DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Anno nuovo, scuola vecchia

Sul numero 5-6 (ottobre-dicembre 2020) di questo giornale avevamo già dedicato ampio spazio al mondo della scuola e della sua condizione disastrosa, aggravata dalla emergenza pandemica (Una scuola con... le rotelle). A qualche mese di distanza, vi torniamo sopra per analizzare nel dettaglio l'evolversi della situazione, poiché a livello ministeriale sono stati approvati nuovi provvedimenti di legge, adottati per giocare d'anticipo su possibili atteggiamenti... indisciplinati da parte dei lavoratori del settore.

Tutte le promesse della ormai ex ministra, miranti a far partire le lezioni con puntualità, garantendo la copertura delle cattedre e la sicurezza nelle aule sono state disattese. Tuttavia, in questa sede, a noi non interessa di mettere alla berlina l'incapacità dell’ultimo governo o della ex ministra, visto che quest'ultima è riuscita a rendersi ridicola benissimo da sola. Benché rimanga assodato che la sua incapacità e le sue scelte bislacche l’hanno resa nota alle cronache in modo ben poco eroico...

Sta di fatto che, la crisi economica e l'emergenza virus hanno impresso una nuova spinta anche nell'organizzazione scolastica, accelerando quei processi che erano già in atto da alcuni decenni e che oggi impongono, sempre più, di dare un ulteriore giro di vite alla tanto osannata concertazione. Si pensi, per esempio, all'iniziale utilizzo dei cosiddetti “contratti Covid” (norma del DL Agosto), che avevano introdotto la possibilità di licenziamento per giusta causa, senza diritto a risarcimento in caso di lockdown, dei docenti e personale ATA coinvolti. Questo provvedimento è stato poi ritirato nella versione finale del DL pubblicato in Gazzetta Ufficiale nel mese di novembre, anche se permangono incertezze sulla interpretazione di tale modifica e, di conseguenza, molti docenti – in modo del tutto fisiologico – continuano a rinunciare alle chiamate. Riguardo al personale ATA, è stato necessario emanare una ulteriore precisazione in grado di riportare la calma fra i nuovi assunti, poiché sembrava quasi che questi fossero stati esclusi dal provvedimento correttivo. Tuttavia, eventuali nuovi contratti saranno legati al budget di ogni singola scuola e, pertanto, si tratterà di contratti “strettamente necessari”. In sostanza, dal Ministero si lascia intendere “no al licenziamento, ma stop a nuovi contratti”: anche se – è bene sottolinearlo – fino al mese di marzo sono stati registrati ritardi gravi nel pagamento del personale di nuova assunzione, soprattutto di quello con contratto temporaneo, a riprova del fatto che le casse dello Stato iniziano a manifestare una preoccupante sofferenza. In effetti, il problema si presenta anche per tutti quegli statali che erano in attesa degli aumenti di stipendio promessi, ma che, a causa dell'acuirsi della crisi economica, rimangono in attesa di rinnovo contrattuale, vale a dire ben oltre 3,5 milioni di dipendenti pubblici. I tanto annunciati quattrini promessi con la legge di Bilancio approvata dal governo Conte lo scorso anno non si vedono neppure con il nuovo governo, il quale sembra avere proprio una brutta gatta da pelare, dato che l’INPS, tramite il CIV – Consiglio di Indirizzo e Vigilanza dell’Istituto previdenziale –, prevede un bilancio disastroso per il 2021: gli esborsi sostenuti per fare fronte all’emergenza epidemiologica gravano sulle casse in maniera pesantissima.

