DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Le misure adottate dal governo Monti in Italia, come dai governi di tutti i paesi di fronte all’approfondirsi della crisi economica mondiale, non sono altro che la continuazione della “politica dei sacrifici” inaugurata ormai quarant’anni fa. Fra il 1975 e il 1977, si era infatti esaurito il lungo ciclo espansivo reso possibile dal secondo massacro mondiale: tre decenni durante i quali si era prodotto troppo, sia di merci che di capitali, rendendo sempre più insufficiente il profitto capitalistico in relazione all’immenso capitale accumulato.  La crisi nasceva dunque nella e dalla produzione. Fra alti e bassi, cadute verticali e tiepide ripresine, da metà anni ’70 a dominare è quindi stato il tentativo di aggirare il fatto reale della sovrapproduzione di merci e capitali attraverso una sempre crescente finanziarizzazione dell’economia, con il risultato di creare una sequenza continua di bolle speculative destinate a scoppiare una dopo l’altra in maniera sempre più devastante [1].  Al fine di trovare scorciatoie a un processo produttivo inceppato (e contrastare la caduta tendenziale del saggio medio di profitto), è stata precarizzata, flessibilizzata e dispersa a tutti i livelli una massa immensa di forza-lavoro e si è proceduto allo smantellamento progressivo di quel welfare state pagato a duro prezzo dai proletari di tutto il mondo e fondamentale nel mantenere, nei paesi capitalisticamente avanzati ed entro certi limiti, la pace sociale.

Le risposte da parte dei lavoratori non sono mancate, in tutto questo periodo: dagli operai FIAT ai minatori inglesi e rumeni e ai lavoratori dei cantieri polacchi, dai controllori di volo USA ai proletari argentini, cinesi, spagnoli, greci, tunisini, egiziani… Ma, non importa quanto coraggiosi ed estesi siano stati questi movimenti di resistenza, il tradimento perpetrato ai loro danni da decenni da parte di partiti riformisti e sindacati di regime ha vanificato gli sforzi generosi di contrastare in modo efficace l’attacco [2].

Gestita da governi di ogni colore, la “macelleria sociale” dura perciò da quarant’anni – e, se da un lato, ha significato sofferenze tremende per il proletariato mondiale, aggravate dall’esplodere e dal diffondersi di sanguinosi conflitti locali che solo gli ingenui possono credere il prodotto della “fame di potere” di “cattivi” di ogni provenienza, dall’altro dimostra in maniera drammatica che lo stadio agonico del modo di produzione capitalistico ha raggiunto da tempo il punto di non ritorno, aumentando in maniera esponenziale la propria distruttività e auto-distruttività. Per restare in campo italiano, il succedersi delle “manovre” nel corso del 2011 non solo non è riuscito (come ampiamente previsto) a rallentare e tanto meno invertire il corso della crisi, ma ha significato soprattutto un giro di vite dietro l’altro per ciò che riguarda le condizioni di vita e di lavoro di masse crescenti di proletari. Lo stesso si può dire di Grecia e Spagna, mentre sappiamo che Francia e Gran Bretagna traballano, che la Germania e gli Stati Uniti non se la passano per nulla bene e che la stessa Cina vede con preoccupazione il calo sensibile della propria potenza economica. L’agonia rende ogni giorno più feroci i tentativi di restare a galla, ma quello che si prepara è un disastro epocale, cui il mondo capitalistico può porre rimedio (momentaneo ma sanguinario) solo con la preparazione di un nuovo conflitto mondiale.

Sono prospettive che abbiamo più volte delineato e su cui torneremo ancora, ma non in questa sede. Qui c’interessa rimarcare che questo processo agonico s’accompagna al sempre più esplicito riconoscimento, nei fatti reali della vita politica e sociale, della futilità della democrazia tanto decantata e tanto invocata come bene supremo, come conquista definitiva dopo il secondo massacro mondiale. Il dato incontestabile è invece quello della dittatura della borghesia, che si esprime a ogni livello: nella brutalità delle misure adottate, nella fermezza con cui le applica, nell’indifferenza con cui passa sopra alle forme democratiche con cui ha illuso per decenni tanti ingenui, nell’affasciamento delle forze politiche e sindacali intorno a un programma di “salvezza nazionale” del proprio modo di produzione, nella progressiva centralizzazione di ogni aspetto della vita economica e sociale, nella creazione di esecutivi forti e nella militarizzazione diffusa. Tanto per fare due esempi, riferiti all’Italia, ma comuni a tutti i paesi: il “governo Monti” – asso nella manica della borghesia italiana per far infine valere i propri interessi, dopo il fallimento del governo precedente, ormai impresentabile – non è nemmeno espressione del tanto osannato Parlamento, ma, in quanto “governo tecnico” (espressione anch’essa rivelatrice), è stato voluto ed è nato al di fuori di qualunque procedura di pretesa democrazia; e il Presidente della Repubblica mostra, nelle esternazioni come negli atti concreti, di aver ben forzato prerogative e limiti democratico-parlamentari – cosa che, in altri tempi (vi ricordate “Kossiga”?), avrebbe suscitato malumori profondi fra i “sinceri democratici” dipinti di rosa.

