DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

“Siamo tutti a rischio”, dichiara alla Stampa del 6/10, a proposito del disastro del Vajont (60 anni fa, 2000 morti, cinque paesi spazzati via dalla gigantesca onda d'acqua che, provocata dalla caduta di un pezzo del Monte Toc nell'invaso, scavalca una diga costruita in una località sbagliata), l'attore Marco Paolini, che a quel disastro ha dedicato un celebre monologo.

Intanto, guardrail vecchi e usurati che si spezzano sotto l'urto di un pullman, ponti da anni privi di manutenzione che crollano di colpo, operai straziati da treni mentre lavorano in condizioni di non-sicurezza, inondazioni devastanti che inghiottono intere popolazioni a causa di cementificazione scatenata, civili massacrati da guerre e guerricciole... Potremmo continuare e riempire di queste “tragedie” ogni numero di questo giornale.  

Nel rimandare a quanto scrivemmo all'epoca del disastro del Vajont (“La leggenda del Piave”, il programma comunista, n.20/1963), citiamo da un altro nostro testo, uscito dieci anni prima ed emblematicamente intitolato “Omicidio dei morti”: “In Italia abbiamo una vecchia esperienza delle 'catastrofi che si abbattono sul paese' ed abbiamo una certa specializzazione nel 'montarle'. Terremoti, eruzioni vulcaniche, inondazioni, nubifragi, epidemie... Indiscutibilmente gli effetti sono sensibili soprattutto sui popoli ad alta densità e più poveri, e se cataclismi spesso più terrificanti assai dei nostri si abbattono su tutti gli angoli della terra, non sempre tali sfavorevoli condizioni sociali coincidono con quelle geografiche e geologiche. Ma ogni popolo ed ogni paese ha le sue delizie: tifoni, siccità, maremoti, carestie, onde di caldo e di gelo ignote a noi del 'giardino d'Europa'; e aprendo il giornale se ne trova immancabilmente più di una notizia, dalle Filippine alle Ande, dalla calotta glaciale ai deserti africani. Il nostro capitalismo, come cento volte detto, poco importante quantitativamente, ma all'avanguardia non da oggi, in senso "qualitativo", della borghese civiltà, di cui offrì i più grandi precursori tra lo splendere del Rinascimento, ha sviluppato in modo maestro l'economia della sciagura”.

E ancora, in un altro nostro testo, anch'esso dal titolo emblematico (“Piena e rotta della civiltà borghese”, pubblicato a seguito delle inondazioni del Polesine del 1951), mostravamo che il capitalismo, specie nella sua fase ultra-moderna, imperialista, “segna gravi punti di rinculo nella lotta di difesa contro le aggressioni delle forze naturali alla specie umana, e le ragioni ne sono strettamente sociali e di classe, tanto da invertire il vantaggio che deriva dal progresso della scienza teorica ed applicata. Attendiamo pure ad incolparlo di avere esasperata cogli scoppi atomici l'intensità delle precipitazioni meteoriche, o domani 'sfottuta' la natura fino a rischiare di rendere inabitabile la terra e la sua atmosfera, e magari di farne scoppiare lo stesso scheletro per avere innescate 'reazioni a catena' nei complessi nucleari di tutti gli elementi. Per ora stabiliamo una legge economica e sociale di parallelismo tra la sua maggiore efficienza nello sfruttare il lavoro e la vita degli uomini, e quella sempre minore nella razionale difesa contro l'ambiente naturale, inteso nel senso più vasto” (Battaglia comunista, n.23/1951).

Così, Paolini avrebbe dovuto formulare quella frase con l'aggiunta di due semplici paroline: nessuno è al sicuro dal capitalismo.

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