Di conseguenza, i pagamenti dei dipendenti della scuola e di quelli pubblici in generale e delle pensioni diventeranno sempre più difficoltosi. Lo Stato borghese procede nella prassi consolidata di scaricare sulla classe lavoratrice la crisi economica in atto, togliendosi sempre più la maschera della democrazia.[1]

Va detto che, per ora, gli insegnanti non sono stati in grado di opporre una resistenza efficace e proficua alla politica del governo, e hanno subito la feroce critica di giornali e “opinione pubblica”: sono stati costretti a sostenere le prove del concorso in piena pandemia, spostandosi da una regione all'altra senza le benché minime tutele e subendo gli strali del Ministero. Di fatto, sono stati sempre più avviluppati in quei meccanismi statuali di controllo imposti anche nel mondo della scuola e dall'affermazione di quello che somiglia sempre più al modello aziendale. Basterebbero questi pochi esempi per evidenziare la crescente pervasività dello Stato e il dominio totale delle leggi di mercato anche all'interno delle aule scolastiche, eppure, la nostra analisi sarebbe incompleta se non cercassimo, da un lato, di delineare come gli ultimi provvedimenti legislativi si coniughino perfettamente con tutte quelle misure che il complesso apparato di controllo borghese, sia ideologico che materiale dell’azienda, servano a soggiogare ogni tentativo di lotta delle classi lavoratrici e, dall'altro, valutare quale tipo di risposta o di lotta abbiano dato o si preparino a dare i lavoratori del mondo della scuola.

Si abbassi il volume della protesta!

Nonostante la situazione all'interno della scuola non sia delle più rosee, ma a ogni piè sospinto mostri la tendenza ad aggravarsi, il corpo docente è ben distante dall'organizzarsi per utilizzare l'unica arma che ha a propria disposizione. Tuttavia, la borghesia, sa bene quale potrebbe essere la conseguenza di un blocco delle attività didattiche, poiché questo potrebbe contribuire ad infiammare anche altri settori lavorativi o addirittura unirsi a questi. Dunque, il Ministero si è mosso in anticipo, tarpando ulteriormente le ali ai più intraprendenti esponenti sindacali della scuola, nonostante permangano ancora ben ancorati ai dettami dei “regolamenti vigenti”.

Ma procediamo con ordine. La legge borghese dice che – art. 40 della Costituzione – il diritto di sciopero dei lavoratori è garantito e nella scuola questo è esercitabile, nel rispetto delle disposizioni della legge 146/90, modificata ed integrata dalla legge 83/2000, da tutto il personale con contratto a tempo indeterminato e determinato. Nella fattispecie, anche un docente supplente con contratto di pochi giorni potrebbe partecipare ad un eventuale sciopero, poiché si tratterebbe di una astensione dal lavoro e non di una assenza, comportando solo effetti negativi sulla retribuzione e non sullo stato giuridico. Ciò nonostante, appare sempre più chiaro quale sia il progetto della borghesia nostrana, specie dopo l'approdo al governo del Movimento Grullino: con il benestare e la firma di CGIL, CISL, UIL, SNALS, GILDA ed ANIEF viene, in sostanza, non solo limitato ma massacrato quello che ancora ci si ostina stoicamente a definire diritto allo sciopero. Il ministro, che si muove al ritmo delle indicazioni proposte dai piani alti, dove lavorano nell'ombra gli strateghi del mondo dell'istruzione, ha sancito una sorta di divieto di sciopero al personale ATA. Inoltre, è stato elevato da 7 a 12 giorni l'intervallo minimo fra lo sciopero di una qualsiasi organizzazione sindacale e quello dichiarato, almeno sulla carta, da una eventuale altra sigla. Tuttavia, non finisce qui! Le RSU non avranno più possibilità alcuna di intervenire nella predisposizione dell'adeguamento delle regole di un singolo istituto, dal momento che ogni dirigente scolastico avrà la possibilità di contrattare solo con i rappresentanti delle organizzazioni sindacali... ufficialmente riconosciute, ovvero quelle di regime che hanno il compito di... raffreddare – così si legge nelle indicazioni ministeriali! – eventuali situazioni che generano preoccupazione. Nella comunicazione relativa a un determinato sciopero fra le scuole e le famiglie, saranno inclusi da questo momento in poi i dati sulla rappresentatività nazionale delle sigle proclamanti, unitamente alle percentuali di adesione agli scioperi proclamati in precedenza. Per giunta – come se non bastasse! – il ministero avrà la prerogativa di decidere se uno sciopero possa essere definito o meno... legittimo, con il fine precipuo di bloccare sul nascere ogni tentativo di sciopero dei sindacati di base. Per finire, non solo non sarà più consentito indire una giornata di sciopero dall'1 al 5 settembre o per i primi tre giorni successivi alle vacanze natalizie o pasquali, ma addirittura in caso di avvenimenti eccezionali o di emergenza – gli ultimi anni sono un susseguirsi di emergenze – gli scioperi possono essere sospesi immediatamente e ministero e sindacati firmatari potranno decidere a livello nazionale se uno sciopero gode di legittimità oppure no. Si assottiglia, insomma, lo spazio di manovra. Diversi articoli sono usciti sulla stampa per dare indicazioni sulle procedure di raffreddamento e conciliazione in caso di sciopero nel comparto Istruzione, unitamente a tutta una nuova filosofia che dovrebbe rendere edotti i docenti su un... nuovo modo di scioperare.

