DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

[---] per il materialista pratico, cioè per il comunista, si tratta di rivoluzionare il mondo esistente, di metter mano allo stato di cose incontrato e di trasformarlo. [...]

La divisione del lavoro offre anche il primo esempio del fatto che, fintanto che gli uomini si trovano nella società naturale, fintanto che esiste la scissione fra interesse particolare e interesse comune, fintanto che l'attività, quindi, è divisa non volontariamente ma naturalmente, l'azione propria dell'uomo diventa una potenza a lui estranea, che lo sovrasta e lo soggioga, invece di essere da lui dominata.

Cioè: non appena il lavoro comincia a essere diviso, ciascuno ha una sfera di attività determinata ed esclusiva che gli viene imposta e dalla quale non può sfuggire: è cacciatore, o pescatore, o pastore, o critico-critico, e tale deve restare se non vuole perdere i mezzi per vivere; laddove nella società comunista, in cui ciascuno non ha una sfera di attività esclusive ma può perfezionarsi in qualsiasi ramo a piacere, la società regola la produzione generale e appunto in tal modo mi rende possibile di fare oggi questa cosa, domani quell'altra, la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, così come mi vien voglia; senza diventare né cacciatore, né pescatore, né pastore, né critico critico.

Questo fissarsi della attività sociale, questo consolidarsi del nostro proprio prodotto in un potere obiettivo che ci sovrasta, che cresce fino a sfuggire al nostro controllo, che contraddice le nostre aspettative, che annienta i nostri calcoli, è stato fino ad oggi uno dei momenti principali dello sviluppo storico.

Il potere sociale, cioè la forza produttiva moltiplicata che ha origine attraverso la cooperazione dei diversi individui, determinata nella divisione del lavoro, appare a questi individui, poiché la cooperazione stessa non è volontaria ma naturale, non come il loro proprio potere unificato, ma come una potenza estranea, posta al di fuori di essi, della quale essi non sanno donde viene e donde va, che quindi non possono più dominare e che al contrario segue una sua propria successione di fasi e di gradi di sviluppo la quale è indipendente dal volere e dall'agire degli uomini e anzi ne dirige questo volere e agire.

Questa estraneazione [reificazione/alienazione/disumanizzazione dell'umano dalla sua caratteristica di essere umano], per usare un termine comprensibile ai filosofi, naturalmente può essere superata soltanto sotto due condizioni pratiche.

Affinché essa diventi un potere “insostenibile”, cioè un potere contro il quale si agisce per via rivoluzionaria, occorre che essa abbia reso la massa dell'umanità affatto “priva di proprietà” e l'abbia posta altresì in contraddizione con un mondo esistente della ricchezza e della cultura, due condizioni che rappresentano un grande incremento della forza produttiva, un alto grado di sviluppo, e d'altra parte questo sviluppo delle forze produttive (in cui è già implicita l'esistenza empirica degli uomini sul piano della storia universale, invece che sul piano locale) è un presupposto pratico assolutamente necessario anche perché senza di esso si generalizzerebbe soltanto la miseria e quindi col bisogno ricomincerebbe anche il conflitto per il necessario e ritornerebbe per forza tutta la vecchia merda, e poi perché solo con questo sviluppo universale delle forze produttive possono aversi relazioni universali fra fra gli uomini, ciò che da una parte produce il fenomeno della massa “priva di proprietà” contemporaneamente in tutti i popoli (concorrenza generale), fa dipendere ciascuno di essi dalle rivoluzioni degli altri, e infine sostituisce agli individui locali individui inseriti nella storia universale, individui empiricamente universali.

Senza di che 1) il comunismo potrebbe esistere solo come un fenomeno locale, 2) le stesse potenze dello scambio non si sarebbero potute sviluppare come potenze universali, e quindi insostenibili, e sarebbero rimaste “circostanze” relegate nella superstizione domestica, 3) ogni allargamento delle relazioni sopprimerebbe il comunismo locale.

Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente [corsivo nostro]. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente.

D'altronde la massa di semplici operai – forza lavorativa privata in massa del capitale o di qualsiasi limitato soddisfacimento – e quindi anche la perdita non più temporanea di questo stesso lavoro come fonte di esistenza assicurata, presuppone, attraverso la concorrenza, il mercato mondiale.

Il proletariato può dunque esistere soltanto sul piano della storia universale, così come il comunismo, che è la sua azione, non può affatto esistere se non come esistenza “storica universale”.

Esistenza storica universale degli individui, cioè esistenza degli individui che è legata direttamente alla storia universale.

Altrimenti, per esempio, come avrebbe potuto la proprietà avere una storia qualsiasi, assumere forme diverse, e la proprietà fondiaria, a seconda dei diversi presupposti esistenti, spingere in Francia dalla suddivisione parcellare alla concentrazione in poche mani, e in Inghilterra dalla concentrazione in poche mani alla suddivisione parcellare, come oggi accade realmente?

Ovvero come avviene che il commercio, il quale pur non è altro che lo scambio dei prodotti di individui e paesi diversi, attraverso il rapporto di domanda e di offerta domina il mondo intero -un rapporto che, come dice un economista inglese, simile all'antico fato sovrasta la terra e con mano invisibile ripartisce fortuna e disgrazia fra gli uomini, edifica e distrugge regni, fa sorgere e scomparire popoli- mentre con l'abolizione della base, la proprietà privata, con l'ordinamento comunistico della produzione e con la conseguente eliminazione di quella estraneità che impronta le relazioni degli uomini con il proprio prodotto, la potenza del rapporto di domanda e di offerta si dilegua e gli uomini riprendono in loro potere lo scambio, la produzione, il mondo del loro reciproco comportarsi?

(C. Marx e F. Engels, L'ideologia tedesca, I)

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