DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Riproponiamo a lettori e militanti parte di un articolo uscito trent'anni fa su queste stesse pagine: crediamo infatti, senza tema di essere accusati di "revisionismo", che sia più che "attuale" rammentare i misfatti del capitalismo e del suo mostro - l'imperialismo - , in tempi che stanno per riproporre, da parte borghese, la necessità (prodotta dalle leggi stesse del modo di produzione capitalistico) di preparare un nuovo macello imperialista. Macello che, anche sulla base dell'esperienza passata, potrà essere anche "più feroce" (e, al momento opportuno, senza sforzo, si troverà sempre il... "folle" di turno), se il modo di produzione borghese non sarà prima abbattuto da quel proletariato che non deve e non dovrà più farsi ingannare con i falsi nemici: ieri ebrei, oggi... immigrati!

 

Dal 1945, una leggenda circola per il mondo, alimentata dai vincitori del secondo massacro mondiale. Secondo questa leggenda, diffusa a piene mani dalla letteratura e dal cinema e confermata dalla cosiddetta cultura, fra il 1933 ed il 1945 una banda di pazzi, chiamati nazisti, assunse il potere in Germania. Mossi unicamente dal principio di malvagità, questi pazzi, privi di ogni fine razionale, per puro sadismo, si diedero al massacro e alla distruzione, finché tutti i popoli, con una lotta che rimarrà memorabile nei millenni, non li sconfissero, li processarono secondo le regole del diritto e li impiccarono a Norimberga. Il fine supremo delle persone oneste da allora in poi non sarebbe che di vigilare per impedire il ripetersi di questi scoppi di follia. L'hobby preferito della predetta banda di pazzi criminali era poi la caccia agli ebrei, che vennero massacrati a milioni per puro sfoggio di sadismo.

 

Follia criminale o “razionalità” capitalistica?

Il fatto che una tragedia come la seconda guerra mondiale con i suoi massacri non trovi nel pensiero borghese altra spiegazione che
il ricorso alla psichiatria criminale mostra chiaramente l'estrema degenerazione di una cultura che alle sue origini aveva l'ambizione di spiegare razionalmente il corso degli avvenimenti umani.

Noi marxisti non possiamo evidentemente accontentarci di queste cosiddette spiegazioni e ne smascheriamo al contrario il fine ideologico. Conviene ai borghesi e agli “uomini e donne di cultura” al loro servizio inventare la leggenda che la follia sia responsabile dei mali dell'imperialismo. Conviene loro inventare la leggenda che non il modo di produzione capitalistico, ma la “criminalità” e la “belluinità” innate nell'animo umano - humus da cui nascerebbe il fascismo - siano responsabili dei periodici massacri della storia contemporanea. Contro questa criminalità si batterebbe l'“amore per la vita”, humus da cui nascerebbe l'antifascismo. E' facile per noi smascherare il carattere ideologico di queste leggende, ricordando i colossali massacri compiuti dai “liberatori” americani, russi ed europei.

I campi di sterminio, il massacro degli ebrei non sono il prodotto della follia criminale, che lascerà perciò il capitalismo come tale immune da responsabilità, ma la conseguenza necessaria, in date circostanze specifiche, della sinistra razionalità inerente al modo di produzione capitalistico.

I crimini nazisti non sono l'eccezione dovuta alla follia, ma la punta estrema della normalità quotidiana del capitalismo. Dice l'uomo di cultura borghese: “Che relazione c'è fra la lotta di classe di cui parla Marx e l'odio oscuro ed ancestrale di una razza verso l'altra, senza nessun fine economico evidente, volto solo alla distruzione?
Lo vedete che non gli interessi delle classi in uno specifico modo di produzione, ma impulsi oscuri annidati nell'animo umano, senza alcuna precondizione, sono all'origine dei fatti storici? Lo scontro supremo non è perciò fra borghesia e proletariato, ma fra 'barbarie' fascista e 'civiltà' antifascista”.

