DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Abbiamo deciso di intitolare così, in una maniera che potrebbe sembrare un po' roboante, una serie di corrispondenze dalla Francia che, mentre continuano a disegnare la situazione locale, come s'è cominciato a fare nel numero scorso di questo stesso giornale, toccano però questioni che vanno ben oltre i confini di quel Paese: la persistenza di una mobilitazione proletaria che, una volta di più, smentisce la teoria ostinatamente diffusa della “scomparsa del proletariato”, la necessità di rinascita di organismi territoriali extra-aziendali ed extra-sindacali, la dimensione sociale e non limitatamente “fabbrichista” delle lotte, la falsità della retorica democratica e il vero volto della democrazia blindata (o dittatura democratica!), e così via. Questioni che, per l'appunto, riguardano tutto il mondo, e che sono bene trattate dalle due lettere e dal volantino che seguono.

La prova del budino

Va di moda (e lo abbiamo sentito anche in Francia) disputare o versare lacrime sulla “scomparsa del proletariato”. È stato incredibile sentire, durante una o due assemblee pubbliche tenute a Parigi dal CSP 20 (Comitato di quartiere – Solidarietà ai Senza Documenti), alcuni partecipanti di “buona volontà” attribuire la propria demoralizzazione al fatto di avere “tentato invano” di incoraggiare a far sciopero! Gli stessi, o altre simili “anime belle”, ne traggono come conclusione la condanna... dello sciopero stesso come mezzo di lotta: probabilmente sono rimasti ciechi e sordi alle coraggiose lotte non solo dei Senza Documenti, ma dei tenaci netturbini, presenti fra l’altro nello stesso quartiere, che sono dilagate, pare, in tutto il paese! E invece hanno dato retta agli Onorevoli di sinistra, due poveretti venuti a diffondere nella stessa assemblea le loro parole avvelenate, cadute per lo più nell’indifferenza!
Una sola risposta, quella classica: “La prova del budino sta nel mangiarlo!”, come scrisse qualcuno. Cioè: il proletariato esiste eccome, e lotta dove e come può. Basta aprire gli occhi per rendersene conto! Guardiamo per esempio il Comitato di cui sopra: è interessante cogliere la differenza tra i proletari veri, “immigrati senza documenti” e senza diritti, appunto, e i loro “solidali”, piccoli borghesi, eventualmente intellettuali ed eventualmente politicizzati... a sinistra. I primi parlano poco, ma “sono qua” e ci ringraziano calorosamente dopo i nostri interventi; i secondi si adeguano, cercando, alla fine delle riunioni, di correggere le parole disfattiste che gli sono appena sfuggite... 
Si potrebbe dare qualche altra prova, sempre attraverso l’esempio dei lavoratori immigrati, della presenza del nostro “budino”. Così, la manifestazione del 25 marzo contro la legge Darmanin anti-immigrati (di cui abbiamo dato notizia nel numero scorso di questo giornale), convocata non dai Sindacati né da alcun partito politico, eppure affollatissima (grazie, sembra, al lavoro dei Comitati), nella quale si notavano non solo i “solidali”, ma moltissimi proletari di origine africana, con la bella ed energica musica dei loro tamburi. 
Altro esempio più recente e sintomatico, perché si tratta del Primo Maggio, ricorrenza nella quale ogni anno l’estrema destra festeggia... Giovanna d’Arco (nota lavoratrice in quanto... pastora!). Ebbene, il CSP 20 aveva deciso anche lui di festeggiare il Primo Maggio, ma a modo suo: spostandosi a Le Havre, grande porto, dove la Le Pen doveva fare il suo meeting. È stato accolto a braccia aperte dal Comité locale: la gioia nel ritrovarsi “tutti insieme”, che l’intervento della polizia democratica (multa salata e sequestro dell’auto dei due parigini) non è riuscito a guastare… 
Per finire sul “budino”, segnaliamo ancora le due manifestazioni in quartieri popolari, il XIX e il XX, manifestazioni extra-sindacali, che per numero di partecipanti potevano far concorrenza a quelle ufficiali, con gli slogan: “Parigi, in piedi! Sollevati!”, e, più minoritari: “Luigi XVI è stato decapitato!”, e “Facciamo come a Rennes! Appicchiamo il fuoco!” (a Rennes, gli scontri sono stati particolarmente violenti); ma soprattutto con la canzone dei “Gilets Jaunes”, scandita oramai da un capo all’altro di tutte le manifestazioni, anche senza la loro presenza. Altra nuova abitudine: i concerti di pentole, numerosi o individuali, per rispondere con lo scherno alla proibizione di usarle, avvenuta poco tempo prima. Secondo il proverbio, “il ridicolo non uccide”, ma fa male lo stesso alle autorità… 
Quindi, sì, certo che il proletariato esiste, e che la Vecchia Talpa continua a scavare, anche solo se si prende l’esempio della piccola e decaduta Francia. Il proletariato di qui è cambiato: la Renault, “fortezza operaia” di una volta che aveva brillato nel Sessantotto, non c’è più, ma in compenso esiste un nuovo proletariato multi-etnico, in questo paese di vecchio colonialismo e odierno imperialismo. Suo compito sarà di lottare sia contro la democrazia sia contro il populismo, e di rafforzare il Partito che dovrà partecipare e guidarlo nelle sue battaglie. 