Naturalmente, la situazione è in costante evoluzione e dovremo sicuramente tornarci su in futuro e sarebbe presuntuoso racchiudere in poche pagine una situazione tanto complessa e articolata.

 

Un cappio che si stringe attorno al collo

Se qualcuno avesse ancora dei dubbi, comprese le anime pie sempre facili prede di illusioni democratiche, è chiaro che si tratta di un vero e proprio attacco frontale, in barba a quei diritti che la stessa borghesia... graziosamente concede [2]. La borghesia italiana – ma negli altri paesi la solfa non cambia di una virgola – impone che, prima di indire uno sciopero, le parti sono tenute a confrontarsi per tentare una conciliazione davanti ad appositi organismi da istituire presso i Provveditorati, certi del fatto che le sigle sindacali che si muovono fedelmente ai cenni della borghesia saranno ben disposte a chinare il capo e dire: “Obbedisco”.

In tutti i settori, compreso quello della scuola, i principi della contrattazione tra le parti sociali, le norme sulla rappresentanza sindacale, le nuove regole sui contratti di lavoro specie per quelli aziendali, la democrazia borghese si mostra per quello che nella realtà è sempre stata: uno strumento di dominio di una classe su un'altra. La borghesia sente che, con l'acuirsi della crisi, saranno sempre più necessarie misure repressive nei confronti di una classe operaia che già mostra segni di insofferenza, sollecitata da una emergenza pandemica che non sta facendo altro che aggravare gli effetti di una crisi che era già in atto da tempo.

Ha poca importanza la tutela della salute dei lavoratori della scuola, così come ne ha poca quella degli studenti. Ha fatto scalpore, infatti, la notizia secondo cui, in totale autonomia, gli studenti del liceo Severi Correnti di Milano si sia quotato per comprare i test rapidi e dimostrare che anche con pochi mezzi sarebbe possibile garantire un minimo di sicurezza all'interno delle aule (Il Messaggero, 17/1). 

Tutto vero: ma ci si dimentica di dire che alla borghesia la salute importa solo se ha... valore monetario.

Già a gennaio dell'anno scorso, Orizzontescuola scriveva – allarmato – che la riforma dello sciopero, con il suo obbligo di adesione preventiva, sarebbe terminato con la neutralizzazione del diritto di sciopero: “Una regolamentazione che rischia di essere pesantemente restrittiva, peggiorativa, rispetto al passato. Si limita il diritto di sciopero” (Orizzontescuola, 20 gennaio 2020). Poveri ingenui! Ancora a fidarsi della magnanimità del ministero, braccio armato di uno Stato borghese che sa bene quando gettare la maschera della democrazia per imporre un comportamento più adeguato ai tempi che corrono. Forse si sono dimenticati di quando nel Bel Paese, per decenni, scioperare nella Pubblica Amministrazione comportava la realizzazione di un reato e si rischiava la condanna fino a due anni di galera. Forse dimenticano che, con la legge 107 del 2015 (la cosiddetta “Buona Scuola”), lo sciopero veniva già reso un'arma spuntata. A piccoli passi – o forse nemmeno tanto piccoli – si va verso la comunicazione preventiva dell'adesione allo sciopero. Per il momento, l'accordo tra ARAN – Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni – e sindacati prevede esclusivamente la comunicazione dell'adesione allo sciopero delle sigle sindacali, anche se già da qualche anno i dirigenti scolastici della scuola primaria hanno iniziato a chiedere a gran voce l'obbligatorietà della comunicazione della propria adesione. Il punto rimane il solito: se la scuola non garantisce il servizio di babysitting (nessuno si faccia illusioni sul fatto che la scuola sia il luogo in cui il proletariato svilupperà una propria coscienza tale da permettergli di rovesciare la classe che lo domina!), i genitori degli scolari più piccoli non possono andare a lavorare in piena tranquillità, e quindi si inceppano quei meccanismi produttivi tanto cari alla borghesia. Tutto ciò è ovviamente in linea con le scelte fatte nelle “zone rosse”: le scuole elementari e medie rimangono aperte e garantiscono il servizio, e tutta la retorica sul virus, i contagi, la sicurezza lasciano il tempo che trovano. Il virus che la borghesia teme per davvero è quello della contrazione del PIL…