Noi marxisti rispondiamo che proprio il fenomeno nazista con i suoi orrori può essere decifrato e compreso solo sulla base della teoria materialistica delle classi sociali, e può essere sradicato solo dalla vittoria della rivoluzione comunista e dalla sparizione della società borghese. 

 

La colpa è dello “straniero”

Esaminiamo brevemente i fatti. Alla fine della prima guerra mondiale, il proletariato tedesco condusse un attacco sfortunato al potere della borghesia. Questo attacco venne respinto con la strage di decine di migliaia di proletari e di comunisti, tra cui Rosa Luxemburg, Karl Liebknecht, Leo Jogisches. Il riflusso dell'ondata rivoluzionaria, consolidato dalla controrivoluzione staliniana, lasciò una borghesia ben decisa a non subire più simili spaventi. Al “mito” bolscevico della rivoluzione proletaria, la borghesia tedesca cercò di contrapporre
inizialmente il “modello” socialdemocratico. Aiutato dalla ripresa economica successiva alla crisi del 1923 e dalla conseguente possibilità di regalare alcune briciole alla
classe operaia, il borghese tedesco insinuò al proletario tedesco: “i tuoi compagni russi hanno fatto la rivoluzione, però soffrono la fame e la mancanza di libertà nel cosiddetto 'paradiso dei lavoratori'.
Quei tuoi compagni che in Germania hanno tentato di imitarli sono morti o scoraggiati. Noi, invece, al posto della rivoluzione, ti offriamo il benessere”.

L'effimero stato di benessere legato all'effimero boom degli anni '20 alimentato dai crediti americani (che altro non erano che le riparazioni di guerra tedesche girate al mittente) crollò con la crisi, prima americana, poi mondiale, iniziata nel '29. Il benessere si tramutò nel suo contrario e milioni di disoccupati affamati per le strade tedesche furono il segno del
crollo del “modello” socialdemocratico. Queste sofferenze dei proletari non alimentarono una ripresa rivoluzionaria, perché non esisteva sulla scena un partito comunista rivoluzionario, distrutto solo pochi anni prima dalla controrivoluzione staliniana.

Fu ancora il borghese tedesco adavere la parola. Egli disse, o si può immaginare che abbia detto, al proletario tedesco: “Non il capitalismo è responsabile dei tuoi mali, ma lo straniero. Gli stranieri hanno saccheggiato la Germania dopo la guerra perduta per il tradimento dei comunisti. I traditori socialdemocratici hanno consegnato parte della ricchezza nazionale
allo straniero sotto forma di riparazioni di guerra [il borghese tedesco non diceva che queste riparazioni erano tornate alla base sotto forma di crediti!]. Il guaio è che tu ti sei lasciato infinocchiare dagli stranieri, russi prima, americani poi. Tu non ti sei mai fidato di me, borghese tedesco, tuo compatriota, rovinato come te dalla sconfitta militare e dal saccheggio straniero. Perché non rendi nazionale il tuo socialismo, perché non cerchiamo tu ed io, d'amore e d'accordo, uniti contro lo straniero, di costruire un vero socialismo nazionale, un nazionalsocialismo?
Ecco la soluzione: il nazionalsocialismo, che, per economia di fatto e di inchiostro, chiameremo nazismo”.

Frastornato dalle sconfitte già subite, il proletariato tedesco non poté resistere a questo ulteriore attacco borghese e, nella sua rassegnazione, seguì. Il nazismo nasceva sulla base del disegno dell'unità nazionale di tutte le classi attorno allo Stato tedesco, assediato dagli altri imperialismi e anelante al suo “spazio vitale”. Occorreva però un segno visibile di questo pericolo straniero, che fosse evidente per le masse più arretrate, i contadini e la piccola borghesia, più ancora che per i proletari. Questo segno era necessario in Germania, perché lì più forte era stato nel 1919-20 l'attacco proletario alla truffa della “patria comune”. Occorreva perciò un segno evidente dello “straniero nascosto fra di noi”.

