DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Sono molti i modi in cui si esprime quella che abbiamo chiamato “democrazia blindata” o “democrazia dittatoriale” – vale a dire, quel regime che, uscito dai regimi nazifascisti, di quelle stesse dittature ha ereditato la sostanza (economica, finanziaria, sociale), agghindandola nelle vesti ingannevoli del “ritrovato pluralismo”. Regimi, tutti, che rispondono alle diverse necessità del dominio capitalistico in epoca imperialista, come abbiamo documentato fin dai primi anni ’20 del ‘900 e poi dal primissimo secondo dopoguerra 1. Vediamo dunque alcuni di questi “modi”, di diverso calibro e applicati a settori diversi della vita sociale contemporanea: ma tutti convergenti nel creare un senso di diffusa paura e vulnerabilità, nel manipolare la “sovrana opinione pubblica”, nel paralizzare a livello psicologico e fisico chi provi anche solo a mettere in dubbio le “versioni ufficiali”, nel colpire chiunque mostri di non essere disposto a muoversi entro il recinto chiuso della compatibilità con i “valori borghesi”. Insomma, nel terrorizzare.

 

Visto che la “tendenza” è internazionale, partiamo pure dal Belgio. Qui, negli ultimi mesi, come ha documentato il quotidiano inglese The Guardian (vedi www.corriere.it del 7/3), è in corso una campagna di prevenzione e distribuzione gratuita di scatole di pillole di iodio, da assumere “in caso di catastrofe nucleare”. Sottolineando che non c’è “alcun rischio specifico”, il governo “ha lanciato anche una campagna via web in francese, olandese e tedesco con le istruzioni da seguire in caso di emergenza, dando vita a un piano annunciato due anni fa”. A quanto pare, le centrali nucleari belghe non sono solo antiquate: continuano a essere in attività sebbene già da alcuni anni si sarebbero dovute chiudere... Fughe di radiazioni? esplosioni? processi incontrollabili? Niente paura, dice il governo: “basta un poco di zucchero e la pillola va giù”, cantava Mary Poppins. In pratica, l’intera popolazione di un paese (ma siamo certi che sia uno solo?) deve convivere con l’incubo di un disastro: possibile? probabile? incombente? o forse addirittura già verificatosi e tenuto nascosto? E che rimedio è mai, la pillola? Altro che “niente paura”! La paura c’è: di essere vulnerabili, alla mercé di situazioni incontrollabili dal povero piccolo cittadino, quell’individuo sempre osannato a parole e sempre massacrato nei fatti. Una pillola e un po’ di paura fan sempre bene: ecco un modo per terrorizzare fingendo di rassicurare.

Dal Belgio all’Italia. Ai primi di aprile, un giornalista del sito d’informazione www.fanpage.it è stato condannato a 4 mesi di reclusione per “violazione di domicilio”: nel novembre 2012, aveva seguito per lavoro una manifestazione No Tav penetrando con essa in un cantiere. Nel chiederne la condanna, il Pubblico Ministero lo ha anche censurato per… non essersi servito invece, da bravo cittadino, delle dichiarazioni ufficiali (leggi: veline) della polizia! Lì sta, ovviamente, la Verità, quella con la V maiuscola, quella di Stato. “Nessuno mi può giudicare…”, cantava Caterina Caselli, e aggiungeva: “La verità ti fa male…”. Eh sì, è proprio vero: la verità (ufficiale) fa male. Ma è l’Unica: i bravi cittadini fanno bene a starsene tranquilli e a bersela fino in fondo, senza che rompiballe di ogni tipo se ne vadano in giro a cercarne altre. Intimidire, nascondere, suggestionare: non è terrorismo, questo?

Restiamo pure in Italia, almeno per il momento. E a proposito di intimidazione, leggiamo, sul “Corriere della Sera” dell’1 aprile: “Violenze psicologiche all’Italtel nei colloqui per uscite volontarie”. La famosa ditta di telecomunicazioni, passata ora sotto il controllo di Exprivia (tecnologie digitali) e in fase di ristrutturazione, sta conducendo una serie di colloqui per “convincere ‘con le buone o con le cattive’ alcuni lavoratori ad andarsene”. Domande su questioni private, atteggiamenti arroganti e ricattatori, frasi del tipo “la sfortuna ci vede benissimo”, “lo sa che se lei rifiutasse questa proposta sarà licenziata?”, “lei è al posto sbagliato nel momento sbagliato” – insomma, tutto il repertorio (per altro, ben noto da tempo ai lavoratori non solo di Italtel!) dell’aperta intimidazione sul posto di lavoro.

