DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

 

Si celebrano quest’anno, nelle accademie, nei circoli culturali e nelle riviste più o meno “specializzate”, due anniversari legati al nome di Darwin: il bicentenario della nascita (1809) e i 150 anni dalla pubblicazione della sua opera più nota, L’origine delle specie per selezione naturale (1859). Prima di esaminare la nostra posizione di fronte ai problemi posti dalla teoria dell’evoluzione, dobbiamo tuttavia premettere un doveroso chiarimento sulla concezione marxista della scienza, dal momento che, come neghiamo l’esistenza di una “scienza in generale”, così neghiamo l’esistenza di un aspetto “generale”, al di fuori e al disopra della società, della teoria darwiniana.

Non accordiamo nessuna particolare esaltazione alla scienza borghese, di cui anzi abbiamo riconosciuto una funzione antisociale, nella inevitabile misura in cui essa soggiace alle esigenze e alle volontà del capitale. Una volta affermatisi i mezzi e i sistemi dell’accumulazione originaria attraverso la violenza più brutale organizzata dallo Stato, e poste le basi per il successivo sviluppo manifatturiero, lo studio della natura fu più che mai orientato e condizionato dalle necessità della produzione e della riproduzione del capitale. La geologia “scientifica” che sviluppò i fondamentali concetti di tettonica e stratigrafia nacque nel Seicento dall’arte mineraria dei metallurghi del secolo precedente (Biringuccio, Georg Agricola, ecc.), necessaria a fornire le conoscenze per lo sviluppo della prima industria siderurgica. La stessa arte mineraria stimolò le ricerche nel difficile campo della trasformazione chimica della materia, in particolare quella dei metalli, fino alla costituzione di una disciplina autonoma che, attraverso precise misure ponderali, giungeva, alla fine del Settecento, alla (ri)definizione della teoria atomica. La tumultuosa concentrazione di masse umane attorno ai primi grandi centri manifatturieri costringeva la medicina allo sviluppo di nuove ricerche nel campo dell’igiene, della infettivologia e dell’epidemiologia. La necessità di sviluppare nuovi precisi strumenti produttivi portò ad alcune fondamentali scoperte nel campo della termodinamica (Kelvin) e della termochimica (Hess), oltre a quelle, precedenti, nel calcolo (Leibniz, Newton), atto a giungere alla soluzione dei problemi di differenziazione e di integrazione: spazio e tempo vengono collegati; velocità e aree, “astrazioni” apparentemente indipendenti, si riuniscono nella conoscenza indispensabile alla costruzione di motori e di ruote. E non c’è chi non veda come gli odierni studi sulla genetica agraria abbiano il solo scopo di cercare (inutilmente, secondo noi) di rivitalizzare un settore fondamentale della produzione capitalistica, quello agricolo, da sempre una palla al piede dell’intero settore produttivo.

Considerata nel suo insieme, la scienza non ha, dunque, una vita parallela e indipendente da quella della società e del sistema produttivo. E, nella misura totale e assoluta in cui essa deve servire agli interessi di tale sistema e della classe che ne possiede il controllo, essa diventa antiumana e fonte di sofferenze per la classe che ne subisce l’influenza.

Sarebbe tuttavia folle negare alla scienza borghese l’aver partecipato al millenario processo di accumulazione nel campo della conoscenza umana. Tale processo affonda le proprie radici nell’alba dell’umanità (lavoro e conoscenza sono processi indissolubilmente legati, e la seconda segue il primo); prosegue con l’affermarsi delle prime comunità agricole e poi con quelle che sviluppano tecnologie basate sulla lavorazione dei metalli; tocca un apice, in Occidente, nelle sistemazioni teoriche formulate dai filosofi greci del IV e III secolo a. C. La borghesia nella sua fase rivoluzionaria ebbe il merito di travolgere, anche sul piano conoscitivo, le antiche feudali “muraglie cinesi”, spezzando gli schemi di un universo raggelato in categorie immutabili e dimostrando la storicità della natura. Il primo nome che viene alla mente in questo processo può essere quello di Galileo; l’ultimo, quello di Darwin.

Attentissimi a ciò che la borghesia produceva anche sul piano teorico, Marx ed Engels non impiegarono molto tempo a rendersi conto di ciò che Darwin avrebbe significato, in termini positivi e negativi. Al riguardo, può essere interessante riportare alcuni brani delle loro lettere (1).

