Il malessere sempre più esa-cerbato che cova all’interno della società del capitale, la crisi che acuisce gli effetti catastrofici suoi propri, la violenza del sistema borghe-se che manifesta – in manie-ra crescente - la propria spie-tata durezza, i vapori pesti-lenziali che sempre più si sprigionano dal modo di pro-duzione capitalistico, sono, per il proletariato, semplici verità. Qualche anno fa, solo per ri-cordare i casi più importanti, era stata la volta delle ban-lieue francesi; poi, sono ve-nute le rivolte per il pane, che nel 2007 e 2008 hanno coin-volto un grande numero di stati, in una cintura che va dall’Egitto all’Estremo O-riente, per non parlare delle rivolte in Cina e in tutto il sud est asiatico, che non fan-no notizia in occidente, ma che avvengono con una certa continuità da anni; quindi, circa un mese fa, sono scop-piate le rivolte nelle città gre-che, seguite poi da – seppur brevi – timidi accenni di ri-volta a Copenaghen, in alcu-ne città svedesi e nella lonta-na Vladivostok nella Russia dell’Est. Il 13 gennaio è stata la volta di Riga, capitale del-la Lettonia, a dimostrazione del fatto che la società mo-derna mostra la sempre cre-scente propensione a esaspe-rare le masse, offrendoci i-noltre una sorta di verifica sperimentale della legge del-la miseria crescente indivi-duata da Marx 150 anni or sono. A Riga, la violenza è scaturi-ta da una manifestazione contro il governo della re-pubblica baltica, accusato di amministrare in modo scelle-rato i soldi pubblici in tempo di crisi. In realtà, il male che sta alla base in Lettonia, co-me in qualsiasi altra città del pianeta, è il contrasto sempre più cruento fra una massa sempre più proletarizzata e schiacciata e una classe bor-ghese che vede aumentare in modo incontrollabile le fiammate di ribellione. Biso-gna ricordare che le stime del governo di Riga prospettano per il 2009 un crollo dell’e-conomia nazionale di oltre il 5%, basato su una già consi-stente contrazione del PIL del 4.5% nel 2008, che già a fine dicembre lo aveva co-stretto a ricorrere a un presti-to del FMI di circa 8 milioni di euro, per cercare di far fronte a un declino economi-co vertiginoso. Il risultato di tutto questo è stato un’im-pennata considerevole della disoccupazione e della po-vertà in tutto il paese: come sempre a pagare sono i prole-tari, i più indifesi. Per fron-teggiare la crisi, i tagli alla spesa pubblica saranno pari al 15%, ma – cosa ben più grave – i salari dei dipenden-ti pubblici sono già stati con-gelati, mentre le tasse hanno subito un aumento significa-tivo, tracciando quella che è una rotta comune imboccata da tutti i governi borghesi del pianeta: scaricare la crisi sul-le spalle del proletariato mondiale e sui senza riserve. Da tutto ciò appare chiaro che, al di là delle provocazio-ni della polizia spietata oltre misura, le condizioni di esi stenza sempre più insostenibi-li dei manifestanti li hanno spinti, una volta giunti sotto il palazzo del governo, a manife-stare la loro rabbia con lanci di pietre, pezzi di ghiaccio e bot-tiglie contro le finestre degli uffici governativi - in partico-lar modo contro il Ministero delle Finanze nel quale alme-no tre dipendenti sono rimasti feriti in modo serio - , per poi saccheggiare negozi e banche e incendiare le auto della poli-zia (è stato rovesciato anche un furgone della polizia milita-re, poi dato alle fiamme!) I proletari, spontaneamente, si sono rivoltati contro tutti quei simboli che rappresentano la disparità sociale e il braccio ar-mato dell’oppressione classi-sta. La folla in rivolta ha colpi-to in più punti della città ed è stata definitivamente dispersa solo verso le 11 di notte da nu-triti schieramenti di poliziotti che l’ha tenuta lontana dal pa-lazzo del potere facendo il pro-prio “dovere” a colpi di man-ganello, lanci di lacrimogeni e numerosi arresti (oltre 126), con diversi feriti (40 fra i ma-nifestanti, 6 agenti e 8 membri della polizia militare). Le tele-visioni di stato hanno afferma-to che non si assisteva a fatti del genere da molto tempo e che, addirittura, la sommossa è stata la peggiore a partire dal 1991, anno del collasso dell’Unione Sovietica. Le per-sone intervistate hanno dichia-rato che i partecipanti, rag-gruppati nella Piazza Doma, al centro della città, erano circa 30 mila, sia lettoni che rus-sofoni, e che tutti gridavano contro il governo slogan per costringerlo a dare le dimissio-ni. Con un attacco frontale di questa portata, Governo e op-posizione lettoni, all’unisono e in piena sintonia, hanno pen-sato bene e in tutta fretta di stigmatizzare come deplore-vole la violenza nelle strade, dimenticando volutamente le condizioni di vita ormai insop-portabili in cui hanno gettato la classe dei senza riserve del paese. Questa ennesima vam-pata e deflagrazione urbana che ha iniziato a investire an-che le fredde regioni del nord Europa rappresenta un altro importante esempio della a-scesa rapida e incontrollata della febbre sociale all’interno della società del capitale. Essa dichiara che il grado di tolle-ranza da parte proletaria ha li-miti oltre i quali non si può an-dare, sia che si tratti dei flem-matici e “freddi” popoli del nord o degli “irrequieti” prole-tari africani, asiatici, sudame-ricani, ellenici e delle ban-lieues parigine. Ma, come la storia insegna e come noi co-munisti non abbiamo mai ces-sato di ricordare, perché que-ste rabbiose ribellioni contro il sistema capitalistico non si spengano in modo insignifi-cante o vengano soffocate da un senso di avvilente demora-lizzazione, o ancora peggio vengano strumentalizzate e chiuse nei vicoli ciechi dell’opportunismo, è neces-saria la presenza (attiva, radi-cata, riconosciuta) del partito rivoluzionario mondiale, in grado di fungere da bussola politica e guida reale per le lotte di difesa e di attacco, presenti e future.

 

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°01 - 2009)

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