DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

 

La crisi economica mondiale, nonostante il portato di disoccupazione su vasta scala che ha depresso ulteriormente la forza di contrattazione della classe operaia, spinge la borghesia a condurre ancora più a fondo l’attacco ai salari, per tentare di rivitalizzare il saggio del profitto. Tutto ciò conduce spontaneamente a un sempre maggiore ricorso alla forza-lavoro immigrata, più a buon mercato, e a una crescente marginalizzazione di larghe sacche della stessa, in un processo che costringe masse di proletari a una disperata clandestinità, che sovente automaticamente si tramuta in disponibilità a vendere il proprio lavoro per cifre irrisorie. La borghesia si trova perciò a fronteggiare la contraddizione di dover fare integrare gli immigrati nel “tessuto sociale”, portandoli nell’alveo della democrazia per poterli meglio controllare, e di dovere, nel contempo, costringerne una parte a una forte emarginazione, cosa che le permette di strappare salari più bassi e di risparmiare quindi sul costo della forza-lavoro. La classe dei padroni dispone, come strumenti che la aiutano in questa sintesi tra opposti, sia del manganello che della leva delle più diverse ideologie, religiose e non, utilizzate allo scopo di incrementare le divisioni tra proletari “indigeni” e “immigrati” e tra “immigrati regolari” e “clandestini”.

Scrive Marx che “[…] se una sovrappopolazione operaia è il prodotto necessario della accumulazione ossia dello sviluppo della ricchezza su base capitalistica, questa sovrappopolazione diventa, viceversa, la leva dell’accumulazione capitalistica e addirittura una delle condizioni d’esistenza del modo di produzione capitalistico. Essa costituisce un esercito industriale di riserva disponibile che appartiene al capitale in maniera così completa come se quest’ultimo l’avesse allevato a sue proprie spese, e crea per i mutevoli bisogni di valorizzazione di esso il materiale umano sfruttabile sempre pronto, indipendentemente dai limiti del reale aumento della popolazione.” E ancora: “[…]Tutto sommato i movimenti generali del salario sono regolati esclusivamente dall’espansione e dalla contrazione dell’esercito industriale di riserva, le quali corrispondono all’alternarsi dei periodi del ciclo industriale. Non sono dunque determinati dal movimento del numero assoluto della popolazione operaia, ma dalla mutevole proporzione in cui la classe operaia si scinde in esercito attivo e in esercito di riserva, dall’aumento e dalla diminuzione del volume relativo della sovrappopolazione, dal grado in cui questa viene ora assorbita ora di nuovo messa in libertà.” (1)

Quindi, l’esercito industriale di riserva rappresenta una componente essenziale dell’accumulazione capitalistica, capace di far fronte alle espansioni della produzione e contemporaneamente utile per abbattere il costo della forza-lavoro. Ma è soprattutto a partire dalla nascita dell’imperialismo che si assiste allo sviluppo di un comparto di questo esercito che vive in condizioni estreme e che rappresenta la “riserva della riserva”, la massa umana pronta a vendere il proprio lavoro per nulla o quasi. Le condizioni di questi lavoratori non solo arrivano alla schiavitù vera e propria, ma possono essere ben peggiori, visto che lo schiavo ha garantiti almeno il vitto e l’alloggio. Nell’ultimo secolo, l’oppressione capitalistica ha prodotto su vasta scala masse di proletari privi di tutto, spesso anche dei mezzi di sostentamento: dai discendenti degli schiavi “liberati” negli USA alle numerose etnie perseguitate ed emarginate, dalle maree di profughi di guerra ai milioni di internati nei gulag staliniani, dalle masse di carcerati ai lavori forzati (2)  alle turbe di migranti. Scrivevamo nel 1949: “[…] i moderni civili e democratici Stati di oggi smistano tra i territori masse di popolazione come mandrie di bestie da lavoro, maneggiano come stock di merci folle di prigionieri di guerra, di internati politici, di profughi dalle invasioni, di rifugiati senza terra, di proletari emigrati; il Peplo della Libertà cui bruciano incensi è ormai intessuto di filo spinato” (3) .

I clandestini rappresentano quindi la parte più debole del proletariato, la riserva di forza-lavoro ai prezzi più bassi del mercato, la risorsa a cui le imprese possono attingere per massimizzare i profitti, i paria su cui sfogare tutte le frustrazioni e a cui ascrivere tutte le colpe, affinché il capitale e la classe che lo gestisce siano al sicuro. Noi comunisti sappiamo bene, e non ci stancheremo mai di affermarlo, che i comportamenti criminali, anche i più odiosi, che spesso vengono usati come pretesto contro gli immigrati e soprattutto contro i clandestini, quand’anche siano tipicamente ascrivibili a specifiche frange del proletariato, sono sempre e comunque determinati da precisi fattori economici e sociali di cui la classe capitalistica mondiale è la sola responsabile.

