DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

“[…] specificherei così la sua posizione principale: secondo la concezione materialistica della storia, il fattore in ultima istanza determinante nella storia è la produzione e riproduzione della vita reale. Nulla di più né Marx né io abbiamo mai affermato. Se ora qualcuno travisa la questione nel senso che il fattore economico sia l’unico, egli trasforma quella proposizione in una frase astratta, assurda, che non dice nulla. La situazione economica è la base, ma i diversi fattori della sovrastruttura – forme politiche della lotta di classe e suoi risultati, costituzioni introdotte dalla classe vittoriosa dopo vinta la battaglia, ecc., forme giuridiche, e persino i riflessi di tutte queste lotte reali nel cervello di chi vi partecipa, teorie politiche, giuridiche, filosofiche, concezioni religiose e loro ulteriore svolgimento in sistemi di dogmi – esercitano pure la loro influenza sul corso delle lotte storiche, e in molti casi ne determinano decisamente la forma. V’è azione e reazione fra tutti questi fattori, azione e reazione attraverso la quale il movimento economico si afferma in ultima istanza come elemento necessario entro l’infinita congerie di casi accidentali (cioè di cose ed eventi il cui nesso interno è così remoto o indimostrabile, che possiamo considerarlo inesistente, e quindi trascurabile). Se così non fosse, l’applicazione della teoria ad un periodo qualunque della storia sarebbe più facile della soluzione di una semplice equazione di primo grado. Noi stessi facciamo la nostra storia, ma anzitutto in premesse e condizioni ben determinate. Fra queste, sono decisive, in ultima analisi, quelle economiche. Ma anche quelle politiche ecc., anzi, perfino la tradizione mulinante nelle teste degli uomini, hanno una parte, sebbene non la decisiva. […] Ma, in secondo luogo, la storia si fa in modo tale che il risultato finale scaturisce dall’urto di molte volontà singole, ciascuna determinata a essere quella che è da condizioni particolari di vita. Esistono dunque innumerevoli forze che si intersecano, un gruppo infinito di parallelogrammi delle forze da cui esce una risultante, l’evento storico, che a sua volta può essere considerato come il prodotto di una forza agente come tutto in modo inconscio e involontario. Infatti, ciò che ogni singolo vuole è impedito da ogni altro, e quel ch ne risulta è qualcosa che nessuno voleva. Così la storia procede, finora, a guisa di processo naturale e soggiace sostanzialmente alle medesime leggi di movimento.

“Ma dal fatto che le volontà singole – ognuna delle quali vuole ciò che la spingono a volere o la sua costituzione fisica o circostanze esterne in ultima istanza economiche (sue proprie personali o generali e sociali) – non raggiungono quel che vogliono ma si fondono in una media complessiva, in una risultante comune, non si può dedurre che debbano essere poste = 0. Al contrario, ognuna contribuisce alla risultante e, in tali limiti, vi è compresa”.

(Lettera a J. Bloch, 21/1/1890)

 

“Per il resto, manca soltanto un punto, che negli scritti di Marx e miei non è mai stato messo abbastanza in rilievo, e in merito al quale abbiamo tutti eguale colpa. Abbiamo cioè, prima di tutto, fatto cadere l’accento principale sulla derivazione delle concezioni politiche, giuridiche e, in generale, ideologiche, e delle azioni da esse mediate, dai fatti economici di base. Così facendo, abbiamo trascurato il lato formale a favore di quello sostanziale: il modo in cui queste concezioni ecc. nascono. Ciò ha offerto agli avversari un comodo appiglio a malintesi e travisamenti […]. L’ideologia è un processo che il cosiddetto pensatore compie bensì con coscienza, ma con falsa coscienza. Le vere forze agenti che lo muovono gli restano sconosciute; se così non fosse, non si tratterebbe di un processo, appunto, ideologico. Egli quindi si immagina delle false o, rispettivamente, illusorie forze agenti. Trattandosi di un processo raziocinante, egli ne deduce sia il contenuto sia la forma del puro pensiero, il suo o quello dei suoi predecessori. Lavora con puro materiale intellettivo che, senza accorgersene, egli crede prodotto dal pensiero, non preoccupandosi di andare in cerca di un’origine più remota, indipendente dal pensiero; e tutto ciò gli riesce di per sé evidente, perché ogni azione in quanto mediata dal pensiero gli appare anche fondata nel pensiero.

