DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

 

(« Il Soviet », n. 24 dell'1-06-1919)

 

Questo articolo presenta grande importanza perché precede di molto le polemiche che sorgeranno negli anni successivi nel seno della III Internazionale sulla tattica del fronte unico.

La Sinistra ha sempre respinto la formula demagogica dell'unità perché riteneva e ritiene che essa è gran parte della causa dei mali che affliggono l'azione di classe del proletariato.

Il preteso fronte unico rivoluzionario, cui sarà dedicato l'articolo successivo, si era presentato dapprima come rivendicazione dell'unità organizzativa tra le varie organizzazioni sindacali nazionali. Tale richiesta copriva palesemente quella di un blocco politico, che i comunisti non solo respingevano in quanto avrebbe compreso i socialdemocratici, ma anche in quanto volesse abbracciare i sindacalisti di sinistra e gli anarchici.

 

 

Una convinzione molto diffusa, perché rivestita dalle ingannevoli apparenze del solito buon senso, è quella che l'unità delle organizzazioni economiche del proletariato sia una condizione favorevole o addirittura indispensabile per il successo della Rivoluzione.

Si persegue quindi da molte parti la fusione dei grandi organismi sindacali esistenti in Italia.

Noi vogliamo esprimere il nostro pensiero al proposito, anche se ben differente dalle opinioni di molti compagni.

Vediamo in questa questione una questione essenzialmente politica.

L'auspicata unità corrisponderebbe alla fusione, al «blocco» di molte tendenze politiche che noi possiamo ridurre almeno a tre, contraddistinte da tale contenuto programmatico e tattico, che la loro confusione è non solo poco probabile, ma anche non desiderabile per la causa dell'emancipazione proletaria.

Un fascio delle forze sindacali del proletariato al di fuori dei dissensi politici sarebbe un fattore di nessuna efficacia rivoluzionaria, perché la dinamica della rivoluzione sociale esorbita dai limiti del sindacato professionale.

Le crisi di sviluppo della società, si presentino sotto l'aspetto evolutivo o rivoluzionario, hanno per attori i partiti politici nei quali si riflettono le classi sociali.

Negli organismi sindacali si riflettono invece solo le categorie professionali. L'uomo partecipa alla vita sociale entro limiti assai più larghi di quelli della sua opera professionale, ed anche i suoi rapporti strettamente economici non si limitano alla sua posizione di produttore, ma si estendono alle altre sue attività di consumatore, direttamente interessato a tutti gli altri rami della produzione e dell'amministrazione sociale.

Specie nei momenti di convulsione sociale, l'uomo fa valere con la sua azione politica i suoi interessi non quale membro di una categoria di produttori, ma di una classe sociale.

La classe deve considerarsi non come un semplice aggregato di categorie produttrici, ma come un insieme omogeneo di uomini le cui condizioni di vita economica presentano analogie fondamentali.

Il proletario non è il produttore che esercita dati mestieri, ma è l'individuo contraddistinto dal nessun possesso di strumenti di produzione, e dalla necessità di vendere per vivere l'opera propria. Potremmo anche avere un operaio regolarmente organizzato nella sua categoria, che sia contemporaneamente un piccolo proprietario agrario o capitalista; e questi non sarebbe più un membro della classe proletaria. Tal caso è più frequente che non si creda.

Non le confederazioni di organizzazioni di mestiere, ma i partiti socialisti comprendono dunque e rappresentano l'insieme di interessi e di tendenze storiche della classe lavoratrice.

La tendenza a sopravalutare l'azione dei sindacati è comune ai riformisti ed agli anarchici sindacalisti. Tale tendenza avrebbe voluto avvalorarsi dalle contemporanee esperienze di rivoluzioni comuniste. Ma oggi siamo abbastanza informati per provare quanto più volte abbiamo asserito: che cioè l'azione rivoluzionaria è diretta da un partito politico, e il nuovo regime di rappresentanza proletaria è essenzialmente politico.

Dalla storia delle recenti rivoluzioni risulta che esse hanno trionfato mediante l'affermazione su tutti gli altri partiti avversari del Partito Socialista Comunista, che, appoggiato da grandi masse proletarie, ha conquistato il potere ed ha formato i nuovi governi prima provvisori, poi definitivamente designati dal suffragio delle nuove rappresentanze.

Dai documenti sulle costituzioni delle repubbliche socialiste si rileva che queste rappresentanze non si fondano sul sindacato, la categoria professionale, la fabbrica, come molti si ostinano a rimasticare, bensì su circoscrizioni territoriali, che eleggono i propri delegati indipendentemente dalla professione degli elettori e degli eletti.

Nel nuovo assetto economico la proprietà e l'amministrazione di essa passano alla collettività, e non alle categorie produttrici.

I sindacati e le unioni professionali hanno un compito affatto secondario: possono far proposte sulla disciplina del lavoro e le trasformazioni tecniche, sottoponendo tali proposte alla sanzione del sistema politico rappresentativo ed esecutivo. Essi sono molto meno arbitri delle proprie aziende che non lo siano in regime capitalistico le cooperative di produttori - ed è notevolissimo che il Governo dei Soviet russi ha stabilito in linea di principio la socializzazione della stessa proprietà delle cooperative di lavoro.

Caratteristica essenziale del regime dei Soviet non é dunque quella di essere un governo delle categorie operaie, ma un governo della classe operaia, i membri della quale hanno l'esclusività del diritto politico negato invece ai borghesi. Quel tale operaio organizzato che fosse al tempo stesso un piccolo proprietario o un piccolo rentier non sarebbe elettore.

Questo concetto del governo di classe, della dittatura del proletariato, é la chiave di volta di tutta la visione marxistica del processo rivoluzionario.

Ridotta così alla sua vera importanza la funzione dei sindacati operai, il problema dell'unità proletaria si trasforma in quello della fusione delle correnti politiche, che reclutano i loro seguaci tra gli organizzatori e gli organizzati.

Ogni unificazione sindacale che non importasse questo blocco politico sarebbe assurda e fittizia.

La unificazione politica é poi un fatto ancor più difficile ed antitetico allo sviluppo delle condizioni favorevoli ad un'azione rivoluzionaria.

Le tre correnti fondamentali cui ci riferiamo sono: l'operaismo riformista; il sindacalismo anarchico; il socialismo massimalista.

Un tentativo di affasciamento di queste tre correnti l'abbiamo avuto a Bologna con la formazione di un comitato rivoluzionario nel quale entrano la Confederazione del lavoro, l'Unione Sindacale, il Partito Socialista Italiano, il Sindacato Ferrovieri e gli anarchici; e a questi comitati ci dichiariamo contrarissimi.

In un prossimo articolo svolgeremo le ragioni per cui riteniamo antirivoluzionaria la unione non solo di tutte e tre, ma anche di due sole di quelle tre tendenze politiche, di cui mostreremo l'inconciliabilità dei programmi.

È appunto nel periodo rivoluzionario che le differenze di programmi non possono e non devono essere superate da transitorie coincidenze in alcuni postulati di azione.

Ogni blocco ha valore negativo e tende ad attenuare l'azione dei movimenti che lo compongono. La dinamica dello sforzo rivoluzionario è invece opposta: in essa il Partito, che ha nelle sue concezioni e nel suo programma le vie delle effettive grandi determinazioni storiche, precisa la sua via di azione e di realizzazione, raccogliendo intorno a sé tutte le energie della classe che deve compiere la rivoluzione.

 

 

 

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