I comunisti sostengono da sempre che il proletariato è un unico esercito; che, di conseguenza, un attacco a una sua parte rappresenta sempre un attacco a tutto il suo insieme; e che la debolezza di un suo comparto non può non riflettersi su tutta la massa dei proletari: la bassissima forza di contrattazione dei clandestini non può non andare a incidere negativamente su quella del resto della classe, così come il giro di vite poliziesco nei confronti degli stessi clandestini è inevitabilmente rivolto anche verso la parte restante dei lavoratori.

Potente è la leva della divisione tra proletari, e la borghesia la usa indiscriminatamente. È esemplare, in questo senso, il caso del Sudafrica, in cui si sono verificate, a partire da giugno del 2008, numerose rivolte degli strati più poveri del locale proletariato urbano contro gli immigrati (soprattutto quelli provenienti dallo Zimbabwe, emigrati in massa, clandestinamente, da un paese dilaniato da una crisi economica con un tasso di inflazione record che va oltre gli 11 milioni percento, ma anche quelli provenienti da Mozambico e Somalia) (4) , accusati, grazie al subdolo e vile lavoro della propaganda borghese, che lancia il sasso e nasconde la mano, di aggravare i problemi sociali, come la disoccupazione, la criminalità e le difficoltà economiche. Decine, forse centinaia di proletari immigrati, sono stati uccisi in queste sommosse, alcuni addirittura arsi vivi, mentre altre migliaia sono stati cacciati dalle loro case - spesso luride baracche -, che poi sono state date alle fiamme (5) . L’inutilità di questi gesti per quanto riguarda il raggiungimento dell’obiettivo di un miglioramento nelle condizioni di vita e di lavoro ha contribuito a spingere il proletariato sudafricano ad aprire una stagione di scioperi, con tanto di scontri violenti con la polizia, che prosegue tuttora (6) . Un altro caso di limpida, benché dolorosa, conferma della nostra dottrina.

Parlando dell’Italia, oltre all’introduzione del reato di clandestinità, utile per tranquillizzare l’opinione pubblica (e soprattutto il settore ultra-retrivo della piccola borghesia) ed emarginare ulteriormente i clandestini, oltre al maggiore pattugliamento di quella gigantesca fossa comune che è il Canale di Sicilia, unito alla stipula di un trattato italo-libico per limitare le partenze dei barconi carichi di migranti e nell’ambito del quale questi ultimi sono trattati come mera merce di scambio (7) , oltre ai soliti raid anti-immigrati (in continuo aumento grazie anche alla martellante, nauseante, generalizzata propaganda mediatica, salvo poi condannare ipocritamente i conseguenti atti di violenza), va segnalato il fenomeno delle ronde, la cui legittimazione legale rappresenta l’ufficializzazione e l’istituzionalizzazione di tali raid, effettuati da gruppi organizzati che spesso inglobano elementi gravitanti intorno al fetido mondo del calcio e delle tifoserie curvaiole, ma anche ex sbirri sulla via della rottamazione, facilmente manipolabili e utilizzabili dalla borghesia (e infatti così utilizzati) in chiave antiproletaria. Citiamo dall’articolo “Nella mente delle ronde”, apparso sulla rivista di psicologia Mente & Cervello (n. 57, settembre 2009): “Gli aderenti alla GNI [Guardia Nazionale Italiana, una delle maggiori istituzioni operanti nel “settore”, n.d.r.] provengono in gran parte dalle forze dell'ordine e dall'esercito. Indossano una camicia grigia, con cinturone e spallacci neri, cravatta nera, pantaloni grigi con banda laterale nera, basco grigio con il simbolo dell'organizzazione, l'aquila imperiale. Al braccio portano una fascia nera con la «ruota solare», e il loro equipaggiamento prevede elmetto, anfibi neri, guanti di pelle e una torcia elettrica: una torcia particolare, grossa, di metallo nero. Sono determinati a «ripulire l'Italia dal marcio che vi si annida». Giurano «fedeltà e obbedienza» al «Capo», per difendere la «grande Nazione italiana», anche a costo del «proprio sangue» e «della morte»”. Ogni ulteriore commento appare superfluo.

