DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Nel congresso della Federazione giovanile socialista italiana tenuto a Bologna nel 1912, di cui abbiamo trattato nel testo che precede, si svolse una vivace lotta fra due correnti: una subiva le influenze della destra del partito che temeva la vivace azione dei giovani e li voleva ridurre ad una cerchia di attività «studiosa», condizione per acquistare il diritto a discu­tere le grandi questioni del movimento e le loro differenti soluzioni; l'altra poneva i giovani alla stessa altezza delle lotte politiche militanti più aperte ed accese, e vedeva in queste la sola preparazione di natura rivoluziona­ria. La corrente meno spinta fiancheggiava il lavoro per una liquidazione di un movimento di giovani con propria autonomia d'indirizzo, e per porre fine alla vivacissimo polemica del giornale della Federazione, «L’Avanguardia», che aveva risolutamente difeso la corrente rivoluzionaria: si era in terra emiliana, covo dell’organizzazione riformista che, sia pure con una linea seria e rispettabile e con primari risultati di organizzazione, contrastava ogni visione rivoluzionaria dei compiti del proletariato.

Una prima battaglia con votazione nominale dette vittoria ai sinistri. La corrente che voleva tenere l'ardore dei giovani sotto la remora di una minorità politica, e pretendeva che non si parlasse di «tendenze», cercò senza successo di non fare approvare l'indirizzo della Federazione e del gior­nale, ed era stata già battuta quando, alla fine del congresso, si venne al tema della «cultura». È vero che si decise di non procedere ad una seconda votazione, ma fu per chiare ragioni pratiche e per non revocare in dubbio il significato della prima. Non è quindi esatto che la tesi minimalista avesse incontrato maggiori simpatie.

Riportiamo i seguenti testi: 1) Conclusione dei cosiddetti «culturisti» e conclusione per la corrente di sinistra; 2) Lettere al periodico fiorentino «Avanguardia», diretto da Gaetano Salvemini, di due sostenitori delle tesi op­poste, provocate da un articolo di P. Silva apparso nel n. 44 del 12 ottobre di quel foglio, col titolo I giovani socialisti.

Il Salvemini, notoriamente socialista di destra, fece seguire le lettere da un commento che apprezzava l'importanza del tema e ne indicava i no­tevoli sviluppi futuri, non solidarizzando con una posizione veramente mar­xista, ma tuttavia diagnosticando coraggiosamente la corruzione del partito in termini che sarebbero validi ancor oggi.

Quello che preghiamo i lettori di notare è la tesi della corrente di de­stra («culturista»), che il movimento socialista debba tendere ad avere giovani proletari non solo istruiti nel senso «generico», ma anche in quel­lo del «perfezionamento professionale» per farne dei buoni produttori. In questa esigenza della cultura tecnica noi vedemmo una propensione alla collaborazione di classe e la rifiutammo con energia: i rivoluzionari che pre­parano al padrone borghese il buon proletario dolce da sfruttare. Era una reazione degna dei cuori giovanili.

Oggi, oltre a confermarci che le argomentazioni partivano da genuina posizione marxista, possiamo verificare che si ebbe allora un manifesto avanti lettera dell’ordinovismo di marca torinese (le regioni mature: Piemonte, Reggiano, Parmense... covi dei vari immediatismi) e del sistema che vede il socialismo costruito entro la fabbrica e lo stato capitalista, nuova versione dell’opportunismo e del collaborazionismo di sempre.

La «invariante» dottrina di Marx permise di vedere il punto nello stes­so modo a cavallo di mezzo secolo. È questo che tutti i testi da noi recati convergeranno a provare.

Gramsci ha poi riconosciuto in Tasca (rappresentante della corrente «culturista») il precursore del suo sistema, malgrado il successivo dissidio.

