DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

“La rivalità e il conflitto non si possono estirpare nei rapporti tra gli Stati nazionali, guardiani e gendarmi al servizio di macchine produttive fondate sullo sfruttamento. […] Nel capitalismo la guerra è inevitabile, perché la stessa società, in ogni giorno, in ogni minuto della sua esistenza, è teatro di una guerra atroce delle classi dominanti contro le classi sfruttate e oppresse. Non ci può essere pace, ma soltanto tregue armate, tra gli Stati, perché dentro i confini di ogni stato è perennemente in atto la guerra sociale, che è sempre guerra anche quando le classi sfruttate sanno reagire agli sfruttatori soltanto con i mezzi impari della lotta rivendicativa e della inane competizione elettorale […] Quanti articoli abbiamo pubblicato, nei quali sostenevamo la tesi che il conflitto russo-americano avesse per oggetto, non la maniera di cambiare il mondo, ma di spartirselo!” (Il programma comunista, nn.1/1960).

“Al massimo due mesi, due mesi e mezzo e la città di Aleppo potrebbe essere distrutta completamente” – dice l’inviato speciale dell’Onu, De Mistura. Questo allarme è stato lanciato dopo la tregua di qualche settimana fa, terminata con il bombardamento aereo degli ospedali. Durante i tre giorni di tregua, i giornalisti sono stati impegnati a giustificare la parte politica da cui sono pagati,   affermando che, se la tregua regge, in pochi giorni gli statunitensi e i russi potrebbero coordinare i loro attacchi contro i movimenti jihadisti, il gruppo Stato islamico (Is) e l’ex Fronte al Nusra, permettendo la ripresa dei negoziati di pace ed eventualmente la creazione di un governo di transizione, incaricato di organizzare le elezioni sotto il controllo della comunità internazionale. Una così bella prospettiva di pace, mentre infuria sulla Siria e su Aleppo, sull’Irak e su Mossul il terrorismo imperialista, non poteva mancare: negoziati di pace, governo di transizione, possibilità di elezioni, spartizione concordata del territorio siro-irakeno. Fine della storia. Chi porterebbe allora avanti i grandi affari, i finanziamenti, gli armamenti? A chi verrebbe assegnata la parte del brutto ceffo, a chi quella dell’angelo liberatore? Mentre strazia i corpi, il vecchio spennacchiato avvoltoio detta il giudizio della Storia. Come si può pensare, di fronte al generale massacro, allo strazio senza fine, che tutto possa finire con strette di mano? I sofferenti di cuore, comunque vada, si preparino a lasciare la platea!!

300mila sono i morti, migliaia e migliaia i feriti, 4 milioni gli uomini, donne, bambini, vecchi fuggiti dalla Siria, rifugiatisi in Turchia, sprofondati in mare, e poi le migliaia e migliaia di civili di Aleppo-est (275mila ancora in vita), intrappolati nelle strade, nelle case distrutte, nei ricoveri, negli ospedali, senza acqua, cibo, elettricità. Chiedono aiuto? Invero, sono caduti nella rete mortale stesa dagli “eserciti liberatori”, costituiti dai militari regolarmente ingaggiati, da quelli inviati a intrupparsi, dai “free lance” che offrono la loro capacità militare al padrone che meglio li paga. Questa è la realtà che si consuma di un’umanità che sprofonda sotto un diluvio di fuoco e di morte. Prima della guerra, Aleppo contava 1,9 milioni di abitanti: la più popolosa tra le città della Siria, più grande di Damasco. Quanto tempo servirà per farla sparire dalla scena della storia, quando 5000 anni di vita e grandi terremoti non sono bastati a distruggerla? E Mossul, la città di quasi 1,5 milioni di abitanti sul fiume Tigre, che fine farà?

Alcuni giornalisti non hanno tardato troppo a sostenere che esistevano le condizioni di un compromesso in Siria, tale da poter assicurare un equilibrio militare tra i ribelli e Bashar al Assad, ma che adesso non è possibile più rimediare, gli USA dovranno rassegnarsi a una vittoria siriana di Putin. L’assalto russo-siriano contro Aleppo è solo l’inizio di una più lunga crisi internazionale.