Engels a Marx, 11-12 dicembre 1859 (dunque, solo un mese dalla pubblicazione dell’Origine delle specie) “[…] Il Darwin, che sto appunto leggendo, è proprio stupendo. Per un certo aspetto la teleologia non era stata ancora sgominata, e lo si è fatto ora. E poi non è stato ancora mai fatto un tentativo così grandioso per dimostrare uno sviluppo storico nella natura, o almeno non così felicemente. Naturalmente bisogna passar sopra al goffo metodo inglese”.

Marx a Engels,19 dicembre 1860: “[…] ho letto una quantità di roba. Tra l’altro il libro di Darwin sulla ‘Natural selection’. Per quanto svolto grossolanamente all’inglese, ecco qui il libro che contiene i fondamenti storico-naturali del nostro modo di vedere”.

Marx a Lassalle, 16 gennaio 1861: “Molto notevole è l’opera di Darwin, che mi fa piacere come supporto delle scienze naturali alla lotta di classe nella storia. Naturalmente bisogna accettare quella maniera rozzamente inglese di sviluppare le cose. Ma, nonostante tutti i difetti, qui non solo si dà per la prima volta il colpo mortale alla ‘teleologia’ nelle scienze naturali, ma se ne spiega il senso razionale in modo empirico”.

Marx a Engels, 18 giugno 1862: “Mi diverto con Darwin, al quale ho dato di nuovo un’occhiata, quando dice d’applicare la ‘teoria di Malthus’ anche alle piante e agli animali, come se il succo del signor Malthus non consistesse proprio nel fatto che essa non viene applicata alle piante e agli animali, ma invece – con geometrica progressione – soltanto agli uomini, in contrasto con le piante e gli animali. È notevole il fatto che, nelle bestie e nelle piante, Darwin riconosce la sua società inglese con la sua divisione del lavoro, la concorrenza, l’apertura di nuovi mercati, ‘le invenzioni’ e la malthusiana ‘lotta per l’esistenza’. È il bellum omnium contra omnes di Hobbes, e fa ricordare Hegel nella ‘Fenomenologia’, dove raffigura la società borghese quale ‘regno animale ideale’, mentre in Darwin il regno animale è raffigurato quale società borghese”.

Infine, Engels, in una lettera a Lavrov del 17 novembre 1875, riassumeva l’intero punto di vista nel seguente modo: “Della dottrina darwiniana accetto la teoria dell’evoluzione, ammetto però il metodo dimostrativo di D. (struggle for life, natural selection) solo come prima, provvisoria, incompleta espressione di una realtà appena scoperta. […] L’azione reciproca dei corpi naturali – sia inanimati che viventi – comprende tanto l’armonia quanto lo scontro, la lotta così come la cooperazione. […] Tutta la teoria darwiniana della lotta per l’esistenza è semplicemente la trasposizione della società nella natura vivente della dottrina hobbesiana del bellum omnium contra omnes e di quella – derivata dall’economia borghese – della concorrenza, insieme alla teoria maltusiana della popolazione. […] Se però, come ora accade, la produzione nella sua forma capitalistica produce una quantità di mezzi di sopravvivenza e di sviluppo molto maggiore di quanto la società capitalistica può consumare, perché tiene artificialmente lontana da questi mezzi di sopravvivenza e di sviluppo la grande massa dei veri produttori; se questa società è costretta dal proprio principio vitale ad accrescere continuamente questa produzione, che per essa è già eccessiva, e quindi periodicamente, ogni dieci anni, arriva al punto di distruggere essa stessa non soltanto una massa di prodotti, ma anche forze produttive – che senso hanno ancora le chiacchiere sulla ‘lotta per l’esistenza’”?