                                                                                                                                             3/5/2023

“Libertà”, ma per chi?

“Liberté ! Liberté chérie !”,  canta la Marseillaise, inno della Repubblica francese, mentre sul frontone di tutti gli immobili ufficiali è inciso il motto : “Liberté, Egalité, Fraternité”, un motto che ha un sapore ironico, più o meno come l’italico “La legge è uguale per tutti”. Infatti, “libertà”, ma per chi? Certamente, non per i lavoratori… Il 14 giugno 1791, la famigerata legge Le Chapelier (dal nome del presidente dell’Assemblea Costituente), con il pretesto di abolire le Corporazioni dell’Ancien Régime aristocratico in nome della libertà d’intrapresa, proibiva in realtà agli operai (ancora non bene distinti dagli artigiani) di riunirsi in associazioni di mestiere e naturalmente di fare sciopero per difendere “i loro pretesi interessi comuni”: “Ogni assembramento di artigiani, operai, dipendenti o braccianti sarà disperso con la forza”, in quanto si tratta di “perturbatori del pubblico riposo”. Questa misura, che i ministri di Luigi XVI non erano riusciti a prendere, si spiegava con il contesto sociale particolarmente “caldo” della primavera 1791, quando, in piena Rivoluzione borghese, a Parigi carpentieri e fabbri si riunivano ripetutamente e regolarmente  per rivendicare aumenti di salario e migliori condizioni di lavoro, mentre già nelle prime ore della Rivoluzione ciabattini, parrucchieri, garzoni-sarti avevano lottato in modo virulento per i salari…

La legge Le Chapelier sarà abrogata solo nel 1864 e 1884. Ma intanto, legge o non legge, borghesi e proletari avranno avuto il tempo di scontrarsi. Poi, con lo sviluppo del modo di produzione capitalistico, i proletari hanno continuato a battersi e la borghesia ha affinato le proprie armi di dominio, sperimentando e perfezionando fino ad oggi l’alternanza di violenza repressiva e violenza legislativa, aiutata infine dalle stesse organizzazioni nate in origine per difendere i proletari. Ecco uno schematico elenco di questi episodi.

Nel 1810, il Codice Penale di Napoleone Primo, figlio della Rivoluzione, proibisce esplicitamente ogni sciopero operaio, rispondendo alle azioni di “sabotaggio” dei lavoratori, che in tutto il periodo precedente non avevano esitato a infilare i loro sabots (zoccoli) negli ingranaggi delle prime macchine, considerate responsabili della disoccupazione.