Tuttavia, noi comunisti ribadiamo con forza che lo sciopero non può e non deve essere ridotto a un semplice diritto borghese, concesso in base agli umori del mercato o all'andamento della Borsa, poiché esso rappresenta l'arma che il proletariato utilizza per difendere le proprie condizioni di vita e di lavoro. In sostanza, come tale bisogna ricominciare ad usarlo: senza preavviso, senza limiti di tempo, estendendolo a quante più categorie possibili, così da unificare i vari comparti e colpire la classe dominante proprio laddove il suo cuore sanguina più facilmente, ovverosia negli interessi economici e nel profitto. Pertanto, esso non deve né può essere subordinato a regole o restrizioni, tanto meno a un disarmante obbligo di comunicazione preventiva, nel rispetto di una disciplina imposta unilateralmente dall'alto – un gesto, questo, che è già ascrivibile a uno di quei rigurgiti di fascismo che ancora l'ingenuità antifascista non riesce a cogliere. In questo senso, oggi, la scuola rappresenta un laboratorio nel quale sperimentare le misure repressive che, in un secondo momento, verrebbero estese anche al settore privato, d'accordo con le necessità borghesi.

Di solito è così che avviene nei settori della produzione: il padronato si rivolge allo Stato, e quest'ultimo interviene affinché s’imponga la rapida regolamentazione dello sciopero in un primo momento e che sia impedito, in un secondo. Ma c'è di più. Immediatamente dopo, le organizzazioni sindacali – ormai da tempo trasformatesi in corporazioni dello Stato borghese – sostengono e approvano tali provvedimenti, nel loro atteggiamento sempre più falso e mefitico, poiché svolgono il ruolo di sorveglianti, così da garantire che la produzione proceda senza intoppi, senza ritardi. Il loro fine ultimo è quello di fare da guardiani e di spuntare l'arma di lotta del proletariato che, per il momento solo in modo spontaneo, è portato a reagire sulla pressione di condizioni di esistenza che vanno deteriorandosi con accelerazioni, fasi di quiescenza e decise spinte evolutive. Questo avviene anche nel mondo della scuola, là dove si addestrano e si formano i lavoratori del futuro, un esercito di riserva che dovrà competere nelle galere dello sfruttamento salariale.

Culturismo e... culturisti

Certo che cercare un sostegno valido nel mondo della “piccola borghesia scolastica” sarebbe quantomeno ingenuo, giacché socialmente gli insegnanti rappresentano una sorta di guardia bianca della classe lavoratrice, così che questa non si azzardi a spezzare le catene del sistema di produzione capitalistico. Eppure, proprio gli insegnanti sono i primi ad essere sacrificati sull'altare della crisi, poiché il settore dell'istruzione è un ramo secco, improduttivo, e quindi può essere reciso ben prima di altri.

Non risulta difficile intuire che, l'obiettivo della scuola borghese non mira allo sviluppo della persona umana, delle sue molteplici capacità intellettuali e fisiche, ma piuttosto mira a creare schiavi ubbidienti, affinché già da piccoli introiettino con gioia l'ideologia dominante ed essere così tenuti sotto il giogo del capitale una volta inseriti nel mondo della produzione, laddove si deteriora e si distrugge in modo irrimediabile la carne, il sangue e il cervello di milioni di lavoratori, tramite lo sfruttamento del lavoro umano.