“L’ideologo storico (qui, storico deve stare sinteticamente per politico, giuridico, filosofico, teologico, insomma per tutti campi appartenenti alla società e non soltanto alla natura), l’ideologo storico, dunque, dispone in ogni campo scientifico di un materiale enucleatosi autonomamente dal pensiero di generazioni precedenti e che ha percorso nel cervello di queste successive generazioni una serie autonoma e tutta sua propria di sviluppi. Certo, fatti esterni, appartenenti al suo o ad altri campi, possono avere influito in modo codeterminante su tali sviluppi; ma questi fatti, secondo la tacita premessa, non sono a loro volta che semplici frutti di un processo intellettivo, e così continuiamo a muoverci nell’ambito del puro pensiero, il quale, a quanto sembra, ha felicemente digerito anche i fatti più duri. E’ soprattutto quest’apparenza di una storia indipendente dalle costituzioni statali, dei sistemi giuridici, delle concezioni ideologiche in ogni particolare campo, che acceca i più. […] A tutto ciò si collega la sciocca concezione degli ideologi, secondo cui, poiché neghiamo alle diverse sfere ideologiche che recitano una parte nella storia uno sviluppo storico indipendente, negheremmo loro anche ogni efficacia storica. Alla base di ciò è la volgare concezione antidialettica di causa e di effetto come poli rigidamente contrapposti, l’assoluta dimenticanza dell’azione e reazione reciproca. Che un fattore storico, una volta dato alla luce da altre cause, in definitiva economiche, possa a sua volta reagire sul mondo circostante e perfino sulle sue stesse cause, quei signori lo dimenticano…”

(Lettera a F. Mehring, 14/7/1893)

 

“Noi consideriamo le condizioni economiche come l’elemento determinante, in ultima istanza, dell’evoluzione storica. Ma la razza è essa stessa un fattore economico. Vi sono qui però due punti che non si devono trascurare:

“a) l’evoluzione politica, giuridica, filosofica, religiosa, letteraria, artistica, ecc., poggia sulla evoluzione economica. Ma esse reagiscono tutte l’una sull’altra e sulla base economica. Non è che la situazione economica sia causa essa solo attiva e tutto il resto nient’altro che effetto passivo. Vi è al contrario azione reciproca sulla base della necessità economica che, in ultima istanza, sempre s’impone. […] Non si tratta quindi, come talvolta si vorrebbe comodamente immaginare, di un effetto automatico della situazione economica; è che gli uomini fanno sì essi stessi la loro storia, ma in un ambiente dato, che li condiziona, sulla base di rapporti reali, esistenti in precedenza, tra cui i rapporti economici, per quanto possano venire influenzati dai rimanenti rapporti politici e ideologici, sono però in ultima istanza i decisivi e costituiscono il filo rosso continuo che solo permette di capire le cause.

“b) Gli uomini fanno essi stessi la loro storia, ma finora neppure in una determinata società ben delimitata, non con una volontà collettiva, secondo un piano d’assieme. I loro sforzi si intersecano contrastandosi e, proprio per questo, in ogni società di questo genere regna la necessità, il cui complemento e la cui forma di manifestazione è l’accidentalità. La necessità che s’impone attraverso ogni accidentalità è di nuovo, in fin dei conti, quella economica. […]

“Lo stesso vale per tutti gli altri fatti casuali o apparentemente casuali nella storia. Quanto più il terreno che stiamo indagando si allontana dall’economico e si avvicina al puro e astrattamente ideologico, tanto più troveremo che esso presenta nella sua evoluzione degli elementi fortuiti, tanto più la sua curva procede a zig-zag. Ma se lei traccia l’asse mediana della curva, troverà che quanto più lungo è il periodo in esame, quanto più esteso è il terreno studiato, tanto più questo asse corre parallelo all’asse della evoluzione economica”

(Lettera a W. Borgius, 25/1/1894)

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