DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Le masse proletarie italiane sono vivamente emozionate e percorse da un caldo slancio di solidarietà per le vittime delle persecuzioni politiche, per gli incarcerati in seguito a reati di pensiero e ad accuse di complotto contro lo Stato, o comunque sottratti con un qualsiasi pretesto alla circolazione e alla loro at­tività di agitatori politici.

Malatesta, Borghi, Quaglino, detenuti da mesi, con la chiara intenzione di porli nella impossibilità di proseguire l'opera loro di dirigenti del movi­mento anarchico e sindacalista, hanno ini­ziato lo sciopero della fame per ot­tenere che ad essi venga al­meno applicata la normale procedura di cui la stessa legalità borghese dovrebbe garantirli.

Questa notizia ha giustamente commosso i lavoratori di ogni tendenza e sfumatura politica che spontaneamente tendono ad esercitare una azione ef­ficace per ottenere la liberazione dei perseguitati. Naturalmente il metodo borghese adottato con par­zialità troppo sfacciata di assolvere ad occhi chiusi tutti i bian­chi che nella loro azione antirivoluzionaria trovino comodo ol­tre­passare i limiti delle leggi e di cogliere ed inventare pretesti inammissibili per mettere dentro i sovversivi, ha causato un vi­vo fermento che tende ad organizzarsi in una agitazione genera­le nella quale la solidarietà dei comu­nisti non può mancare.

Noi d'altra parte siamo in larghissima misura vittime di questi metodi della reazione. Molteplici sintomi lasciano imma­ginare che questa si prepara a fare del nostro partito il suo pre­ferito bersaglio, che la lotta tra noi ed essa diverrà sempre più serrata.

Non faremo qui l'elenco dei nostri compagni arrestati e in mille modi perseguitati. In intere plaghe, in intere province im­perversa una vera orgia di persecuzioni contro i comunisti, le loro associazioni, le loro sedi, i comuni da essi amministrati. In molti posti i capi sono stati direttamente colpiti. Dobbiamo ri­cordare l'assassinio di Lavagnini? Dobbiamo rinnovare l'espres­sione della nostra indignazione per quanto si compie a danno di Tuntar e dei suoi compagni di Trieste, che anche stanno condu­cendo lo sciopero della fame? Dobbiamo narrare ancora la in­credibile odissea di Edmondo Peluso, oggi relegato senza motivo nello scoglio di Santo Stefano? Degli episodi di Milano[1] e del diretto attentato alle sedi del nostro partito e di tutti i nostri or­ganismi centrali diciamo, con serenità di spirito, altrove. I mille episodi di lotta contro il fascismo, dai nostri valorosamente so­stenuta, hanno lasciato strascichi di persecuzione. Un'altra figu­ra che i proletari italiani non devono dimenticare è quella di Ersilio Ambrogi di Cecina, uno dei nostri uomini più coraggiosi e coscienti, che è tuttora detenuto per i fatti di Cecina sotto la gravissima imputazione di omicidio; e al processo del quale si frappongono tutti i mille ostacoli procedurali in cui gli agenti del governo borghese sono provetti.

Si tratta dunque di manifestazioni di un fatto generale, che va anche al di là dell'adozione di un particolare indirizzo politi­co da parte di un go­verno.

Ed appunto il Partito Comunista vuole influire perché questo problema sia affrontato a sangue freddo e a ragion veduta, con tutto il corredo indi­spensabile della nostra esperienza critica e sulla traccia sicura dei nostri me­todi di azione, anziché affida­rne la soluzione, secondo il metodo tradiziona­le, alle facili in­fluenze del sentimentalismo, e ricadere in vecchissimi e de­plo­revoli errori.

Agitiamoci, sì; operiamo, sì, per ottenere l'obiettivo di reca­re il doveroso aiuto ai compagni nostri che più si sacrificarono, per restituire al movimento delle masse i suoi dirigenti. Ma evi­tiamo l'errore di considerare l'azione che questo risultato deve conseguire come cosa avulsa da tutto il restante quadro della nostra azione quale essa viene ad intrecciarsi con l'attuale situa­zione e le vaste e profonde cause che l'hanno determinata. È una illusione quella di credere che si possa indurre la classe dominante ed il suo governo a ritor­nare ad un regime normale, a rispettare quelle garanzie che i suoi istituti giuridici lasciano alla libertà di agire degli individui e delle collettività.