Da questo punto di vista, le organizzazioni sindacali di regime iniziano ad applicare nella scuola le stesse misure che i padroni di Confindustria impongono nel mondo delle fabbriche, imponendo i codici di autoregolamentazione degli scioperi. Quando si sentono i vari ministri sbraitare, dicendo che la scuola deve essere riaperta – negando i rischi di contagio nelle scuole e sui mezzi di trasporto, e per ridurre i quali nulla è stato fatto – assistiamo a quello che Confindustria definisce un “obbligo sociale”. Non si possono mantenere le scuole chiuse, perché altrimenti i figli resterebbero a casa e, di conseguenza, i genitori non potrebbero andare a produrre il profitto per la borghesia. Infatti, le scuole medie ed elementari sono rimaste in presenza in questo nuovo anno scolastico, anche nei momenti in cui la curva dei contagi aveva raggiunto livelli simili a quelli di marzo 2020.

Anche gli insegnanti devono svolgere a capo chino il proprio compito sociale, perché è il Capitale che lo esige. Il sistema capitalistico ha dimostrato che il sacrificio va imposto anche loro e, da questa prospettiva, le organizzazioni sindacali affiliate alla borghesia devono sanificare e delimitare le pretese dei professori, dei maestri e del personale ATA, perché ciò che conta prima di tutto sono gli interessi degli sfruttatori, raggiungibili unicamente attraverso la “pace sociale”.

Di fatto, queste nuove misure sulla regolamentazione dello sciopero, il controllo autoritario e punitivo sono imposte all'universo della scuola per spezzare la resistenza di un settore che fino a poco tempo fa condivideva con l'aristocrazia operaia un trattamento di favore – la fuga emorragica dalle organizzazioni sindacali ufficiali che in passato possedevano il monopolio della rappresentanza nelle scuole non è altro che un sintomo evidente dello scoramento nei confronti del loro operato. Questa classe media di intellettuali gode nel magnificarsi, nel celebrarsi quale classe che venera e pontifica nelle aule scolastiche l'affermazione positiva del lavoro salariato. Per questo motivo, il corpo docente rappresenta fra i lavoratori proprio quella parte che ha timore di lottare, ormai assuefatta e pervasa da una inerzia che le impedisce anche di difendere le proprie condizioni di lavoro, in quanto ancora privilegiate se paragonate ad altri settori lavorativi.

Nella definizione che Gramsci da di cultura – “Ha cultura chi ha la coscienza di sé e del tutto, chi sente la relazione con tutti gli altri esseri” – troviamo proprio l’idea del dover possedere individualmente una coscienza “di classe” e di appartenenza alla specie umana. Ma il proletariato come classe non può avere questo tipo di consapevolezza, nel modo di produzione borghese: per la sua collocazione nel sistema produttivo e di conseguenza nella società. E a nulla servirebbe lo sforzo di innalzare il livello culturale o intellettivo di una massa intesa solo come sommatoria di individui, come premessa per poter comprendere che questo sistema di produzione debba essere superato. Il proletariato come massa impara per esperienza e solo una minoranza del proletariato, nelle condizioni reali di vita all’interno del capitalismo, può comprendere il processo storico di cui è parte.

I docenti, quella parte della classe media che ha velleità di poter svolgere un simile compito, non è nemmeno più in grado di porsi tali obiettivi sia perché è il prodotto di una decadenza che sempre più infetta i gangli nervosi del mondo della scuola e della ricerca sia perché, rispetto all’idea del “culturismo” di Gramsci e di Tasca (alla quale si oppose già nel 1912 la giovane Sinistra Comunista) [3], non si pone nemmeno più quell’obiettivo di formare – in termini di idealismo gramsciano, appunto – la classe proletaria.