Un tempo li si chiamava “guerriglieri”, “partigiani”. Oggi si tratta di bande armate, di miliziani, di terroristi, con o senza alcuna bandiera, la cui “legalità” è “garantita” solo dalla potenza di fuoco e dagli armamenti delle grandi potenze, cioè dal terrorismo imperialista. C’è di tutto, nell’accozzaglia di liberatori, siriani, russi, americani, turchi, curdi, irakeni, iraniani, libanesi, pronti a morire per Assad, per gli USA, per il Profeta e le sue diverse sette (sunniti, sciiti, alawiti), per il Califfato, per Israele, per la Palestina, per il Kurdistan... Nell’area di Aleppo, qual è l’obiettivo? Il primo è quello di ridisegnare il territorio nord-siriano al confine con la Turchia (che in parte finirà nelle mani turche), territorio che va da Kobane a Rabiq, da Raqqa a Tal Abyad (e nella spartizione, che cosa toccherà ai curdi siriani?). Il secondo, più importante, è quello di assegnare definitivamente alla Russia la base navale di Tartus e quella aerea di Latakia, entrambe sul Mediterraneo, di fronte a Cipro. Non basta, però, perché la disfatta di Assad lascerebbe una montagna di resti da spolpare nella parte occidentale turco- irakena- curda. E che fine faranno nel frattempo il Libano e le decine di campi palestinesi?

E basterà ridisegnare la nuova Siria? Il Medioriente è ormai solo un percorso di guerra, un percorso che non ha più bisogno di essere conosciuto. Dalla guerra arabo-israeliana del 1948 a quella Irak-Iran con il suo milione di morti (1982-’88), dalle due “imprese” americane (1990 e 2003) a questo spaventoso gioco di guerra in Siria e al nuovo scontro armato tra Arabia Saudita e Yemen, tutto è già fatto: la Storia scorre come un immenso fiume di petrolio accanto al Tigri ed Eufrate. Il Medioriente è una grande area desolata coperta da sepolcri imbiancati. Come nelle due guerre mondiali del Novecento, non passerà molto che i nomi dei morti saranno trasferiti sulle scritte delle lapidi e dei ceppi marmorei dei cimiteri, sparsi ovunque a ricordarci il nazionalismo e l’odore di morte che vi soffia giorno e notte. Tra pochi anni, ci si ricorderà della popolazione civile e delle centinaia di migliaia di proletari uccisi solo come merce andata a male. Le milizie jiadiste anti-Assad sostenute dagli americani e asserragliate nei quartieri di Aleppo est, i combattenti pro-Assad sostenuti dai russi tra gli edifici in macerie nella parte ovest, le bande dell’Isis sul terreno, le offensive aeree di Damasco e di Mosca, quelle degli Usa e di Ankara, non porteranno a nessuna pace. Poi arriverà anche l’incidente, a innescare la guerra tra i cosiddetti volenterosi anti-Isis: basta saper aspettare. Intanto, perché la distruzione possa essere portata a termine, si avrà comunque ancora bisogno di un’altra delle tante famose tregue.

Ad Aleppo si gioca il destino del mondo”, si continua a dire. Ma di quale mondo? Lo si dica: si tratta del mondo del Capitale, degli Stati nazionali imperialisti, dello sfruttamento, dell’oppressione sociale e delle guerre. “Siate pratici – raccomandano – occorre distinguere”. Il nazionalista, specie che non muore finché vive questo schifoso modo di produzione, prende sempre posizione a favore di una cosca capitalista-imperialista o dell’altra. In primo piano, c’è sempre “la difesa del proprio paese”. Distinguere, dunque: riunire in un cappello con la fascetta a stelle e strisce tutti gli amici degli Stati Uniti, e in un altro i russi e i filorussi, gli antiamericani o gli antimperialisti. “L’unica possibilità di uscire vivi da questo inferno è che l’Impero si dis-imperializzi”, dicono questi ultimi: che cioè la politica imperiale americana accetti un mondo “a polarità variabili”, in cui ciascuno possa trovare il proprio ordine, lo status quo. Per la “sinistra nazionalista”, esiste un solo polo imperialista: quello cosiddetto occidentale a guida statunitense. Gli stati fittizi, queste non nazioni, queste bande religiose, armate o no fino ai denti, non sarebbero stati imperialisti. L’“antimperialismo militante” perciò si batte per fermare il terrore imperialista scomponendo il gigantesco polo imperiale degli Usa. Detto in termini di prospettiva di guerra: olocausto nucleare all’americana o guerra a pezzi, guerra asimmetrica o a geometrie variabili?

