DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Dipendente in larga misura dal petrolio, il Venezuela si trova in gravi difficoltà nell’attuale crisi: così strillano i media, che rendono manifesta l’insaziabile voglia del grande capitale di mettere le mani sull’oro nero. Non le masse proletarie, non i senza riserve, non i miserabili della terra sarebbero dunque “ridotti alla fame”, ma i signori delle rendite, delle banche, dei sistemi finanziari mondiali, con al seguito le classi medie che ruotano attorno allo Stato, alle istituzioni pubbliche e private.

L’economia petrolifera, distribuita come rendita fondiaria, ha fame di capitali ed è per questo che le potenze imperialiste “povere di materie prime” non sopportano che il Venezuela debba possedere tanta ricchezza. Le sue esportazioni, quei 2,5 milioni barili di greggio al giorno di massima, tuttavia non bastano a sanare il debito estero del paese. E tutto ciò avviene in presenza di un sottosuolo che racchiude le riserve più ricche del mondo: 298,4 miliardi di barili di greggio, rispetto ai 268,3 miliardi dell’Arabia Saudita, ai 171 del Canada e ai soli 36,52 miliardi degli Usa. Il destino del Venezuela è strettamente legato, dunque, a quello del petrolio, che rappresenta all’incirca il 90-95% delle sue esportazioni: ed è per questo che il default è solo questione di tempo.

Il crollo del prezzo del barile, gli scaffali dei negozi vuoti, i bassissimi salari e l’inflazione (la più alta del mondo) sono al centro della crisi. Altro che “socialismo”! Alla fine del 2007, prima dell’arrivo della grande crisi, il Venezuela aveva raggiunto la terza posizione tra i paesi dell’America Latina per prodotto interno lordo pro/capite; la disoccupazione era solo all’8%. Si stimava però (oh, gran virtù dei sondaggi!) che nel 2022, secondo i dati del Fmi, il Venezuela avrebbe perduto il 27% del Pil pro/capite con una disoccupazione che avrebbe superato il 35%, diventando uno tra i paesi più poveri del continente sudamericano.

Ma non c’era bisogno d’aspettare tanto per vedere sprofondare il paese nella crisi. L’andamento del prezzo del petrolio ha rappresentato, comunque, ciclicamente la fortuna e la sfortuna dell’economia venezuelana. Diversamente dalla visione proprietaria, mercantile, usuraia (in una parola, borghese), non è la merce, non è il denaro, non è il prodotto in sé, scrive Marx, a creare la ricchezza mondiale, ma lo sfruttamento della forza lavoro. Quel che conta è la produzione di plusvalore.

La lotta di classe si è espressa molto spesso in Venezuela, con manifestazioni e rivolte. Basti ricordare che quelle della fine degli anni ’80 furono il prodotto della diminuzione del prezzo del petrolio, del deterioramento dei conti esteri e delle riforme varate dal governo in accordo con il Fmi. Caracazo è il nome di una serie di forti proteste durante il governo di Carlos Andrés Pérez, iniziate il 27 febbraio 1989: la rivolta ebbe origine nella città di Guarenas, a pochi chilometri da Caracas; il massacro avvenne quando le forze di pubblica sicurezza della Polizia Metropolitana (PM), l'Esercito Nazionale del Venezuela e la Guardia Nacional (GN) attaccarono in strada i manifestanti. Nonostante le cifre ufficiali parlino di 300 morti e poco più di un migliaio di feriti, una stima non ufficiale indica in 3500 le vittime. La storia del Venezuela è intessuta, dunque, di scontri e di lotte in un territorio che affoga in un mare di petrolio.

Dieci anni dopo, nel 1998, dopo la vittoria alle elezioni, uno dei provvedimenti di natura economica del presidente Chavez nel febbraio del 2002 fu di sostituire i dirigenti della compagnia petrolifera nazionale con persone affini al suo progetto politico che mirava a una riforma attraverso “piani sociali” a favore della popolazione, contro chi voleva che si utilizzassero profitti e rendite per finanziare l'espansione aziendale dell'attività petrolifera. Il petrolio era, quindi, ancora al centro. La questione ruotava in realtà intorno a chi dovesse appropriarsi dei prodotti dello sfruttamento della forza lavoro e della natura, la Compagnia petrolifera nazionale tramite i suoi funzionari, gestori, manager per espandere l’azienda o i funzionari e dirigenti per estendere il baraccone statale? La ricchezza della terra e del lavoro non cade come i fichi in bocca ai lavoratori, sdraiati sotto il sole meridiano, ma come sempre sul capitale privato o statale. La frusta del capitale si abbatte sulle spalle dei lavoratori con lo stesso obiettivo: quello dell’estrazione del plusvalore. Ma i “difensori del popolo”, dopo due secoli di cinghiate capitalistiche sui proletari, fingono di non comprenderlo, quando esaltano lo sviluppo bestiale del capitale.

Per Maduro, succeduto a Chavez, la colpa dei guai del Venezuela sarebbe dovuta alle sanzioni finanziarie imposte dagli Usa. Eppure – ripete – Caracas ha sempre pagato fino all’ultimo centesimo, sostenendo grandi sacrifici: subendo cioè la persecuzione finanziaria delle banche e degli organismi internazionali. Alla fine, i nemici del Venezuela sarebbero, quindi, l’Impero americano e l’opposizione antichavista, “fatta di traditori della patria”.