Mentre dunque da un lato Marx ed Engels riconoscevano prontamente la portata dirompente della teoria dell’evoluzione, dall’altra ne ravvisavano pure gli aspetti strettamente legati all’ambiente di origine, quello di una società divisa in classi contrapposte. La “legge del più forte” sarebbe stata parodiata come il prevalere del “forte” (il capitalista, o, nella società vittoriana inglese di metà Ottocento ancora agitata da fantasime carlailiane, il nobile o il proprietario terriero più o meno decaduto) (2) sul “debole” (il proletario e il contadino espropriato e condotto ai lavori forzati nelle nuove galere della fabbrica capitalistica). E, in realtà, fu proprio in questa direzione che le accademie borghesi si sforzarono di dirottare la teoria evolutiva. Proprio perché ne vedevano i pericolosi aspetti dialettici e rivoluzionari, ne misero in luce, da un lato, quelli puramente laicisti e antireligiosi, in una sorta di eredità illuminista, ispirata alla Dea Ragione, isterilendone i contenuti in una polemica che, col tempo, anziché inaridirsi, sembra sempre più divampare tra sostenitori del “caso” e quelli di “disegni intelligenti”: polemica da cui fu tormentato per anni lo stesso Darwin; dall’altro, si sforzarono di dirottarne i contenuti verso il cosiddetto “darwinismo sociale”, l’eugenetica, alcuni settori della moderna sociobiologia e, naturalmente, il gradualismo riformista.

Dal canto nostro, rifiutiamo, nel darwinismo, la tacita adesione alle teorie economiche borghesi e i tentativi (successivi, bisogna dirlo, alla morte di Darwin) di applicarne la teoria alla società umana.

Ma il darwinismo contiene un elemento che ne fa una teoria che attraversa tutta la storia umana, ed anzi tutta la storia della vita sulla Terra. Questo elemento sta nell’applicazione del metodo del materialismo dialettico, pur con alcuni non trascurabili limiti, alle scienze naturali.

Numerosi commentatori, che provengono da tradizioni di “sinistra critica” (trotskisti, CCI, ecc.) partono da questi elementi noti col nome di “darwinismo sociale” per svolgere la loro critica al darwinismo. A noi sembra che, così facendo, si scambino le cause con gli effetti, i quali ultimi sono l’espressione della lotta di classe trasferita sul piano dell’ideologia, mentre i primi – le cause – hanno radici molto più profonde, nel movimento dialettico che non appartiene più alla borghesia, ma fa ormai parte del patrimonio teorico della classe rivoluzionaria.

La borghesia si è appropriata rapidamente del darwinismo trasformandone i contenuti dialettici potenzialmente esplosivi in una sorta di teleologia, una filosofia cioè atta a dimostrare che tutto il corso storico è finalizzato alla formazione di un’economia sviluppata di mercato, di concorrenza, di scambio fra equivalenti, di salario e di capitale (la cosiddetta “fine della storia”). E, deridendone gli aspetti più scontati (l’uomo che “discende dalla scimmia”, oggetto di migliaia di vignette parodistiche fin dalla prima comparsa dell’Origine), si sforzava di metterne in luce quelli falsi, come la malthusiana teoria della popolazione. Già il giovane Marx aveva potuto stabilire l’impossibilità, per la classe borghese, di giungere alla riconciliazione tra specie umana e natura.

La polemica borghese ritorce contro il marxismo questa stessa accusa, considerando il comunismo come “fine della storia”. Per essa, la storia non può consistere in altro che nella lotta fra classi sociali, laddove per il marxismo questa non può essere che la preistoria dell’umanità.

Ma esiste, nel marxismo, una visione “teleologica” nella storia umana? Da un lato, è certo che il marxismo sbarra il passo a ogni tentativo possibilista, a una scelta di opzioni tutte valide o tutte da scartare man mano che si presentano nel divenire storico. Dall’altra parte, è indubbio che, dal momento che la società comunista ancora non esiste, ciò che noi comunisti facciamo da 150 anni è di dimostrare, nella nostra analisi della successione delle forme di produzione, che tutte le spinte economiche e sociali necessariamente forzate nei processi di centralizzazione dell’economia capitalistica debbono portare, attraverso ad una fase di violenta distruzione di vincoli e di catene nelle forme di circolazione e di scambio, a quella “società di liberi produttori” tante volte richiamate da Marx e da Engels.

La teoria dell’evoluzione è dunque, nella sua forma classicamente enunciata nel 1859, un prodotto della storia sociale dell’umanità. Ci possiamo chiedere: era necessario che la sua culla fosse la società borghese? Non avrebbe potuto essere formulata per esempio dai Greci in età ellenistica, come tante altre teorie scientifiche che hanno precorso i millenni?