Intorno al 1880, le lotte operaie hanno ormai fatto grandi progressi, dopo questi primitivi e ingenui esordi, guadagnando in ampiezza e rivelando la propria natura internazionale, mentre dappertutto la borghesia reagisce con la sua violenza di classe. Dopo lo sciopero generale per le Otto Ore e la cruenta repressione del Maggio 1886 negli Stati Uniti, in Francia la CGT (Confederazione Generale del Lavoro), nata nel 1895, adotta nel 1906 la Charte d’Amiens, di impronta sindacalista-rivoluzionaria, nella quale si rivendica appunto lo sciopero generale come mezzo precipuo non solo per difendersi, ma per giungere all’emancipazione del proletariato.

E si arriva al 1908. Nello sciopero delle Sablières (cave di sabbia della periferia parigina), 1100 operai si uniscono per rivendicare migliori condizioni di lavoro e di salario e il riconoscimento del loro diritto a sindacarsi. Il presidente del Consiglio Clémenceau, autodefinitosi “premier flic de France” (primo sbirro di Francia), manda l’esercito, mentre diecimila operai accorrono da Parigi: quattro proletari uccisi, decine di feriti non solo tra gli operai ma anche tra le forze dell’ordine, quattro dirigenti CGT arrestati. Questo periodo di scontri aperti culmina nello sciopero generale del 1936. In tutta la Francia, ma soprattutto nella periferia parigina (la Renault di Boulogne-Billancourt si merita il nome di “Fortezza operaia”), due milioni di proletari lasciano il lavoro e occupano le fabbriche.

Dopo il secondo massacro mondiale e l’episodio del governo filo-nazista di Vichy, che proibisce di nuovo gli scioperi e i sindacati, la Repubblica adotta nuovi mezzi per combattere il proletariato, imbavagliandolo con tutti i mezzi offerti dalla democrazia, in particolare inscrivendo il “diritto di sciopero” e il “diritto di associazione” nella Costituzione del 1946, il cui Preambolo precisa (ed è il fatto più significativo!) che “il diritto di sciopero si esercita nel quadro delle leggi che lo regolamentano”. È soprattutto sintomatico il fatto che le CRS (Compagnie Repubblicane di Sicurezza), polizia specializzata nella repressione dei moti sociali tuttora operante, siano state create dalla Repubblica democratica nel 1944 e perfezionate dopo i grandi scioperi operai con sommosse del 1947. 

Da mezzi di lotta ottenuti e difesi col sangue dei lavoratori, lo sciopero e i sindacati dovranno inserirsi ormai nello Stato e nel dialogo amabile con la controparte. Quelle famose “leggi” risponderanno a due principi fondamentali : gli scioperi non dovranno interrompere la continuità del Servizio pubblico (lo Stato-padrone è sacro!) e va difeso “il rispetto dell’interesse generale”, che vuol dire “non impedire ai lavoratori che non scioperano di lavorare”: quindi niente blocchi o picchetti, niente danneggiamenti di materiale (oh, gli antichi sabots!) e, naturalmente, niente “violenze” (si sa: il regno del Capitale è squisitamente dolce e pacifico!). Insomma, la democrazia è oramai mezzo prediletto per paralizzare il proletariato, invitato ad accettare a occhi chiusi la propria schiavitù. La lotta dovrà essere bloccata: regnerà la “negoziazione” col nemico di classe, è d’obbligo il “servizio minimo” nei servizi pubblici; sono proibiti gli “scioperi bianchi” (e dunque, l’occupazione dei luoghi di lavoro), quelli a scacchiera e quelli politici. Invece, mentre i “diritti” dei lavoratori vengono strettamente inquadrati, quelli dello Stato (democratico, ma sempre più autoritario) risultano senza limiti: i prefetti possono sempre, “in caso di necessità” (ma definita da chi?), precettare il personale: e questo significa tentare di stroncare la lotta di difesa dei lavoratori, utilizzando lavoratori meno protetti come crumiri, o facendo intervenire direttamente l’esercito.

