DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Da quando Allende è salito al “potere” in Cile, per l'opportunismo – di tutti i colori e di tutti i paesi – il suo esperimento avrebbe dovuto rappresentare una conferma, anzi la schiacciante dimostrazione, della possibilità di una pacifica instaurazione del socialismo. Da lui si attendeva, insomma, la solenne smentita del “catastrofismo rivoluzionario”, e perciò la rivincita del gradualismo socialdemocratico.

La tesi era già sballata in partenza: nessuno dei progetti – e nessuna delle sue traduzioni in pratica – di Allende era o poteva essere “socialista”; erano tutti provvedimenti non solo compatibili con la sopravvivenza del modo di produzione capitalistico e con le sue sovrastrutture politiche, sociali, giuridiche, ma destinati a consolidarne le basi liberandole dai ceppi di una economia arretrata e di una società corrispondentemente inadatta al pieno sviluppo delle forze produttive moderne – una timida “riforma agraria”, una serie limitata di “nazionalizzazioni” contro indennità, un tentativo – mezz'e mezzo, data la potenza degli interessi costituiti – di svincolarsi dalla pesante sudditanza diretta da compagnie industriali e commerciali nordamericane, non certo dal mercato mondiale in cui il Cile trova il suo polmone. Non si “instaura” il socialismo “in un solo paese” e, anche dato (ma non concesso) che le misure prese o preventivate dal governo Allende potessero definirsi socialiste, la loro “radicalità” presupponeva, per essere spinta a fondo e non restare in superficie, una reale presa del potere, che significa rottura dello status quo, privazione di ogni diritto politico alle classi possidenti – borghesia in senso proprio, proprietà fondiaria tradizionale ecc. – , distruzione dell'intero apparato statale esistente, dittatura di un partito rivoluzionario unico; tutte condizioni che contraddicevano al programma, alle finalità, alla base sociale dell'eterogeneo raggruppamento politico allendista.

Si può concedere che, in un paese con un piede solo nel capitalismo pieno come il Cile, le prime misure dispotiche di un governo rivoluzionario degno del nome di marxista (e quello di Allende non pretende nemmeno di esserlo, anche se ai giornalisti e a chi li foraggia fa comodo presentarlo come tale) siano forzatamente caute e “progressive”, a condizione tuttavia che siano appunto dispotiche, cioè non vincolate a nessuna legge, a nessun “diritto” costituito, meno che mai a diritti di proprietà. La dittatura proletaria non può non essere gradualista in economia; ma il suo è necessariamente un gradualismo radicale che presuppone il rivoluzionamento di tutta una rete di rapporti economici e sociali, quindi l'antigradualismo sul terreno dei rapporti di forza delle classi, e dunque del potere. Tolta questa conditio sine qua non, un governo “operaio” può definirsi come meglio gli garba, ma non costruisce nemmeno le basi del socialismo, si muove sul terreno classico di un timido e irrisorio “raddobbo” del regime esistente.

Ma il letto di Procuste, in cui si dibatte come un malato in preda alla febbre il governo Allende, dimostra qualcosa di più: nemmeno una vigorosa spinta innanzi del capitalismo (giacché tale, e nulla di diverso né di più serio vuol essere il governo di “unità popolare” cileno) è possibile nel quadro del rispetto della legalità di fatto: o questo tentativo assume le forme del giacobinismo, della radicalità rivoluzionaria plebea, del terrore “sanculotto”, del “comitato di salute pubblica”, insomma della violenza esercitata per spezzare i vincoli che ancora tengono stretto il “paese” al suo passato precapitalistico e, per quello che può sembrare un paradosso solo agli orecchianti in marxismo, alla pressione mondiale dell'imperialismo pascolante proprio sull'arretratezza delle strutture economiche e delle sovrastrutture politiche; o, se ciò non avviene, esso è condannato al fallimento perfino nei suoi obiettivi circoscritti, anche se storicamente necessari e fecondi.

Così trionfarono le borghesie inglese e francese; così, benché con altre potenzialità ma con mezzi non per questo meno brutali, trionfarono le borghesie affacciatesi in ritardo in Europa o in continenti extraeuropeifreschi di colonizzazione capitalistica (è quest'ultimo il “segreto” di Mao). Esse non restarono sulla difensiva: attaccarono. Si crearono una loro legalità distruggendo ogni legalismonon si inchinarono di fronte al diritto costituito e ai suoi difensori secolari o “spirituali”. Allende, questo “presidente costituzionale” che il pennaiolismo mondiale sfrontatamente classifica fra i discendenti di... Marx, non è il lontano pronipote neppure di Robespierre; che diciamo, neppure di Lafayette o di... Brissot. Egli non può vantare in tutta la sua carriera di capo dello Stato che una serie di ritirate, di rinunce, di capitolazioni: oggi, ha nella sua barca consunta gli uomini – nella migliore delle ipotesi – dell'“equilibrio”, i generali indispensabili per mantenere l'“ordine”, cioè per frenare lo scoppio, necessario ed auspicabile, dei conflitti sociali; tratta con la DC; “sfida” solo per burla gli autotrasportatori; subisce in altra forma quella pressione dell'imperialismo, tramite le ferree leggi del mercato mondiale, che aveva preteso di eludere a colpi di innocui decreti; si lascia terrorizzare, invece di praticare il terrore; è prigioniero delle forze che, per definizione, non poteva attaccare senza cessare d'essere se stesso, e se perverrà alla necessità di impiegare il terrore, lo farà soltanto per conservare le riforme moderate e non per imporre la trasformazione dei rapporti sociali in senso borghese-radicale.

La lezione è chiara e, come al solito, ci viene dallo stesso modo di produzione e di vita associata in cui riconosciamo il nostro nemico: perfino per spalancare le porte ad una evoluzione pienamente capitalistica, la violenza è necessaria; se non vi si fa ricorso, trionfa la controviolenza – che è sua sorella, anche se di segno opposto. La legalità uccide: le borghesie consapevoli della loro storica missione l'hanno saputo e lo sanno. L'allendismo è al di sotto della stessa coscienza rivoluzionaria borghese.

I proletari, loro, devono assurgere alla coscienza che quanto è stato ed è vero per le borghesie rivoluzionarie lo è mille volte di più per la classe che esse opprimono e ingannano, anche là dove le premesse economiche del socialismo non esistono ancora o esistono a metà.

 

(“il programma comunista”, n.16 del 5/9/1973)

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