1.          CONCLUSIONI DEI RELATORI AL CONGRESSO GIOVANILE DI BOLOGNA.

Mozione della corrente di destra su «educazione e cultura» (1)

«Il Congresso: ritenendo che, specie nell’attuale periodo che il movi­mento socialista attraversa, alla Federazione giovanile spetti di compiere soprattutto una funzione preparativa svolgendo un'opera di educazione e cultura volta al triplice scopo:

1)       di ingentilire ed elevare l'anima e la mente della gioventù proleta­ria, con una istruzione generica, letteraria e scientifica;

2)       di dare al Partito militi consapevoli e sicuri;

3)       di creare competenti organizzatori e buoni produttori, mediante una opera di elevamento e perfezionamento tecnico professionale, senza il qua­le non sarà realizzabile la rivoluzione socialista;

stabilisce che l'azione degli organi giovanili s'informi a tali criteri di­rettivi e a tale uopo delibera di trasformare l'«Avanguardia» in organo pre­valentemente di cultura, affidandone la redazione a compagni giovani e adulti di maggior competenza;

invita i circoli giovanili:

1)       a curare la iscrizione dei giovani socialisti nelle associazioni di cul­tura;

2) a istituire periodicamente, nei centri più importanti, d'accordo col Partito, corsi di lezioni, che abbiano per oggetto oltre la cultura stretta-mente socialista, la diffusione di nozioni storiche, economiche e sociologi­che, e la trattazione dei problemi inerenti alla organizzazione operaia;

3) a istituire, e dare sviluppo alle biblioteche sociali;

4) ad adottare, quale mezzo efficace di reciproca istruzione, il sistema delle conversazioni e letture».

(1)     «L’Avanguardia», n. 257 del 15-9-1912. [Titolo nostro]

Mozione della corrente di sinistra sullo stesso tema

«Il Congresso considerando che in regime capitalista la scuola rappre­senta un'arma potente di conservazione nelle mani della classe dominante, la quale tende a dare ai giovani un'educazione che li renda ligi e rasse­gnati al regime attuale, e impedisca loro di scorgerne le essenziali contrad­dizioni, rilevando quindi il carattere artificioso della cultura attuale e de­gli insegnamenti ufficiali, in tutte le loro fasi successive, e ritenendo che nessuna fiducia sia da attribuirsi ad una riforma della scuola nel senso lai­co o democratico;

riconoscendo che scopo del movimento nostro è contrapporsi ai sistemi di educazione della borghesia, creando dei giovani intellettualmente liberi da ogni forma di pregiudizio, decisi a lavorare alla trasformazione delle basi economiche della società, pronti a sacrificare nell’azione rivoluzionaria ogni interesse individuale;

considerando che questa educazione socialista, contrapponendosi alle sva­riate forme di individualismo in cui si perde la gioventù moderna, partendo da un complesso di cognizioni teoriche strettamente scientifiche e positive giunge a formare uno spirito e un sentimento di sacrificio;

riconosce la grande difficoltà pratica di dare alla massa degli aderen­ti al nostro movimento una base così vasta di nozioni teoriche, che esige­rebbe la formazione di veri e propri istituti di cultura, e mezzi finanziari sproporzionati alle nostre forze; e, pure impegnandosi a dare l'appoggio più entusiasta al lavoro che intende fare in questo campo la Direzione del P.S., ritiene che l'attenzione dei giovani socialisti debba piuttosto essere volta alla formazione del carattere e del sentimento socialisti;

considerando che una tale educazione può essere data solo dall’am­biente proletario quando questo viva della lotta di classe intesa come pre­parazione alle massime conquiste del proletariato, respingendo la defini­zione scolastica del nostro movimento e ogni discussione sulla sua così detta funzione tecnica, crede che, come i giovani troveranno in tutte le agi­tazioni di classe del proletariato il terreno migliore per lo sviluppo della loro coscienza rivoluzionaria, così le organizzazioni operaie potranno attin­gere dalla attiva collaborazione dei loro elementi più giovani e ardenti quella fede socialista che sola può e deve salvarle dalle degenerazioni utili­tarie e corporativiste;

afferma in conclusione che l'educazione dei giovani si fa più nell’azione che nello studio regolato da sistemi e norme quasi burocratiche e in con­seguenza esorta tutti gli aderenti al movimento giovanile socialista:,

a) a riunirsi molto più spesso che non lo prescrivano gli statuti, per discutere tra loro sui problemi dell’azione socialista, comunicandosi i ri­sultati delle osservazioni e delle letture personali e abituandosi sempre più alla solidarietà morale dell’ambiente socialista;

b) a prendere parte attiva alla vita delle organizzazioni di mestiere, facendo la più attiva propaganda socialista fra i compagni organizzati, spe­cialmente diffondendo la coscienza che il Sindacato non ha per unico fine i miglioramenti economici immediati, ma é invece uno dei mezzi per la emancipazione completa del proletariato, a fianco delle altre organizza­zioni rivoluzionarie».