Non interpretiamo il problema come quello di riportare l'av­versario nella legge, nella sua legge. Questo vorrebbe dire avva­lorare l'illusione con­trorivoluzionaria che l'ambiente della legali­tà borghese si presti alla lotta di emancipazione delle masse, e se per poco nella nostra azione noi accettassi­mo di unirci a quei movimenti che hanno come loro patrimonio di teoria e di tattica quel fondamentale errore, noi rovineremmo tutta la nostra pro­pa­ganda tra le masse, noi cadremmo nell'equivoco di mostrare di assumere o di lasciare assumere l'impegno che, se la borghe­sia rispetterà i limiti delle sue leggi, noi faremo dal canto nostro altrettanto. Ciò vorrebbe dire che l'impe­rio dell'attuale sistema costituzionale è per noi una situazione desiderabile, vorrebbe di­re dimenticare che, secondo la critica marxista, la libertà che esso ostenta di concedere non è che una turlupinatura ed una ri­sorsa conserva­trice.

Ora, in bocca ai comunisti non devono trovarsi le frasi ste­reotipate e ri­dicole di libertà di opinione, di diritto individuale, e simili giaculatorie, care alla democrazia borghese e all'oppor­tunismo socialistoide. Noi dobbiamo anche evitare di incorag­gia­re la tendenza in taluni elementi, prossimi ai no­stri cugini sindacalisti ed anarchici, a cadere nell'abuso piccolo-bor­ghese di quelle frasi, credendo di fare con ciò del puro estremi­smo.

I comunisti sono su ben altro terreno. Essi sanno che nei limiti conven­zionali della legalità borghese non si ritornerà più. Essi dichiarano che la storia ha universalmente posto questo di­lemma: o se ne esce per realizzare la dittatura aperta della con­trorivoluzione, o per fondare la dittatura rivoluzio­naria del proletariato. Essi non si pongono come obiettivo di riaprire il pe­riodo dei rapporti normali, politici e giuridici - che sarebbe, ove non fosse assurdo, il periodo del ristabilimento pacifico dei poteri e dei privilegi capi­talistici - ma di sospingere il trapasso da esso al periodo del potere rivolu­zionario del proletariato. I comunisti non dicono alla borghesia: bada che se non rientri nella tua legalità, faremo la rivoluzione... per conseguirla. Essi si propongono invece di varcare i limiti del potere borghese con la loro azione rivoluzionaria. Chi, come i socialdemocratici, inten­de restare sul terreno delle lotte civili, non sarà mai un nostro alleato.

Per lottare contro i sistemi della reazione non c'è dunque altra via che organizzarsi per spezzarli, lottando contro di essa senza esclusione di colpi. Occorre dare alla nostra azione un an­damento che la renda indipendente dalle facili sanzioni del po­tere borghese, che colpisca più addentro e più si­curamente il sistema avversario. E quindi a ciò si ricollega tutto il problema del metodo rivoluzionario, nel quale noi non siamo coi social­democratici che credono di poter fare a meno dell'infrangi­mento della legalità borghese, non siamo coi libertari che credo­no che ad uno sforzo che infranga il vecchio si­stema non debba seguire il costituirsi di un nuovo sistema di potere, di or­ganiz­zazione disciplinata, di militarismo ed anche di polizia, ed anche di reazione contro la classe borghese.

Il problema delle vittime politiche e della lotta contro la reazione non è dunque problema incidentale e negativo, ma si riconduce al problema positi­vo e generale dell'azione contro l'attuale ordine di cose. Chi pensa che si possa affrontarlo al fianco dei socialdemocratici, lo pone in modo controri­voluzio­nario, ed opera con analogo effetto, anche se di quelli dice di essere agli antipodi.

Il partito comunista lotta contro la reazione perché lotta contro il potere borghese, anche quando questo non ecceda dalle sue funzioni "legali". Esso conduce questa lotta organizzando in tale direzione la coscienza e la forza proletaria; accettando di portarsi sul terreno della illegalità e della violenza, non perché l'abbia scelto la borghesia, ma perché è l'unico che con vantag­gio possa scegliere il proletariato per accelerare il dissolversi della legalità bor­ghese verso il momento in cui sulla sua disfatta si istituirà formidabile la le­galità proletaria, alla quale non oc­corre legare preventivamente le mani per velleità fraseologiche. Precisamente quindi tutte le ragioni per cui il Partito Comunista è sorto e quelle che lo conducono a fissare i suoi metodi, ven­gono in campo quando si pone il problema di affrontare la rea­zione. La reazione è il potere stesso della borghesia; mai ci tro­veremo di fronte l'avversario con diverse e più vulnerabili ar­mature.

È per questo che i comunisti scendono in lotta contro le prepotenze e le violenze avversarie con tutta la precisa fisiono­mia della loro organizzazione e della loro tattica di Partito.

 

 

Note:


 

 

1.    "...Il 20 e 21 marzo forze di polizia protette da un pomposo reparto di bersaglieri perquisi­vano e occupavano, per non restituirle che il 29 maggio, la sede centrale del partito a Milano (il ca­sello daziario o 'Palazzina' di Porta Venezia) procedendo all'arresto di un gruppo di militanti, specie della federazione giovanile, e sequestrando abbondante materiale di propaganda e di lavoro". Vedi "Storia della Sinistra" cit., vol. III pag 393.

 

 

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