E arriviamo, dieci anni dopo, al più recente giro di ruota: sarà l’inizio di una nuova fase di crisi o un nuovo crack finanziario? Alla fine di agosto 2018, il governo Maduro introduce una nuova moneta, il bolivar sovrano, che sostituisce il bolivar forte, vincolato alla criptovaluta venezuelana denominata petro e garantita dalle riserve petrolifere del paese. Il petro ha un valore di 3.600 bolivar sovrani, equivalenti a 60 dollari, mentre lo stipendio base di un operaio ammonta a 30 dollari al mese, ovvero mezzo petro. Con tale operazione, Maduro pensa di ottenere la stabilità monetaria rispetto al passato, che al contrario creerà un’iperinflazione. La legge che vincola la sommatoria dei prezzi delle merci complessive ("valori-lavoro"), tramite la velocità di circolazione del denaro, alla quantità di denaro "necessaria alla circolazione complessiva" (si chiami oro, dollaro, euro, bolivar sovrano, petro, non ha alcuna importanza) [1] porta sempre allo stesso risultato: inflazione nei periodi di ipertensione produttiva e deflazione nel corso delle crisi – non dunque all’equilibrio, alla stabilità, ma alla catastrofe economica. Una novità nell’economia? Una situazione analoga di iperinflazione si è registrata altre volte in passato: ad esempio, in Germania nel 1923 e in Argentina nel 2001.

Le altre misure messe in cantiere sono la liberalizzazione degli scambi e l’aumento dell’Iva dall’attuale 12 al 16%. La manovra del cosiddetto “rilancio economico” alla Maduro, con la ripresa del prezzo del petrolio (intorno ai 60 dollari), basterà a dare ossigeno al sistema economico? Il petro sarà “il meccanismo di ancoraggio, l’equilibrio valutario di moneta salario e prezzo”, come si ciancia? “Voi imprenditori privati – urla il presidente – avete condotto una guerra contro il popolo, avete dollarizzato i prezzi e… allora io petrolizzo, non solo i prezzi, ma anche il salario!”. E aggiunge che il governo si accollerà per 90 giorni il differenziale salariale che devono pagare le piccole e medie imprese, in modo da non creare ulteriori spinte inflazionistiche. Verrà inoltre assegnato a 10 milioni di venezuelani, possessori del Carnet della Patria, un “aiutino alla riconversione” del valore di 600 bolivar sovrani, circa 10 dollari. Grandioso! La preoccupazione è grande perché nel frattempo gli investimenti nel settore della produzione petrolifera sono crollati e non giunge il supporto della Russia e della Cina a sostenerli.

Sarà il ruolo dei militari venezuelani, fedeli a Maduro, a deciderne le sorti, presto o tardi? Tra speculazione, boicottaggio e destabilizzazione del sistema economico, gli arresti cominciano già a fioccare, la penalizzazione dei delitti economici è il nuovo strumento per colpire gli speculatori tramite ispettori fiscali che aiuteranno polizia ed esercito a monitorare gli illeciti. La svalutazione non si è arrestata e i prezzi continuano ad aumentare, il braccio di ferro tra governo e imprese è rimasto teso. La reazione dei mercati continua, i procedimenti di polizia si moltiplicano e gli investimenti produttivi si allontanano. Per evitare manovre speculative, il governo ha pubblicato la lista dei “prezzi concordati tra i più grandi gruppi agroalimentari”, riguardanti 25 prodotti del paniere di base: tra questi, farina precotta di mais, caffè, zucchero, latte pastorizzato, carne, pollo, burro e carote. Queste e altre misure verranno a definire il grande Programma di ripresa economica di Maduro: l’aumento del salario minimo di 36 volte a partire dal primo settembre e l’aumento del prezzo della benzina. Nient’altro da dire: quanto tempo ci vorrà per andare a fondo?

Nessuna “teoria socialista del XX e del XXI secolo” dei fessi di turno, dunque, ma solo mistificazione riformista sulla scia dello stalinismo. Ancora fame e miseria, scaffali di negozi vuoti, inflazione e bassissimi salari. Capitalismo e crisi.

[1] “La legge che la quantità dei mezzi di circolazione è determinata dalla somma dei prezzi delle merci circolanti e dalla velocità media della circolazione del denaro può anche essere espressa così: data la somma di valore delle merci e data la velocità media delle loro metamorfosi, la quantità del denaro, ossia del materiale monetario in circolazione, dipende dal suo proprio valore. L’illusione che i prezzi delle merci, viceversa, siano determinati dalla massa dei mezzi di circolazione, e questa massa sia determinata a sua volta dalla massa del materiale monetario che si trova in un dato paese, ha la sua radice, nei suoi primi sostenitori, nell’ipotesi assurda che entrino merci senza prezzo e denaro senza valore nel processo della circolazione, dove poi una parte aliquota del pastone di merci si scambierebbe con una parte aliquota del mucchio di metallo” (K. Marx, Il Capitale, Libro Primo, 1, Editori Riuniti 1989, pagg. 155-156).

 

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                                                                           (il programma comunista)

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