Inutile dire che le direzioni dei sindacati ufficiali, affezionatissime alla negoziazione come a ogni genere di collaborazione di classe, si sono sempre attenute a ogni aspetto di questa legislazione democratica. Ma i proletari, fedeli ai grandi esempi del passato, dal 1936 al 1947, l’hanno, nelle loro ore più belle, allegramente ignorata e scavalcata, ottenendo talvolta notevoli successi. Nel 1963, nonostante le precettazioni, il famoso sciopero generale dei minatori, questi lavoratori particolarmente sfruttati di un settore in declino, ottiene dopo più di un mese di conflitto un aumento di salario e la quarta settimana di congedo pagato. E ancora oggi, nel recente quadrimestre di proteste contro la Riforma delle Pensioni, i manifestanti hanno spesso ricordato la vittoria “illegale” del 2006: quella dei giovani lavoratori sulla legge CPE (Contrat Première Embauche, cioè Contratto di Prima Assunzione), proprio mentre questa era già stata ufficialmente “promulgata”, e quindi era di norma intangibile; senza parlare poi del mitico modello degli scioperi attivi, “selvaggi”, generalizzabili, economici e politici del Maggio-Giugno 1968, attuati senza chiedere il permesso a nessuno.

La “libertà” introdotta alla fine del Settecento dalla Rivoluzione borghese significa, da una parte, la schiavitù dei salariati, con o senza “diritti”, impastoiati dalle leggi e dalle tristi organizzazioni che dovrebbero difenderli, e repressi dalle forze armate dello Stato quando rialzano la testa; dall’altra parte, il dominio, statale o privato, destro o sinistro, dei servitori di Moloch. Terra da tempo colonizzatrice e ora “ospite” involontaria di una numerosa e battagliera immigrazione, spesso venuta dalle antiche colonie, la Francia è stata ed è tuttora terreno  fertile per la menzogna di una democrazia che si rivela sempre più autoritaria: ma dovrà esserlo anche per la propaganda e la lotta internazionaliste. Sarà compito del proletariato, diretto dal suo Partito, buttare all’aria la propria schiavitù mascherata da “libertà per tutti” e prepararsi a instaurare, senza maschere, la Dittatura della sola classe che non ha nessun interesse egoistico o nazionale da difendere.

                                                                                                                                 16/5/2023

Viva il Primo Maggio, festa internazionale dei lavoratori!

Per la ripresa della lotta di classe di fronte alla pace come alla guerra imperialiste!

Di fronte all’offensiva capitalistica, i cui aspetti più conosciuti sono le violenze poliziesche e, in Francia, la riforma delle pensioni, i lavoratori sono ben lungi dall’essere rimasti inattivi. Gli scioperi a singhiozzo e le giornate d’azione-inazione organizzati dai sindacati sono stati seguiti in modo massiccio. La solidarietà con i lavoratori immigrati, apertamente abbandonati dalle organizzazioni social–scioviniste, ha permesso, grazie in particolare ai loro comitati, di riunire manifestazioni che potevano reggere il confronto con gli imponenti cortei ufficiali. Lo sciopero dei netturbini, veri dannati della terra, è proseguito per parecchi mesi, nonostante le precettazioni e la repressione. Infine, novità notevole, Parigi non è rimasta sola : gli abitanti di città medie e piccole di provincia sono scesi in piazza, spesso per la prima volta. I sindacati di regime, specialisti della negoziazione a ogni costo, si sono creduti costretti ad annunciare per questo Primo Maggio una mobilitazione « senza precedenti », e si gonfiano di nuovi aderenti, il che mostra che i lavoratori sentono il bisogno di organizzarsi, anche se per il momento vedono a loro disposizione solo le organizzazioni che tradiscono.

La collera, la combattività, la speranza che brillavano nelle manifestazioni di questi ultimi mesi sono reazioni preziose, ma vi manca ancora  qualche cosa : un vero sbocco politico. Le lotte di difesa sono necessarie, ma finché esisterà il Capitalismo, la borghesia non la smetterà di tentare di riprendersi quello che i proletari avranno strappato con le loro lotte. La pensione a sessant’anni, vinta nel 1982, è stata ripresa quasi subito, e stanno adesso a cercare di imporci   i sessantaquattro anni : il che per molti vuol dire lavorare fino all’incapacità per malattia – anzi, fino alla morte.