Proprio nel mondo della scuola si vede e si percepisce sempre più l’azione della classe borghese che impone a ritmi incalzanti la didattica dell’obbedienza, del rispetto delle leggi civili e sociali, l’accettazione del mondo borghese senza nemmeno porsi più domande o dubbi. Risulta sempre più pressante l’azione dei pedagoghi ministeriali che impongono le lezioni di educazione civica per tutte le materia, spalmandole su un monte orario molto più ampio che in passato, imponendo tematiche quali la costituzione, il rispetto di quelle leggi che non sono altro che l’emanazione del volere della classe dominante, la venerazione dello Stato inteso come arbitro super partes – il padre buono che interviene per regolare i rapporti fra le classi, la cui esistenza ormai più nessuno è in grado di occultare o negare – e quindi l’attaccamento alla nazione e alla patria che tutti protegge e tutti difende. E che, in un secondo momento, dovrà essere difesa con il sacrificio! La classe dei docenti, a tutti i livelli, pretende di acculturare le masse al fine di impedire che la borghesia infranga quelle leggi che essa stessa ha proposto e propone per il… bene comune. Siamo ovviamente giunti, paradossalmente, alla chiusura di quella parabola iniziata con l’idealismo di matrice gramsciana, quando il filosofo sardo proponeva l’evangelico grido di: “Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza”, vittima dell’illusione che il riscatto dei proletari dovesse per forza di cose passare attraverso l’istruzione.
Tuttavia, come si vede dalla situazione storica attuale, la classe dominante sta sempre più limitando quelle libertà borghesi che potevano fare comodo in un periodo di espansione economica, perché essa ha una memoria storica e comprende che deve agire per allontanare quel pericolo di deflagrazione che giorno dopo giorno tende a concretizzarsi assumendo una direzione centripeta[4].

Ovviamente, le leggi borghesi che castrano il diritto di sciopero e la sua azione didattica nelle aule sono destinate a fallire sotto l’azione di spinte materiali inarrestabili.

Con il suo “culturismo” piccolo-borghese, nel 1912 Tasca vedeva il problema dei ritardi del movimento rivoluzionario nell'essere “incolti”, nell'avere “scarsa coscienza di classe”. Un comunista sa bene che non è così. Nella polemica con lui, si rispose in linea con la tradizione marxista: la chiave di volta non può essere la cultura, la quale è e resta borghese – e nessun riformismo riuscirà a cambiarla: solo la lotta e il combattimento potranno farlo. Il punto della questione sta nel fatto che la rivoluzione si sviluppa a partire da condizioni oggettive, da condizioni materiali di esistenza possenti, le quali obbligano masse enormi di proletari, esasperati quanto inconsapevoli, a muovere guerra contro un regime che opprime e che violenta. Un concetto, questo, ribadito anche da Lenin: “Finché si tratta di attrarre dalla parte del comunismo l'avanguardia del proletariato, il primo posto spetta alla propaganda. [...] Quando si tratta dell'azione pratica delle masse, quando si tratta di schierare eserciti di milioni di uomini, di disporre tutte le forze di classe di una data società per l'ultima e decisiva battaglia, allora, con i soli metodi della propaganda, con la sola ripetizione delle verità del comunismo ‘puro’, non si ottiene nulla.” (Lenin, L’“estremismo”, malattia infantile del comunismo, Cap. 10: Alcune conclusioni).

Una sola via d'uscita: la rivoluzione

L'idea “culturista”, diffusissima fra i sinistri... docenti prevede sempre una soluzione nell'innalzamento del livello di coscienza delle masse oppresse, ma l'assalto rivoluzionario non sarà il prodotto di una diffusione capillare della tanto osannata “coscienza di classe”. La classe oppressa è portata, in qualsiasi epoca, ad abbracciare l'ideologia della classe dominante, nella stessa misura in cui tanti spontaneisti e riformisti sono intrisi del percolante culturismo e idealismo borghese e, ancor peggio, piccolo-borghese. Le masse proletarie non saranno in possesso della chiara visione della tattica e della strategia, del programma e delle finalità del comunismo, ma saranno costrette a muoversi perché esasperate dall'infinita tirannia delle necessità della vita: la benzina della rivoluzione sarà la fame, sarà la miseria, la crisi sociale e politica generalizzate.