E, se all’Italtel si piange, all’Ikea non si ride. Ha fatto scalpore (ma poi, come sempre, è passato rapidamente nel dimenticatoio) il caso della lavoratrice single, con due figli a carico di cui uno disabile, licenziata in tronco per aver rivendicato più volte modifiche nei turni di lavoro nella sede Ikea di Corsico (Milano): il suo ricorso è stato respinto il 4 aprile dal Tribunale del Lavoro (vedi ancora il “Corriere della Sera” del 5/4). Altro esempio di intimidazione da parte della “dura lex” del regime borghese e del modus operandi della magistratura che ne è il cane da guardia: creare casi esemplari come monito per tutti.

Un ulteriore esempio? Ce lo offre il “Sole-24 Ore” di martedì 27/2, nell’articolo “Stretta a chi resiste a pubblici ufficiali”. Vale la pena di citarlo integralmente: “Sezioni unite penali della Cassazione. La resistenza a una pluralità di pubblici ufficiali non rappresenta un unico reato ma tanti delitti quanti sono i pubblici ufficiali effettivamente coinvolti. Lo chiariscono le Sezioni unite penali della Cassazione con informazione provvisoria resa al termine dell'udienza dello scorso 22 febbraio. Scelta la linea della maggiore severità, che potrà avere conseguenze nel trattamento sanzionatorio inflitto per esempio in occasione di scontri al termine di manifestazioni politiche o sportive, a fronte invece di un orientamento che sosteneva l'unicità del reato. Le motivazioni saranno disponibili solo tra qualche tempo, ma intanto è già possibile dedurre che le Sezioni unite hanno deciso di collocarsi all'interno di quella linea interpretativa secondo la quale, se la funzione pubblica è esercitata da più pubblici ufficiali attraverso azioni che si integrano a vicenda, l'insieme delle reazioni e resistenze non configurano un unico reato, disciplinato dall'articolo 337 del Codice penale, ma una pluralità ‘giacché la resistenza - mette in evidenza l'ordinanza di rimessione, la numero 57249 del 2017 -, pur ledendo unitariamente il pubblico interesse alla tutela del normale funzionamento della pubblica funzione, si risolve in distinte offese al libero espletamento dell'attività funzionale di ciascun pubblico ufficiale’. L'indirizzo opposto, invece, si criticava, svaluta la tutela della libertà di azione del pubblico ufficiale e trascura che la pubblica amministrazione è un'entità astratta, che agisce attraverso persone fisiche, ciascuna delle quali conserva una distinta identità, suscettibile di autonoma offesa. Secondo questa lettura, evidentemente privilegiata dalle Sezioni unite, il reato di resistenza a pubblico ufficiale, pur rappresentando un delitto contro la pubblica amministrazione, è caratterizzato da violenza o minaccia alla persona del singolo pubblico ufficiale: in questa prospettiva allora l'interesse protetto è quello della pubblica amministrazione a non subire ostacoli nel momento in cui per rispondere ai suoi compiti istituzionali deve attuare la sua volontà attraverso lo strumento dei pubblici ufficiali. Netta quindi la conclusione per cui scatta il concorso formale omogeneo di reati se chi agisce, con un'unica azione ha deliberatamente commesso più violazioni della medesima disposizione di legge, nella consapevolezza di contrastare l'azione di ciascun pubblico ufficiale. Il diverso orientamento, invece, valorizzava un aspetto diverso della condotta, mettendo in luce come l'obiettivo della condotta criminale della resistenza a pubblico ufficiale è l'opposizione all'atto piuttosto che la violenza o minaccia nei confronti del singolo”.

Traduciamo: se durante una manifestazione fate resistenza a un gruppo di sbirri che vi manganellano, il reato non è più di “resistenza a pubblico ufficiale”, ma di “resistenza a tanti pubblici ufficiali quanti sono quelli che stanno manganellandovi” – non unico, dunque, ma plurimo! E così sarete giudicati per altrettanti reati… Sarà interessante vedere quando le sezioni penali della Cassazione decideranno che anche una manganellata in testa sarà considerata “resistenza a pubblico” ufficiale: colpa del vostro cranio che resiste!

