito e della Sinistra. La preparazione del partito fu fatta sulla base di istruzioni incolori e di un apprezzamento fantasticamente erroneo delle prospettive della situazione (relazione Gramsci al Comitato Centrale, agosto 1924). La preparazione delle masse, indirizzata non alla visione del crollo dell’Aventino, ma a quella della sua vittoria, fu ad ogni effetto la peggiore attraverso la proposta del partito alle opposizioni di costituirsi in Anti-parlamento. Questa tattica anzitutto esulava dalle decisioni dell’Internazionale, che mai contemplarono proposte a partiti nettamente borghesi; di più essa era di quelle che portano fuori dal campo dei princìpi e della politica comunista, come da quello della concezione storica marxista. Indipendentemente da ogni spiegazione che la Centrale poteva tentare di dare sui fini e sulle intenzioni che ispiravano la proposta, spiegazione che avrebbe sempre avuto limitatissima ripercussione, è certo che questa presentava alle masse l’illusione di un Anti-Stato opposto e guerreggiante contro l’apparato statale tradizionale, mentre, secondo le prospettive storiche del nostro programma, solo base di un Anti-Stato potrà essere la rappresentanza dello sola classe produttrice, ossia il Soviet.

La parola dell’Anti-parlamento, poggiante nel paese sui comitati operai e contadini, significava affidare lo stato maggiore del proletariato ad esponenti di gruppi sociali capitalistici, come Amendola, Agnelli, Albertini, ecc.

Al di fuori della certezza di non arrivare a tale situazione di fatto, che si potrebbe chiamare solo col nome di tradimento, il solo presentarla come prospettiva di una proposta comunista significa violazione dei princìpi e indebolimento della preparazione proletaria (...)

 

 

 

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