Due parole, a poco più di un anno di distanza, anche sulla strage di Castelvolturno, atto codardo di chiaro stampo padronale, di cui sono stati vittime indistintamente immigrati “regolari” e “clandestini”. La mafia, comunque si faccia chiamare e comunque la chiamino, che non è un fenomeno specifico italiano, bensì un fenomeno tipico dell’imperialismo di ogni latitudine, ci mostra sempre la faccia più sincera del capitale, l’unica faccia che il capitale abbia al di là del velo ideologico: quella della ricerca del profitto ad ogni costo, che è chiaramente incompatibile con la vita umana. Tale affannosa ricerca si specchia nella necessità non solo di controllare brutalmente la forza-lavoro, ma di mantenerla costantemente a testa bassa, versando tutto il sangue necessario allo scopo e anche di più.

Come abbiamo visto, non è solo l’ingrossarsi delle file dell’esercito industriale di riserva a giovare ai profitti, ma anche il peggioramento delle sue condizioni generali; ambedue questi elementi, però, non possono che condurre, alla lunga, allo scontro frontale tra le classi. La borghesia ricorre a mezzi di dominio sempre più vili ed estremi perché è costretta a muoversi nel contesto intrinsecamente contraddittorio che essa stessa ha creato, costrettavi dai meccanismi caratteristici del capitale, un contesto che vede le latenti tensioni sociali in continuo aumento e che è destinato, prima o poi, a sfuggire ad ogni controllo. Contemporaneamente ai raid, alle stragi e alle ronde contro gli immigrati, assistiamo infatti a un aumento dei casi di rivolte da parte dei clandestini (oltre a quelle, ormai celebri, di Lampedusa, per altro subito annacquate e smorzate dal “sostegno” di tutte le istituzioni dell’isola, preti e amministratori locali in testa): sono stati, ad esempio, recenti teatri di rivolte i CIE di Modena, Torino, Milano, Lamezia Terme, Bari, Gorizia (8) . Più il cappio del capitale si stringerà al suo collo, più il proletariato immigrato e il proletariato tutto saranno costretti dapprima a difendersi, poi a contrattaccare. Anche allora sapremo stare al nostro posto: quello di assicurare, attraverso il Partito, l’organizzazione e la preparazione rivoluzionaria della classe. Il nostro messaggio è e sarà sempre lo stesso, ribadito da Lenin nel suo discorso del 1919 sui pogrom contro gli ebrei (9) : i nemici dei proletari non sono altri proletari, diversi per ideologia, provenienza o abitudini, ma sono i capitalisti di tutti i paesi, i quali si sforzano di seminare e attizzare l’odio tra i lavoratori di diversa fede, di diversa nazionalità, di diversa razza, mentre chi non lavora si mantiene con la forza e col potere del capitale. Aggiungiamo che è solo abbattendo la borghesia e il suo Stato, e con essi il potere del capitale, che lo sfruttamento, la miseria, l’emarginazione e le guerre cesseranno per sempre di esistere. Sappiamo, ce lo insegna la nostra dottrina, che il proletariato abbatterà la classe avversa e instaurerà la propria dittatura non grazie a ciò che pensa o che crede di essere, ma a causa delle determinazioni materiali cui è sottoposto in virtù di ciò che esso realmente rappresenta nell’ambito dei rapporti di produzione. L’inquadramento ideologico e le divisioni all’interno della classe proletaria verranno superati grazie alla suprema e decisiva spinta della necessità, rendendo vani gli sforzi profusi da generazioni di borghesi nel tentativo di eternare il regno della classe padrona.

 

 

Note


1.  K.Marx, Il Capitale, Editori riuniti 1989, Libro I, cap. XXIII, pp. 692 e 697
2. Secondo l'associazione Anti Slavery, sono 20 milioni le vittime del bonded labour (lavoro in condizioni di schiavitù); 12 milioni secondo l'Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL)
"Inflazione dello stato" , Battaglia Comunista, n. 38/1949
4. http://it.wikipedia.org/wiki/Zimbabwe#Economia
5. http://www.guardian.co.uk/world/2008/may/19/southafrica1 ; http://seattletimes.nwsource.com/html/nationworld/2004423744_safrica19.html
6. http://news.bbc.co.uk/2/hi/africa/8169843.stm, http://www.mg.co.za/article/2008-08-06-mass-cosatu-strikegrips-south-africa
7. http://www.mg.co.za/article/2008-08-06-mass-cosatu-strikegrips-south-africa
8. http://tg24.sky.it/tg24/cronaca/2009/08/19/modena_rivolta_immigrati_in_un_cie.html
9. Lenin, “Discorso contro l’antisemitismo”(1919), in Lenin, Opere Complete, Editori Riuniti 1967, vol. 29, p. 229.

 

 

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°06 - 2009)

INTERNATIONAL COMMUNIST PARTY PRESS
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