Allora dov’è la soluzione ? La borghesia democratica, la piccola borghesia e i cosiddetti « partiti operai » propongono da sempre la stessa : fare fuori il governo odiato (« In pensione Macron e il suo mondo ! ») ed eleggerne uno « migliore » : come se tutti i governi borghesi , di destra o di sinistra, non fossero altro che i comitati d’affari con i quali lo Stato capitalistico organizza la propria dittatura ! Certo, fa piacere sentire che Macron non osa quasi più uscire di casa per timore dei concerti di pentole, né scendere sul prato dello Stadio di Francia per timore dei fischi e dei cartoni rossi. Ma eleggere un Macron numero due ?

Infine, di fronte alla crisi ineluttabile del Capitalismo, il capitale ha ancora una soluzione suprema : la guerra imperialista, modo radicale per distruggere le forze produttive sovrabbondanti – merci, macchine, e soprattutto i proletari. Questa soluzione criminale alla disoccupazione, la borghesia la prepara in anticipo, diffondendo le sue menzogne velenose per ottenere l’adesione delle future vittime. Come nel 1914 con l’“Unione sacra” di fronte all’“aggressore” tedesco, l’invasione dell’Ukraina da parte dell’imperialismo russo è un’occasione di sogno per gli Stati imperialisti occidentali per atteggiarsi a pacifisti, a democratici, a campioni della  “civiltà di fronte alla barbarie”.

Perciò il risultato più importante delle attuali lotte “immediate” sarebbe costruire l’unità dei proletari (“Tutti insieme! Tutti insieme!”), e acquisire la sensazione di appartenere a una classe irrimediabilmente opposta alla classe nemica, la borghesia, e al suo Stato. Sarebbe contribuire a raccogliere la forza, e riorganizzare il partito di classe, che superi l’orizzonte limitato di queste lotte difensive: un partito comunista nel vero senso della parola, perché lotta per distruggere il sistema capitalistico, cioè la schiavitù salariata; un partito internazionalista (e potenzialmente internazionale) perché, come osava proclamare il Manifesto del Partito Comunista del 1848 che ci guida ancora oggi, “I proletari non hanno patria”.

Con la sua partecipazione alle lotte operaie attuali, e forte delle lezioni delle lotte passate e della sua battaglia pratica e ideologica contro il nemico peggiore del proletariato annidato nel suo seno, lo stalinismo (e il post-stalinismo) e tutte le deviazioni, questo partito dovrà forgiare e organizzare la forza che un giorno riuscirà a finirla con la nostra schiavitù. Così preparerà la vera soluzione alla guerra inter-imperialista che la borghesia prepara attivamente : il disfattismo rivoluzionario, che sostituirà alla guerra tra fratelli di classe dei diversi paesi la fraternizzazione tra di loro e la guerra civile tra classi nemiche – proletariato contro borghesia. Questo fecero vittoriosamente i bolscevichi della buona epoca, che posero termine alla prima grande carneficina mondiale, sostituendo alla guerra imperialista la rivoluzione internazionale del proletariato.

PER LA SOLIDARIETÀ E L’UNITÀ DEI PROLETARI FRANCESI E STRANIERI !

CONTRO LO SCIOVINISMO!

CONTRO LA DEMOCRAZIA, CHE SI PRETENDE NEMICA DEL FASCISMO, MENTRE SONO DUE FORME ALTERNE E COMPLEMETARI DI UNA STESSA DITTATURA BORGHESE !

CONTRO LA PREPARAZIONE DELLA GUERRA IMPERIALISTA !

PER LA PREPARAZIONE RIVOLUZIONARIA !


(volantino distribuito a Parigi durante la manifestazione del Primo Maggio)

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