L'eredità delle epoche precapitalistiche aveva predisposto in Germania - come pure in altri paesi - un gruppo esposto all'odio delle masse arretrate: gli ebrei. Durante il Medioevo, essi erano vissuti nei pori della società feudale. Esclusi dalla principale fonte della ricchezza, il possesso della terra, erano stati confinati nel ruolo di mercanti e prestatori di denaro.
Poiché a quell'epoca lo scambio era poco importante, data la quasi autosufficienza del feudo, nessuno invidiò loro questa posizione. Essi erano disprezzati perché stranieri, ma non perseguitati. Le cose cambiarono quando, con la crisi del feudo e l'avvento della società mercantile, il possesso del denaro divenne importante. I contadini e gli artigiani, bisognosi di denaro, dovettero rivolgersi all'usuraio ebreo, che quindi divenne oggetto di rancore o addirittura di odio. I regimi dispotici dell'Europa orientale utilizzarono questa situazione per indirizzare contro gli ebrei il malcontento delle masse plebee, quando diventava troppo minaccioso per la stabilità delle istituzioni. Abbiamo così i pogrom in Russia ed in Polonia.

La rivoluzione borghese eliminò le leggi oppressive contro gli ebrei, ma nei paesi in cui il capitalismo fu introdotto dall'alto, come in Germania, il sentimento antiebraico restò vivo fra le masse più arretrate, tanto più che la grande maggioranza degli ebrei continuava a esercitare varie forme di commercio e una loro minoranza saliva ai vertici della finanza internazionale alimentando i rancori e i pregiudizi dei piccoli e medi borghesi e fornendo argomenti alla squallida demagogia delle campagne “antiplutocratiche” inscenate come valvole di sfogo al malessere della società.

Il capitalismo, che nella sua forma “pura” è antirazzista, laico, razionalista, egualitario, si trovò in eredità, in questi paesi, il razzismo e, nonostante i suoi principi, non lo sradicò, così come non sradicò la religione, la famiglia e gli altri relitti precapitalistici. Non lo fece perché esso non aveva più il feudalismo come nemico da combattere, ma aveva già di fronte il pericolo della rivoluzione proletaria. Rinunciando perciò ad attuare le parti secondarie del suo programma, la borghesia mise nella sua cassetta dei ferri anche questi lasciti del passato per disinnescare l'antagonismo della classe proletaria, sia instillandole la rassegnazione, sia organizzando la divisione nelle sue file. 

 

Addosso, quindi, al «colpevole»

Il passato aveva consegnato al presente l'ebreo come simbolo dello straniero esoso.

L'esigenza specifica della borghesia tedesca del 1930 era di possedere appunto questo simbolo: ecco quindi il nipote di Kant e di Goethe riscoprire i pregiudizi dell'oscuro Medioevo e metterli al servizio del proprio modernissimo imperialismo. Questo antiebraismo dei nazisti non implica ancora lo sterminio ed i campi di sterminio: negli anni Trenta, si limita ancora a discriminazioni e spettacolari persecuzioni, non si spinge ancora fino ai massacri.

Perciò molti borghesi ebrei - specie se “grossi” - restano ancora fedeli ai regimi fascisti. Essi intendono l'esigenza politica di questi regimi e il richiamo di classe prevale sul richiamo etnico.

La situazione muta radicalmente dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, quando, alla fine del 1941, l'imperialismo tedesco passa dall'offensiva alla difensiva. Fino ad allora la Germania aveva condotto le sue operazioni fidando nelle divisioni fra i suoi nemici e mirando alla costituzione di un imperialismo europeo sotto la propria egemonia, emulo e rivale dell'imperialismo nordamericano e di quello giapponese.

Alla fine del 1941, la Germania si trova però di fronte alla unione di tutti i suoi nemici, mentre la campagna di Russia comincia a far sentire il suo peso in termini di perdite umane. Il regime nazista, che in quel momento si trova ad avere in mano enormi territori e grandi quantità di manodopera disponibile, deve organizzare la resistenza contro l'attacco di tutti gli altri imperialismi coalizzati. Esso deve resistere nella speranza che il fronte nemico, minato da enormi contraddizioni, si rompa.