Per ora, le azioni di protesta si sono limitate a qualche sciopero con (purtroppo) una scarsa partecipazione, a causa anche della emergenza pandemica, e comunque su posizioni che si rifanno in modo ostinato e passivo alle leggi borghesi e ai diritti democratici. Si perde ancora tempo a contestare l’attacco allo sciopero in termini di diritto, e molte lotte ancora saranno necessarie per comprendere che lo sciopero è una questione di rapporti di forza. Rapporti di forza che scavalcano e sovrastano qualsiasi legittimità formale. Il compito nostro è, insieme all’esperienza, quello di spiegarlo, con la pratica sindacale e politica, alle avanguardie del proletariato e alle masse.

Eppure, anche il mondo della scuola sarà portato a scrollarsi di dosso tutte le illusioni che la obbligano a una miserabile condizione di assoggettamento morale e di schiavitù ideologica. Similmente, i lavoratori della scuola saranno in grado di unirsi solo se, sospinti dal peggioramento delle condizioni materiali, sapranno liberarsi dal pesante fardello di pregiudizi e illusioni piccolo borghesi che li opprimono, schierandosi  così con i senza riserve nelle file del proletariato. Liberandosi da tutto il fardello ereditato dalla loro classe di appartenenza, tradendo la propria classe di appartenenza per schierarsi con il proletariato, purché ne riconoscano la forza storica e la forza di volontà e coscienza storica che solo nel partito comunista si può organizzare.

Appare sempre più necessario, quindi, il rifiuto delle regole democratico-borghesi, proprio perché esse rappresentano l'oppressione che la borghesia esercita in ogni ambito dell'esistenza. Si! I lavoratori della scuola dovranno rifiutare le nuove e più feroci regole imposte dal Capitale, rifiutando il giogo imposto dalle organizzazioni sindacali di regime ma dovranno e potranno farlo solo tornando ad impossessarsi, anche loro, dell'arma dello sciopero: arma di lotta. Per imparare di nuovo a difendersi, usando la forza del numero organizzato, con obiettivi e metodi che rafforzano e sviluppano questa unità e organizzazione per la difesa. E poi utilizzando lo sciopero come un’arma tra le altre che dovrà essere brandita con decisione e senza timore.

[1] Il CIV ha messo in evidenza un peggioramento della situazione patrimoniale per un ammontare che supera i 20 miliardi di euro e le stime per la fine del 2021 saranno in territorio negativo per quasi 7 miliardi di euro. Tale situazione economica fa ovviamente tremare i polsi a tutto l'apparato economico capitalistico italiano, ma i primi a non dormire sonni tranquilli sono gli anziani. La crisi virologica ha, per così dire, messo in evidenza tutte le criticità di un sistema che era già dalla metà degli anni '70 entrato in sofferenza, ma il piccolo virus ha inferto un colpo micidiale al tessuto economico e sociale di molti paesi, come l'Italia.

[2] La normativa esistente risultava essere già di per sé piuttosto penalizzante e restrittiva, poiché questa prevede un tetto massimo dei giorni di sciopero in un anno scolastico, ovvero fino a 40 ore individuali (equivalenti a 8 giorni ) per i docenti delle scuole materne ed elementari e fino a 60 ore (equivalenti a 12 giorni) per i docenti di altro ordine e grado di istruzione. In parole povere, ogni azione di sciopero, quand'anche si trattasse di uno sciopero di breve durata, questo non può superare i due giorni consecutivi, mentre tra un'azione e la successiva deve intercorrere un intervallo non inferiore a 7 giorni. Da ultimo, proprio gli scioperi brevi possono essere effettuati unicamente nella prima oppure nell'ultima ora di lezione per tutto il personale scolastico, impedendo così la stessa efficacia dello sciopero e la sua necessità di essere proclamato.

[3] Cfr. il vol. I della nostra Storia della Sinistra Comunista. 1912-1919, Reprint, Edizioni Il Programma Comunista, Milano 1992. Sull’idealismo gramsciano, cfr. anche il vol. II della medesima Storia, Edizioni Il Programma Comunista, Milano 1972.

[4] È sotto gli occhi di tutti il moltiplicarsi di reazioni violente e spontanee da parte del proletariato mondiale anche in quei paesi a capitalismo stramaturo da parte di un proletariato che non è più in grado di sopportare siffatte condizioni di miseria crescente).

 

23/06/2021

INTERNATIONAL COMMUNIST PARTY PRESS
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