DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Nel 1889, il militante socialsta August Bebel redasse in carcere un grosso volume dal titolo La donna e il socialismo, rimasto da allora uno dei classici del movimento operaio e comunista, e ciò indipendentemente dalla parabola del suo autore, approdato verso la fine della vita a un blando riformismo. Nel capitolo intitolato “La socializzazione della società”, Bebel riportava l'analisi del prof. Theodore Hertzka, autorevole economista austriaco, sulla possibilità, offerta da un'organizzazione razionale della società, cioè da un modo di produzione superiore a quello capitalista, di ridurre drasticamente la giornata di lavoro, aprendo così nuove prospettive alla vita in una società senza classi come il comunismo. Nel ricordare che da allora sono passati quasi 130 anni, con relativo enorme sviluppo delle forze produttive, riportiamo l'intero brano più che eloquente:

“Ciò che si possa guadagnare in tempo, mediante una produzione fondata sopra una base più razionale venne calcolato dal prof. Th. Hertzka di Vienna nel suo lavoro ‘Le leggi del progresso sociale’. Egli indagò quale dispendio di forze e di tempo è necessario per soddisfare i bisogni dei 22 milioni della popolazione austriaca sulla scorta della produzione oggi possibile. A tal uopo, il prof. Hertzka fece delle ricerche esattissime sulla potenzialità di produzione delle diverse industrie, traendone i suoi calcoli. Vi è compresa la conduzione di 10 milioni e mezzo di ettari di suolo coltivabile, e di 3 milioni di ettari di pascoli, che bastano a fornire la produzione di prodotti agricoli e animali per la popolazione sue sposta. Inoltre il prof. Hertzka comprese nel suo calcolo la fabbrica di abitazioni, in modo che ogni famiglia occupi una casetta di 150 metri quadrati con 5 locali, funzionale per la durata di 50 anni. Ne seguì che per l’economia agricola, per la produzione delle farine e dello zucchero, per l’industria del carbone, del ferro e delle macchine, delle vesti e per l’industria chimica, sono necessarie solo 615.000 forze lavoratrici, che potrebbero essere operose per un anno secondo la media ordinaria del lavoro giornaliero. Senonché queste 615.000 teste non formano che il 12,3% della popolazione austriaca atta al lavoro, se si escludono tutte le donne e tutti gli uomini che non hanno raggiunto i 16 anni e che hanno varcato i 50. Ma se fossero occupati tutti i 15 milioni di uomini come i 615.000, bisognerebbe che ognuno di essi lavorasse solo 36,9 giorni, cioè 6 settimane in cifra rotonda, per allestire ciò che abbisogna a 22 milioni di abitanti. Se noi prendiamo 300 giorni di lavoro in luogo di 37, ammesso che la giornata di lavoro sia oggi di 11 ore, non sarà necessaria nella nuova organizzazione del lavoro che un’ora e 3/8 di ora di lavoro al giorno, per soddisfare i bisogni più urgenti. L’Hertzka tiene conto anche dei bisogni voluttuari delle persone più colte, e trova che per soddisfarli sarebbero necessari altri 315.000 operai su 22 milioni di abitanti. Insomma, avuto riguardo ad alcune industrie insufficientemente rappresentate in Austria, sarebbe necessario, secondo l’Hertzka, un milione di operai e cioè il 20 per cento della popolazione maschile atta al lavoro, esclusa quella che non ha raggiunto i 16 anni o che ha varcati i 50, per coprire in 60 giorni il bisogno complessivo della popolazione. Quindi se noi teniamo conto di tutta la popolazione maschile atta al lavoro, dobbiamo conchiudere che questa dovrebbe lavorare due ore e mezzo al giorno in media”.

Lasciamo pur perdere i “bisogni voluttuari delle persone più colte”. Quello che c’interessa sono quelle “due ore e mezzo al giorno in media”, già possibili a fine ‘800 in un piccolo Paese come l’Austria: 130 anni dopo…

In una nota a piè di pagina, Bebel aggiunge anche: “Che ne dice il signor Eugenio Richter di questo calcolo di un economista nazionale? Nelle sue Dottrine erronee, egli mette in canzonatura la enorme abbreviatura di lavoro esposta in questo mio scritto, determinata dal dovere generale di lavorare e dalla più alta organizzazione tecnica dei sistemi di lavoro. Egli cerca di abbassare la potenzialità produttiva della grande industria e di gonfiare la importanza delle piccole industrie per poter affermare che non si può effettuare la asserita maggior produzione. Per far quindi credere impossibile il socialismo, cotesti difensori dell’attuale ordine di cose devono discreditare i pregi della loro stessa società”.

Sembra oggi!

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