La Germania deve perciò mobilitare tutte le sue riserve umane, strappando i proletari dalla galera delle fabbriche per mandarli all'inferno del fronte. Ma chi ne
prenderà il posto in fabbrica? Ecco quindi la decisione fredda e feroce che qualunque altro imperialismo, nelle stesse condizioni, avrebbe adottato e certamente adotterà. Questa decisione fu presa dai dirigenti nazisti nella riunione governativa del 20-1-1942 a Wansee.

I proletari tedeschi sono mobilitati in massa e vanno al fronte. Il loro posto sarà preso dai proletari (e anche non proletari, “proletarizzati” per diritto di guerra) dei paesi occupati. Ad essi, date le circostanze, sarà estorto un plusvalore enorme, il più alto possibile; il loro salario sarà infimo, tale che per molti sarà al di sotto del minimo vitale. Ogni proletario “straniero” che morirà sarà sostituito subito da un altro. Ogni proletario “straniero” che si ammalerà sarà subito ucciso perché il capitale tedesco non può pagare l'assistenza malattia o le ferie.

Queste non sono le condizioni di funzionamento normale del capitalismo, ma possono ben essere le condizioni di funzionamento eccezionale di un imperialismo assediato. Gli altri imperialismi non hanno bisogno di ricorrere agli stessi “eccessi”, perché non si trovano nelle stesse condizioni di emergenza. Questa è la legge feroce dell'imperialismo, che sparirà solo quando la rivoluzione proletaria avrà cancellato questo lurido regime dalla faccia della terra.

 

Naturalmente neppure il nazismo può organizzare la deportazione di tutti i proletari in Germania. Anche il terrore più brutale può essere esercitato soltanto con il consenso, o almeno, la non-opposizione della maggioranza. Ecco perché gli ebrei. L'imperialismo tedesco aveva un urgente, indilazionabile bisogno di manodopera da sfruttare in modo eccezionale, fino all'ultima goccia di sudore e di sangue, buttandola via non appena cessava d'essere adoperabile. Esisteva d'altra parte un gruppo, gli ebrei (anche se c'erano altri gruppi discriminati), che per le condizioni precedenti erano stati isolati e messi nell’impossibilità di ricevere solidarietà. Ecco quindi i predestinati al lavoro e alla morteper la gloria tedesca, cioè per il profitto del capitale tedesco. Questa massa di deportati è avviata a lavori di scarsa qualificazione e grande sforzo fisico. Ad esempio, il Reich ha bisogno di materie prime, che normalmente importa. Ma ora le importazioni sono bloccate dalla guerra. Allora vengono sfruttati giacimenti minerari normalmente trascurabili. L'infimo salario pagato ai deportati li rende competitivi. Analogamente,i deportati vengono impiegati nel taglio degli alberi, nei lavori agricoli, nei più semplici lavori industriali. Essi sono addensati in Lager, vicino ai posti di lavoro. Così, il famoso Lager di Auschwitz è associato col grande complesso chimico Farbenindustrie.

Ogni grande complesso industriale tedesco riceve la sua razione di manodopera “schiava” da utilizzare intensivamente e buttare via quando non regge più allo sforzo. L'offerta di carne schiava eccede la domanda, il capitale tedesco può risparmiare il costo dell'assistenza sociale: niente pensioni o cassa malattia; per chi cede o non può cominciare c'è la camera a gas.

Quanto a coloro - vecchi o infermi, donne o fanciulli - che nello stesso “gruppo etnico” non sono in grado di lavorare, li si stermini: altrettante bocche in meno da nutrire, altrettanti “costi improduttivi” risparmiati da una società sgravatasi dall'obbligo di mantenerli...

Sono passati [più di 60 anni] da questo episodio orrendo dell'orrenda storia dell'imperialismo. Nel suo carattere estremo, esso illumina la condizione normale, quotidiana del capitalismo. Perciò la borghesia deve occultare la tragica chiarezza di questa vicenda; perciò deve mascherarla come l'effetto, non della razionalità della legge intrinseca del capitalismo, ma dell'irrazionalità della follia di individui o persino di
razze.

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°06 - 2009)

INTERNATIONAL COMMUNIST PARTY PRESS
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