E’ per noi comunisti una sorpresa, di cui restare sbigottiti? Tutt’altro! Da materialisti, non abbiamo mai dimenticato che la classe al potere esercita sempre e comunque, e in tutte le forme, la propria dittaturaanche e soprattutto (e non è un paradosso) nelle ingannevoli forme democratiche. A pochi mesi dalla fine del secondo macello mondiale, suscitando l’indignazione di tutto il mondo opportunista che di lì a pochi mesi si sarebbe messo al servizio attivo della ricostruzione capitalistica, noi scrivevamo che “i fascisti erano stati sconfitti ma il fascismo aveva vinto”. Non era un gioco di parole: era la riaffermazione di un concetto-chiave. La classe al potere esercita sempre la propria dittatura, e – soprattutto nell’epoca dell’imperialismo ormai dispiegato – è vano credere alle forme democratiche di cui essa si ammanta e che propone al mondo intero come “paradiso in terra” da difendere contro tutte le tentazioni totalitarie… degli altri. Scrivevamo pochissimi anni dopo: “anche nella più democratica repubblica lo stato politico costituisce il comitato d’interessi della classe dominante, sgominando in modo decisivo le rappresentazioni imbecilli secondo cui, da quando il vecchio stato feudale clericale e autocratico fu distrutto, sarebbe sorta, grazie alla democrazia elettiva, una forma di stato nella quale a ugual diritto sono rappresentati e tutelati tutti i componenti la società, qualunque ne sia la condizione economica” (“Forza violenza dittatura nella lotta di classe”, 1946-47).

Sempre più, “il re è nudo”, la finzione lascia il posto alla realtà. La “macelleria sociale” verrà attuata senza guardare in faccia nessuno, anche perché questo “governo tecnico” non ha paura di… andare alle elezioni. Si aprono tavoli, si programmano incontri, si ascoltano le “parti sociali”: poi, però, esaurite le caramelle democratiche, si passa alla purga – e se la purga non basta, giù con le bastonate. I proletari d’Italia come quelli di altri paesi, sia coloro che fino a ieri si credevano “garantiti” sia coloro che “garantiti” non lo sono stati mai, sono già oggi sottoposti a un attacco violento, che si aggraverà con il tempo perché dalla crisi il capitale non riesce e non riuscirà a uscire: un attacco che li colpisce nel salario in maniera diretta e indiretta (costo della vita in genere), nell’orario di lavoro con un’intensificazione dello sfruttamento – a partire dalla pretesa di aumentare fino a settant’anni la vita lavorativa – e di tutto ciò che questo comporta (stress psicofisico, malattie professionali, omicidi sul lavoro), nell’aumento della disoccupazione e dunque della competizione fra lavoratori… E a tutto ciò si accompagnerà la diffusione, a tutti i livelli e attraverso tutti i canali, del virus sottile e velenoso dell’“unità nazionale sotto attacco”: per scaricare sempre e comunque su “altri” le “colpe” e le “responsabilità” e fiaccare l’istintiva solidarietà classista dei proletari.

A tutto ciò, si può e si deve rispondere, sul piano delle lotte immediate di resistenza economica e sociale come su quello della preparazione di una prospettiva che diviene sempre più urgente: quella della presa del potere da parte della classe proletaria guidata dal suo partito e dell’instaurazione della dittatura proletaria, come ponte di passaggio transitorio ma necessario verso un nuovo modo di produzione – perché questo ha clamorosamente fallito.

Da parte nostra, per quanto ci compete e nei limiti delle nostre possibilità oggettive, noi prepariamo con scrupolo e pazienza quel momento.



[1] Parlando del “ciclo del capitale denaro”, Marx ricorda che la sua formula (D-M…P…M’-D’) esprime il fatto che “il suo movimento ha come scopo determinante assoluto il valore di scambio, non il valore d’uso”, perché “il vero motivo animatore della produzione capitalistica [è] far denaro”. E aggiunge: “Il processo di produzione appare unicamente come inevitabile anello intermedio, male necessario allo scopo di far denaro. (Perciò tutte le nazioni a modo di produzione capitalistico sono prese periodicamente da una vertigine, durante la quale pretendono di far denaro senza la mediazione del processo di produzione)” (Il capitale, Libro II, UTET, p.80).

[2] Non parliamo poi dei ripetuti episodi di “rivolte sociali”, dai ghetti nord-americani alle banlieues francesi e ai quartieri emarginati delle metropoli inglesi, segno di un aggravarsi continuo delle condizioni di vita di settori enormi della popolazione proletaria.

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°01 - 2012)

INTERNATIONAL COMMUNIST PARTY PRESS
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