Scherziamo? No, non scherziamo. Le cosiddette “forze dell’ordine” si riorganizzano di continuo, con il legittimo supporto della magistratura, in vista di possibili situazioni future di “disordine sociale”, quello stesso “disordine” che nasce dall’anarchia e dalle contraddizioni del modo di produzione capitalistico – e del regime che lo gestisce, democratico o fascista che sia. E’ recente la notizia (vedi per esempio www.ilpost.it del 23/3) che ha avuto inizio la sperimentazione con il Taser, la pistola elettrica che spara scariche con effetto elettroshock e che già l’ONU (!), nel 2007, ha giudicato strumento di tortura: “le città coinvolte sono intanto Milano, Brindisi, Caserta, Catania, Padova e Reggio Emilia, mentre in una seconda fase si andrà a regime in tutta Italia. La procedura coinvolge poliziotti e carabinieri. La circolare firmata dal capo della direzione anticrimine è partita il 20 marzo”. Come è noto, il Taser è in uso presso la polizia USA, che ha offerto già abbondanti dimostrazioni del suo uso: secondo Amnesty International, infatti, la pistola elettrica “ha causato centinaia di morti negli Stati Uniti (più di 800 dal 2001), dove infatti l’azienda Taser International – che ha associato le morti anche ai problemi cardiaci dei soggetti colpiti – ha recentemente deciso di cambiare nome, per modificare la propria immagine associata sempre più spesso alle morti delle persone su cui era stato usato un taser. L’arma, che non venendo riconosciuta come letale potrebbe essere utilizzata con troppa facilità, risulterebbe particolarmente pericolosa per chi soffre di disturbi cardiaci o per chi si trova in un particolare stato di alterazione: in alcuni soggetti, le scariche multiple potrebbero poi danneggiare il cuore e il sistema respiratorio”. Sempre Il Post c’informa che “A inizio gennaio si è anche scelto il modello da usare. Il ‘Corriere della Sera’ scrive che il taser di dotazione sarà ‘l’X2 con scarica elettrica ad intensità regolare con durata controllata di 5 secondi; sistema di mira con doppio puntatore laser, uno per ogni dardo; possibilità di colpire il bersaglio fino a 7 metri di distanza; colpo di riserva, quindi se si dovesse mancare il bersaglio sarà possibile sparare nuovamente senza dover per forza caricare il taser manualmente’. Inoltre ‘ogni operatore avrà sulla propria divisa una particolare telecamera a colori ad alta definizione – dotata anche di visione notturna – che si accende automaticamente non appena viene tolta la sicura dell’arma, così da controllarne l’operato’”. Resta ora da vedere se anche l’impatto della scarica elettrica sul corpo del bersaglio verrà giudicato dalla Cassazione “resistenza a pubblici ufficiali”… Vi terremo comunque informati.

Intanto (e qui chiudiamo: per il momento…), salutiamo l’ingresso nel Reparto Mobile della Questura di Milano della prima donna super-poliziotto. Che si presenta bene: dice (vedi il “Corriere della Sera” del 18/4) di “amar l’azione” e che è possibile che “un manifestante, magari sì e magari no, abbia un’esitazione prima di passare all’attacco nel vedere davanti a sé una donna. Che può essere sua moglie, sua sorella, sua mamma”… Attenzione, proletari! C’è il caso che, se venite manganellati dalla super-poliziotta, intervenga la magistratura e vi incrimini non solo per “resistenza a pubblico ufficiale”, ma anche per… “molestie sessuali”!

1 Al riguardo, rimandiamo sia ai “Rapporti sul fascismo” inviati all’Internazionale Comunista dalla direzione di sinistra del PCd’I nel 1922 (riportati nel V volume della nostra Storia della Sinistra Comunista ) sia a un testo come “Forza, violenza, dittatura nella lotta di classe”, che risale al 1946-48 e che si può leggere nel nostro volumetto Partito e classe (Edizioni il programma comunista, 1972).

 

Partito comunista internazionale

                                                                           (il programma comunista)

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