Una posizione radicalmente anticapitalista, che inciti le classi oppresse, sfruttate e macellate, a rispondere alla guerra dei padroni del mondo con la guerra di classe spinta fino alla rivoluzione sociale, in un periodo controrivoluzionario come l’attuale, in Siria o altrove nel mondo, rimane per adesso congelata, così come il disfattismo rivoluzionario che è solo un abbaiare alla luna, in assenza, nella situazione presente, del partito di classe. “L’interventismo umanitario” è quello che va per la maggiore, tra francescani e deboli di cuore: un’indicazione politica perfettamente organica al terrorismo imperialista; ma andrebbe bene anche la “polizia internazionale”, ovvero i “caschi blu” dell’Onu o l’internazionalismo democratico e progressista del Presidente Obama, così caro ai molti tifosi europei, oggi un po’ delusi.

***

“I rapporti tra Mosca e l’Occidente – aggiunge Il Sole 24 ore del 12 ottobre – si stanno avvicinando sempre più ad una riedizione della guerra fredda”. L’incontro di Hollande con Putin a Parigi è saltato per la ripresa dei bombardamenti russi e siriani su Aleppo-est, per il veto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu opposto dalla Russia alla Risoluzione francese su un immediato cessate il fuoco e con l’accusa di crimini di guerra. La dura presa di posizione del ministro degli esteri britannico Boris Johnson, invitante i pacifisti inglesi alla manifestazione di fronte all’ambasciata russa, e la manifestazione sostenuta da Jeremy Corbyn, Stop the War, sono gli aspetti più teatrali dell’attuale situazione. Intanto, gli affari mondiali continuano a girare attorno alla produzione di petrolio a tutto ritmo (con falsi accordi Opec di congelamento del prezzo) mentre la guerra continua a fare il suo corso. Mosca e Ankara a loro volta “fanno pace” in nome del gas: nel giorno del disgelo il progetto del gasdotto Turkish Stream è messo in cantiere – costo previsto 11,4 miliardi di euro, 910 km il tratto sottomarino, 180 quello in territorio turco, teoricamente in direzione Europa, saltando l’Ucraina. Varsavia cancella nello stesso tempo l’affare di 50 elicotteri di Airbus con la Francia e Hollande non andrà più in Polonia: il ministro della difesa polacco ha spiegato che saranno la Lockheed e la Leonardo Finmeccanica a fornire gli elicotteri. Nello stesso giorno, la Merkel viaggia in Africa a caccia di affari e dal summit di Varsavia della Nato si passa concretamente alla dislocazione dei “battaglioni di pace” (!) nel Baltico (con la gloriosa partecipazione di 140 militari italiani in Lettonia)…

Mentre tutto il fronte imperialista occidentale sollecita di farla pagare ai russi con nuove sanzioni (?) per l’attacco ad Aleppo-est in appoggio ad Assad, la sindrome della “Russia assediata” viene nuovamente rispolverata: dall’inferno, tornano alla luce i milioni di morti del II conflitto mondiale come formidabile “guerra patriottica”. La Rivoluzione d’Ottobre come il più grande evento contro la guerra imperialista si perde nelle nebbie, scompare dalla memoria. Riappare il revanscismo: è la denuncia del senso di accerchiamento che ha spinto la Russia – dicono da una parte – a sospendere l’accordo con gli Usa sullo smantellamento del plutonio, è la risposta all’accerchiamento delle istallazioni polacche e ceche, è colpa del recente Summit di Varsavia della Nato che ha creato l’attuale senso di insicurezza generale richiamando alla mente la “guerra fredda”, è stata l’intrusione americana in tutto l’Est europeo ad aver creato la situazione est-Ucraina del Donbass, e dunque il ritorno legale in patria della Crimea e l’appoggio russo sono legittimi come pure la richiesta di aiuto di Assad. Dall’altra parte, si risponde: sono i russi che hanno spostato nuove batterie di missili a Kaliningrad, sono le navi russe al largo della base navale siriana di Tartus che creano tanta insicurezza... Intanto, il terrorismo imperialista dilaga e non si fermerà fino a quando non si arrivi al punto di non ritorno. Che il proletariato possa trarre da questi eventi annuncianti tempesta la lezione storica di sempre, che impone come soluzione assolutamente necessaria la sua dittatura di classe, diretta dal suo partito, per la distruzione del modo di produzione capitalista.

 

Partito comunista internazionale

                                                                           (il programma comunista)

 

INTERNATIONAL COMMUNIST PARTY PRESS
We use cookies

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.