Sia lodato domineddio, i quattro partiti del centro hanno firmato (sempre che i socialdemocratici non ne approfittino per convocare l'ennesimo congresso straordinario) l'accordo per la divisione dei seggi e per una comune politica elettorale nella prossima giostra schedaiola. Lo hanno firmato, si noti bene, con una dichiarazione di principio che potrebbe servir di piattaforma anche al blocco Nenni - Togliatti: libertà, indipendenza nazionale, giustizia sociale, e via discorrendo.
IL risultato è chiaro: i quattro saranno un corpo unico con facce diverse; collegati nazionalmente nelle elezioni, si preparano a collegarsi domani al Governo; si distribuiscono oggi i posti in Parlamento e in Senato, forse si sono già divisi i portafogli del ministero avvenire. E, uniti e divisi, continueranno ad allungare i loro tentacoli da succhioni sullo Stato, sui Comuni, sulle provincie, sugli enti pubblici e privati: insomma, sulle mille fette della torta nazionale.
L'opposizione grida allo scandalo. Ingenue verginelle della democrazia, quando mai il regime democratico è stato qualcosa di diverso da un regime centralizzato di sanguisughe? Non andiamo tanto lontano; la repubblica italiana è nata dai C.L.N.; il regime dei C.L.N. da un accordo fra partiti che, dai comitati superiori fino ai comitatini di base, assegnò posti, cariche, prebende, seggiolini, secondo un'incontrollabile giustizia «distributiva». Nessuna «consultazione elettorale» aveva preceduti questi accordi: essi nascevano sotto la benedizione degli eserciti «liberatori», e la guerra non finì prima che il gioco dei mercanteggiamenti fra partiti fosse concluso. Insieme con la «libertà», ci furono elargiti, già bell'e pronti, i nuovi governanti, un corpo solo con una decina di teste.
Finì il C.L.N. ; vennero esarchia e tripartito. La torta fu divisa fra meno partecipanti, ma il metodo, superata la prova, rimase lo stesso. Ogni partito si ebbe, insieme con un ministero (anzi ― ma che termine ben trovato! ― con un portafoglio) una riserva di caccia, un orticello da dare in subaffitto alle sue clientele, una miniera da cui estrarre le materie prime per le future campagne elettorali: Non solo,  ma se l'organismo statale non era divisibile in parti (per esempio l'I.R.I.), i direttori di orchestra si dividevano presidenza, sottopresidenza, consiglio di amministrazione. Fu consultato il famoso «popolo»? Nemmeno per sogno.
Finì il tripartito, non perché programmi politici inconciliabili si contrapponessero, ma perché gli alleati della seconda guerra mondiale si erano dati l'addio. E, nell'opposizione, rimase il bruciore di aver perduto una quoto parte del diritto di succhiare il «popolo italiano». Non l'hanno perduta tutta, state tranquilli: i partiti di centro sanno troppo bene che, domani, potrebbero  ― Russia e America volendo ―, ritrovarsi al governo insieme con gli oppositori di oggi e alleati di ieri. Da mangiare c'è ancora per tutto: se non altro, alla greppia di Montecitorio e di Palazzo Madama.
Vista sotto questa luce, davvero non si capisce in che cosa la democrazia si differenzi dal fascismo. Succhione quello, succhiona questa; e, in più di un caso, il succhionismo è cresciuto in ragione diretta del maggior numero di aspiranti alla greppia.
Non si dica, dunque: i partiti di centro hanno tradito la democrazia. No; le sono stati fedeli. Hanno tradotto in un accordo fra partiti quella che è la essenza di ogni regime democratico che si rispetti: un'organizzazione centralizzata nella sostanza e variopinta nella forma, per la conservazione ed il potenziamento dell'organizzazione capitalistica dello sfruttamento umano.
 
 
 Il Programma comunista, n. 4, 20 novembre - 1 dicembre 1952
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