Poniamoci alcune piccole domande innocenti: è mai possibile che questa società (la società del Capitale, per essere chiari), con tutta la sua stupefacente tecnologia, con le sue avanzate soluzioni socio-ambientali, con il suo strabiliante sviluppo scientifico, con la sua mirabile organizzazione collettiva, con la sua stupefacente rete di comunicazioni sofisticatissime, e via di seguito, sia poi alla totale mercé della piena d’un fiume che sommerge buona parte di una città ultra-moderna come Brisbane, in quella nazione ultra-avanzata che è l’Australia facendo vittime e danni a non finire, piuttosto che delle piogge torrenziali che si abbattono sulle regioni intorno a Rio de Janeiro, in quel Brasile che è uno dei paesi “BRIC” (cioè le punte di diamante dell’aggressivo capitalismo contemporaneo), distruggendo interi paesi e facendo qualcosa come 4-500 vittime?

E’ mai possibile che, in frangenti di questo genere (come già successe all’epoca dello tsunami che devastò vaste aree del sud-est asiatico nel dicembre 2004 o dell’uragano Katrina nell’estate 2005 o del terremoto ad Haiti nel gennaio 2010, e in centinaia e centinaia di episodi simili di “catastrofi non naturali”), si scopra che la colpa è dell’abusivismo edilizio, della mancanza di tutela del territorio, di cementificazione selvaggia, di utilizzo arbitrario di corsi d’acqua, di folle erosione del suolo, di progressione geometrica nell’accumulazione di miseria a un polo della società, di inesistenza e inefficienza delle strutture di intervento e salvataggio? E’ mai possibile che in tutti questi casi (centinaia, migliaia, sull’arco di almeno due secoli di storia) le popolazioni colpite siano invariabilmente quelle più povere, sofferenti, disastrate e sfruttate, e che – grazie al peloso interessamento di “ricostruttori” assetati di profitti rapidi e giganteschi – tali restino (se non peggio) negli anni e decenni successivi, andando così (invariabilmente) a ingrossare la massa sempre più grossa di senza riserve in fuga da tutto e in cerca del mezzo anche più miserabile per sopravvivere?

Sì, è possibile, e noi comunisti lo sappiamo bene. E’ possibile, perché il mondo del Capitale frana ovunque – sia a livello economico, sia a livello sociale. Buttiamolo una buona volta nella spazzatura!

Poi è arrivato il terremoto-tsunami in Giappone. Fiumi d’inchiostro sono stati sempre spesi per magnificare la preveggenza nipponica in fatto di costruzioni anti-sismiche (frutto di un’esperienza drammatica). Ma in quest’occasione, veniamo a sapere che in un territorio così stretto e limitato e con una densità di popolazione così elevata, si trovano ben 18 centrali nucleari con un totale di 55 reattori. Insomma, non solo il Giappone siede su un vulcano sismico, ma anche – ben tragico paradosso – su un’enorme bomba atomica! “Ma il problema energetico…”, sentiamo dire qualcuno. Per l’appunto: o si ragiona nei termini di un piano mondiale per la specie (quindi, di un’economia non basata sul profitto, che esclude quanto di dannoso c’è per la specie umana anche attraverso una diversa dislocazione della popolazione sulla crosta terrestre), o si è alla mercé delle catastrofi, naturali e non… Tertium non datur, non c’è altra alternativa.

Torneremo necessariamente sull’argomento. Ma intanto sottolineiamo un altro aspetto: anche sotto gli scossoni “naturali”, il crollo dell’economia mondiale si fa ogni giorno più catastrofico. Certo, ci saranno i “buoni affari” della ricostruzione: ma essi non verranno tanto presto e avranno comunque a che fare con aree dissestate, contaminate, spopolate. Nel frattempo, crolla la borsa di un paese già economicamente asfittico, altre masse enormi viaggeranno spogliate di ogni avere per i mari del mondo, e lo tsunami acquatico s’intreccerà con quello economico. Tutto si tiene insieme, e dunque ancor più illusorio appare ogni patetico tentativo di mettere una pezza qui e un rattoppo là. E’ tutto un modo di produzione che va abbattuto, per sostituirvene un altro finalmente più razionale, davvero globale e attento ai bisogni della specie, e non a quelli della bottega, della patria, di quel mostro divoratore e distruttore che è ormai il capitalismo.

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°02 - 2011)

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