2. LETTERE DEI RAPPRESENTANTI DELLE DUE CORRENTI A «L’UNITÀ»

 

Lettera del rappresentante della corrente di destra (1)

Torino, 15 ottobre 1912.

Stimatissimo signor direttore,

mi permetta questi pochi appunti all’articolo del signor Pietro Silva sul Congresso Giovanile Socialista di Bologna. Ad altra volta il rispondere al quesito «se ci sono ancora nel Partito Socialista, in numero sufficiente, forze capaci di rinnovarsi e di rinnovare»; per ora noto alcune inesattez­ze, dovute al fatto che il Silva raccolse le sue impressioni dai resoconti dei giornali che, compresi quelli del Partito, sono stati proprio traditori verso il Congresso. È vero che l'Avanguardia Socialista minacciava di fi­schi quelli che volevano un movimento giovanile di preparazione, e ci chia­mava (o sapiente insulto!) bidellini. Ma bisogna pur notare due cose

1) che quel trafiletto era l'espressione personale di pochi guastati dall’am­biente romano, troppo impeciato di politica, e non della migliore; 2) che nessuno al Congresso, vista la serietà dei nostri intendimenti, si azzardò a voler rimpicciolire una questione, che involgeva tutto quanto l'indirizzo del movimento giovanile, nelle formulette del destrismo e del rivoluzio­narismo.

Debbo dichiarare che mai le mie parole, né quelle di molti altri che avevano le stesse convinzioni, furono accolte da quegli «ululati» di cui erroneamente parla la Giustizia. L'ordine del giorno «pro cultura» ebbe 2465 voti contro 2730: votazione che, mi pare, é abbastanza significativa, quando si consideri che influirono su di essa e l'affetto che lega i giovani al Vella, e preoccupazioni non del tutto sparite per le tendenze, e altri ele­menti estranei alla questione.

La discussione poi del 22 mattina, che passò quasi inosservata nei re­soconti, sulla cultura, dimostrò che vi sono moltissimi giovani a cui non manca la visione chiara delle esigenze che i tempi in cui viviamo impon­gono al movimento giovanile. I discorsi di Casciani e di Barni, tra gli altri, in risposta a quello del relatore [della sinistra] (il solo dei congressisti gio­vani e vecchi che abbia saputo dare una impostazione teorica, logica, alle diffidenze verso l'opera di cultura, ebbero tale efficacia di persuasione che il relatore stesso dichiarò di accettarne i criteri, purché non venisse votato nessun ordine del giorno. Poiché il consenso del Congresso alle idee espres­se dai giovani che desideravano portare il movimento nostro, per dir co­si, all’altezza dei tempi, fu tale che se avessimo avuto allora (eravamo al terzo giorno del Congresso) una votazione, la nostra corrente avrebbe avu­to netta prevalenza.

Ma a noi importava non l'«ordine del giorno», ma la cosciente ade­sione di quei giovani che, ritornando alle proprie sezioni, avrebbero ri­portato dal Congresso una visione più ampia, più elevata dei doveri e delle responsabilità loro.

Ho scritto questi appunti per toglier l'impressione, che balzava netta dalla lettura dell’articolo del Silva, che i sostenitori dell’«opera di cul­tura» siano stati pochi isolati che abbian parlato tra l'ostilità della mag­gioranza; laddove essi trovarono subito una larghissima corrente favore­vole ed ebbero i voti compatti delle regioni ove il movimento giovanile é più forte e più maturo: Piemonte, Reggiano, Parmense. Al Congresso non ci sentimmo soli: ebbimo modo anzi (e fu questo forse il maggior vantag­gio, che naturalmente i resoconti giornalistici non potevano notare) di co­noscerci e di affiatarci sul modo migliore per diffondere tra i giovani le nostre convinzioni.

«L’Unità», n 46 del 16-10-1912 [Titolo nostro]

Lettera del rappresentante della corrente di sinistra:

Napoli, 14 ottobre 1912.

Egregio signor direttore,

Confido che Ella vorrà concedermi poco spazio per rispondere ad un articolo di commento al recente Congresso Nazionale dei giovani soda­listi, apparso sul suo interessante periodico.