Si può rispondere di sì, e di no. La teoria darwiniana è, per certi aspetti, la parodia della società borghese applicata alla natura, e in ciò sta la sua parte debole, in quanto prodotto di un modo di produzione basato su una fortissima polarizzazione di classi e di ricchezza. La sua parte forte, invece, sta nel fatto che essa ha saputo, inconsapevolmente, utilizzare il metodo dialettico – almeno entro i limiti che esporremo a breve – all’interno del mondo materiale, eliminando come “ipotesi non necessaria” ogni forma di teleologia o di trascendenza. Per questa ragione, noi possiamo trovare anche nella Grecia classica “germi” di evoluzionismo: già in Aristotele si trovano alcune sorprendenti affermazioni in tal senso (3), mentre Democrito pose il movimento alla base della sua concezione del mondo fisico, così come farà in seguito Epicuro. Che questa fosse la parte “pericolosa” del darwinismo è dimostrato dal furore con cui teologi trasformati in biologi, e biologi conquistati alla teologia, si avventarono sulle idee di “trasformazioni casuali”, di assenza di “quadri intelligenti” e di leggi intrinseche del movimento applicate, dopo quelle scoperte da Keplero nel moto degli astri, alla materia organica presente sulla Terra.

D’altra parte, noi dobbiamo negare con il massimo rigore che la società si avvalga di idee geniali che, nate nella testa di un illuminato, migrano osmoticamente nelle masse diventando “opinione accettata” – anche se talvolta controversa. Ciò che nello sviluppo generale della società rappresenta il collante tra le sue forme economiche e quelle intellettuali, che comprendono tutte le conoscenze utili al funzionamento generale, sta precisamente nel fatto che l’atto precede il pensiero, che la realtà sociale entro cui si sviluppa la dialettica della lotta ne anticipa la comprensione e le leggi, le quali tuttavia sono più o meno confusamente e oscuramente percepite. Se questo è sicuramente valido per quanto riguarda il conflitto sociale (e da qui nasce la concezione marxista del partito di classe), non meno valido risulta per gli aspetti che potremmo definire scientifici. Darwin e la teoria dell’evoluzione non sfuggono a questa regola. Si possono menzionare a decine “precursori”, da Bonnet a Hooke a Buffon a Maupertuis a Diderot a Cabanis a Robinet a Herder a Goethe, agli esponenti delle scuole geologiche tedesche e inglesi del Settecento e a tanti altri ancora. Ma ciò che interessa osservare è che il quadro cronologico entro cui inizia e si infiamma la lotta contro il creazionismo e il fissismo (il primo afferma l’atto divino creatore; e, poiché questo è perfetto e crea organismi perfetti, questi non potranno più cambiare per l’eternità: sono “fissi”) è compreso tra la fine del Seicento alla metà dell’Ottocento: è il periodo nel quale maturano e le forze sociali che danno origine alle rivoluzioni antifeudali che sconvolgeranno, su un arco di due secoli, l’intera Europa.

La teoria classica darwiniana è una teoria gradualista. Secondo il suo ideatore, i cambiamenti producono lente variazioni, che portano allo sbocciare, entro le vecchie specie, di nuove forme biologiche. Questo processo, come è facile vedere, non è propriamente dialettico, non procede per opposizioni ed è probabilmente – come tende a dimostrare la moderna teoria – falso. Tuttavia, a questa falsità, il “progresso scientifico” borghese ha sostituito un’altra falsità. Mentre Darwin propone un modello teorico evolutivo, lo sviluppo contemporaneo della biologia è per lunghi decenni di fatto arretrato su posizioni meccanicistiche, come quelle che si riscontrano nelle teorie neodarwiniane che vorrebbero spiegare la complessità biologica attraverso un meccanico e unidirezionale rapporto gene-carattere.

È interessante osservare come, anche all’interno della teoria dell’evoluzione, la stessa scienza borghese abbia dovuto riconoscere una volta di più (e obtorto collo!) la potente costruzione rivoluzionaria, di fasi di “accumulo” seguite da fasi di “rottura”. Alla classica costruzione darwiniana di un’evoluzione graduale e progressiva, ha fatto seguito, negli anni Settanta del ‘900, la teoria “catastrofica” e pienamente ancorata al materialismo dialettico nelle scienze naturali, della trasformazione della quantità (somma di variazioni entro una specie) in qualità (trasformazione accelerata della specie precedente in una nuova forma biologica). E dalle teorie meccanicistiche genetiche degli anni Cinquanta del ‘900 (scoperta della struttura del DNA e del meccanismo della biosintesi proteica) si è passati ad una concezione pienamente dialettica di mutua relazione e reciproco condizionamento (benché l’intero processo non sia ancora compreso nella sua complessità molecolare) tra ciò che appariva fino a poco tempo fa l’intoccabile deus ex machina, il DNA, e il suo “ambiente” naturale, il contenuto biochimico della cellula nel suo insieme. Una sorta di riconciliazione post mortem tra lamarckismo (trasformazioni individuali nel fenotipo, cioè nell’insieme dei caratteri fisici esterni, e loro trasferimento nel patrimonio genetico) e darwinismo (i caratteri ereditari sono indipendenti dall’ambiente). Una cosa certa è che le contemporanee teorie “epigenetiche” (4) rivelano la fallacia del materialismo meccanicistico e volgare anche a livello molecolare.

Se per assurdo dovessimo schierarci in questa competizione, noi non ci dichiareremmo fautori dell’evoluzione, ma dei salti biologici così come sono ormai riconosciuti anche dalle più recenti scuole borghesi; soprattutto, noi siamo per le rotture sociali. Ma, proprio come non abbiamo da reclamare nessuna forma di società di mutuo soccorso o consiglio di fabbrica o alcunché d’altro, prefigurante la società comunista all’interno della società borghese, così non rivendichiamo nessuna forma di “scienza comunista” all’interno di questa stessa società. Assistiamo con interesse all’inarrestabile processo per cui la “scienza” borghese fa continuamente a pezzi se stessa. Tuttavia, sappiamo bene che questa stessa scienza si trasforma continuamente in un’arma di conservazione borghese. La borghesia si serve della conoscenza del mondo naturale per costruire una propria scienza sociale, che vorrebbe al disopra delle classi. Nelle scienze della natura, essa non può fare a meno di accettare il materialismo dialettico (tentando, bisogna pur dirlo, di dirottarlo, quando è possibile, nell’idealismo o nel misticismo: vedi certi sviluppi della cosmologia contemporanea), ma nella scienza della società essa lo rifiuta, perché ne ha riconosciuto da lungo tempo il proprio becchino. Per queste ragioni, noi non ci occupiamo affatto dei “progressi” che la scienza borghese può fare. Noi sappiamo che i drammi sociali che tormentano il mondo moderno non sono affatto legati a una carenza di conoscenza scientifica, ma al fatto che la società non può ancora controllare le proprie forze, ed è, anzi, costretta periodicamente a distruggerle. La liberazione dell’umanità dal giogo del lavoro capitalistico sarà la liberazione anche delle sue capacità di conoscere, per la prima volta, il mondo naturale e il mondo sociale.

Charles Bonnet esponeva il proprio pensiero evoluzionista nella sua Palingénésie philosophique (1770) con queste parole, che possiamo far nostre anche se in un senso diverso dal suo: “Il nostro mondo pare proprio essere stato sotto la forma di verme o di bruco: attualmente è sotto forma di crisalide: l’ultima rivoluzione gli farà indossare la veste di una farfalla”.

 

 

Note

 


 

 

 

1. Citiamo dalle Opere complete, vol. 41, e da Lettere 1874-1879, Milano 2006. [back]

2. “Fantasime carlailiane” è il titolo di un articolo della serie “Sul filo del tempo”, apparso su il programma comunista, n. 9/1953, nel quale il celebre saggista, storico e filosofo inglese Thomas Carlyle (1795-1881) è annoverato “tra i molti nemici e critici della nascente e sordida società capitalistica […] che, se ne colsero talvolta in modo scultorio i lati spregevoli e seppero denudarne i paludamenti di progresso e di civiltà, non furono però all’altezza di capire i suoi apporti non surrogabili”. [back]

3. “In natura il passaggio degli esseri inanimati agli animati avviene a poco a poco ed insensibilmente, quindi non è possibile stabilire limiti tra l’una e l’altra classe”, Historia animalium, libro VIII.  [back]

4. Tra gli anni 1980-2000, la teoria dell’epigenesi introduce l’ipotesi di elementi ereditari che si trasmettono non per mezzo di geni, cioè di segmenti di DNA, ma per altra via, molecolare (proteica o altro). Un ritorno al denigrato lamarckismo? [back]

 

 

 

 

 

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