I rilievi del signor Pietro Silva, poco benevoli verso quella tendenza che, non solo per effetto di discorsi più e meno roboanti, ma per la ferma convinzione dei compagni intervenuti, ha prevalso nel Congresso, danno a credere che egli abbia seguito molto superficialmente le nostre discus­sioni e non conosca affatto le considerazioni in base alle quali ci dichia­rammo dissenzienti dalla corrente d'idee del compagno A. Tasca, senza ulularlo (1), ma contrapponendo alle sue opinioni altri argomenti, frut­to di studio e di esperienza del movimento non meno seri dei suoi. Noi non abbiamo dichiarato affatto la guerra alla cultura, noi non neghiamo che il socialismo attraversi oggi fra noi un periodo di crisi, noi non ci nascondiamo la necessità di studiarne le cause e trovare i mezzi adatti ad eliminarle, solo seguiamo in tutto questo una diversa valutazione.

Siamo più che mai d'accordo col Silva nel riconoscere le cause della crisi nel localismo e nel particolarismo, nelle tendenze di categoria che si delineano nel movimento operaio, nella mancanza di unità di intenti dei socialisti.

Ma non possiamo consentire col Tasca e col suo articolista nel risol­vere il vasto problema con la formula semplicista «crisi di cultura». Più ancora, in questo li riteniamo in aperta contraddizione con se stessi.

Come non vedere che quel particolarismo ha dato invece luogo ad una vera e propria crisi di fede e di sentimento socialista? Se le masse cedono ad impulsi di categoria, se i gruppi locali seguono indirizzi discordi, è perché essi nella eccessiva valutazione di problemi locali, corporativi, egoi­stici, - dimenticano la visione integrale delle finalità del socialismo. E le autonomie, che il Silva a giusta ragione critica, sono volute, caldeggiate, provocate non dai proletari, ma dagli intellettuali, che hanno concetti troppo ristretti dell’azione socialista derivati da specializzazione a cui essi si danno nello studiare problemi immediati e pratici, spinti da interessi locali ed egoistici che impediscono loro di sentire le necessità effettive, univer­sali della classe lavoratrice.

Posta così la questione, noi vediamo la necessità di dare al movimen­to giovanile un indirizzo che rimedi a questa crisi di sentimento. E ne con-segue che dobbiamo farne un movimento di argine vivacemente antibor­ghese, un vivaio di entusiasmi e di fede, né vogliamo disperdere ener­gie preziose nel tentativo di rimediare, secondo metodi scolastici, a quel­lo che è uno dei caratteri essenziali, incancellabili del regime del sala­riato: lo scarso livello della cultura operaia. Il partito cattolico, che spende milioni in questo campo, non ha potuto formare una cultura cattolica po­polare.

Evidentemente noi dissentiamo su questo punto dalla tendenza rap­presentata dal suo giornale. Riteniamo che la cultura operaia possa figu­rare nei programmi della democrazia ma abbia scarso valore nel campo dell’azione sovversiva del socialismo.

Questo non vuol dire che noi rinneghiamo la cultura socialista. Al con­trario, crediamo che l'unico modo d'incoraggiarla sia quello di lasciarla all’iniziativa individuale, senza chiuderla nel campo odioso del regime sco­lastico. E quella iniziativa può essere eccitata solo portando i giovani pro­letari nel vivo della lotta e del contrasto sociale, che sviluppa in essi il desiderio di rendersi più adatti alla battaglia.

Se la nostra Avanguardia assumesse indirizzo di cultura, dopo quat­tro numeri gli operai non la leggerebbero Più. Ma i nostri giovani com­pagni la cercano e la amano oggi che vedono in essa un segnacolo di lot­ta, che ritrovano nelle nostre campagne tutta l'anima proletaria, con i suoi slanci e le sue rivolte.

Ci si potrà dire che l'entusiasmo senza la convinzione è poco dura­turo. Ebbene questo è vero sempre, fuori che nel campo dei movimenti di classe. Nell’operaio socialista la convinzione è figlia dell’entusiasmo e del sentimento, e c'è qualche cosa che non lascia spegnere questo sentimen­to: la solidarietà istintiva degli sfruttati. Chi non ha più fiducia in que­sta e vuole sostituirla con la scuoletta teorica, lo studio, la coscienza dei problemi pratici, si trova, a creder nostro, malinconicamente fuori del so­cialismo.

(1) Il Tasca sarebbe stato zittito con frequenti ululati. Il termine espressivo fu usato in quella occasione dalla Giustizia, 24 settembre.

 

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