DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Il nostro pianeta vive la sua vita secondo le regole della dialettica della natura: leggi fisiche da cui derivano le condizioni per cui, in un intreccio deterministico di cause ed effetti nel corso dei milioni di giri della nostra Terra intorno al Sole, si sono sviluppate quelle caratteristiche chimiche per cui qualche migliaio di molecole è progressivamente stata in grado di autorganizzarsi, autostrutturarsi, autoreplicarsi, nel processo che una curiosa varietà del medesimo ha chiamato biologico. Ed eccola lì la nostra specie, con buona pace degli amici antispecisti: l'unico fenomeno in cui, a furia di agire e reagire, consumare energia, strutturarsi e così via, la materia, oltre a muoversi e divenire, riflette su se stessa.

In teoria... Nei fatti, l'organizzazione sociale della nostra combriccola di scimmie nude non è ancora in grado, e non necessariamente sarà in grado, di esprimere fino in fondo questa possibile capacità. Nel frattempo, il Pianeta, o forse meglio la sua struttura geologica, si muove, cumula e scatena energie più o meno potenti che la scimmia nuda non ancora umana percepisce come violente “calamità naturali”. E così è... E si contano e si piangono le vittime, si corre in soccorso, si dibatte, si studia, si cercano i colpevoli e le cause ultime... trascurando le cause prime.

Noi comunisti non ci accontentiamo di descrivere e raccontare quest'ultima disgrazia. La pedanteria della cronaca della tragedia la lasciamo alla variegata consorteria dei pennivendoli (non certo giornalisti), dei tecnici (non certo scienziati), degli ideologi (non certo intellettuali). Insomma, all'espressione erudita della borghesia dominante e dei suoi politicanti.

Pensiamo piuttosto utile e necessario tornare e ritornare alla spiegazione di come una calamità non solo diventi, ma nasca, tragedia proprio per l'idiota superbia sfruttatrice (sia del lavoro degli umani sia delle risorse della natura) del modo di produzione capitalistico.

E ripubblichiamo un nostro lavoro di partito in cui i “protagonisti” sono, per l'occasione, italiani, ma in italiano parlano tutte le lingue nazionali in cui l'impersonale borghesia dominante imperversa da tutte le parti.

Rispetto al numero di proletari morti (e che moriranno), ai sopravvissuti e agli stenti che una carità ipocrita sfrutterà per arricchirsi, ci permettiamo solo di aggiungere: certo, l'energia tellurica (7,9 !!!) ha squassato e spostato un'area vastissima, ma se il 52% della popolazione umana non fosse ormai concentrata nelle aree urbane dove sopravvive, stratificata in palazzoni e palazzacci di decine di piani, per di più mal costruiti, avremmo (e avremo) lo stesso numero di cadaveri? E che dire poi dell'innegabile constatazione che buona parte, se non tutti, dei morti siriani appartiene a quelle masse proletarizzate dalla guerra imperialista che proprio in quei luoghi le ha ammassate come profughi e ostaggi?

***

Calamità naturali e capitalismo. È il capitalismo la vera calamità

“Più il capitalismo è efficiente nello sfruttare il lavoro e la vita degli uomini più si dimostra impotente nella razionale difesa contro l’ambiente naturale, inteso nel senso più vasto”. Se era certamente vero quanto scrivevamo nel 1951 dinanzi alle grandi inondazioni del Polesine (1), lo è tanto più oggi, dopo altri 60 e passa anni, durante i quali il capitalismo, per la continua, crescente sete di profitto, non ha fatto che continuare a devastare sempre più non solo l’ambiente di lavoro ma in genere tutto l’ambiente naturale, l’atmosfera e il clima, aggravando gli effetti sulle popolazioni. Le numerose “ricostruzioni”, infatti, seguite ad alluvioni, esondazioni, allagamenti, frane, nubifragi, terremoti, ecc., hanno puntato e si sono risolte positivamente solo per i “grandi affari” dei grossi speculatori, che tengono in pugno funzionari statali (protezione civile, ecc) e apparato politico, a loro sempre più asserviti. “Ricostruire” ha significato soprattutto elargire sovvenzioni statali agli speculatori, agli “esecutori”, alle imprese – sovvenzioni la cui misura, come pure il controllo tecnico sulle stesse opere, chissà perché regolarmente “sfugge” allo Stato, rappresentato dai suddetti politici e funzionari.

Laddove sarebbe sufficiente una continua e poco costosa opera di manutenzione per difendersi dalle calamità naturali, il capitalismo punta sempre alla “grande opera”, non per realizzare una maggiore o migliore difesa, ma solo per i suoi grandi affari. Punta sempre ai grandi profitti, alla sottrazione di lavoro vivo e attivo: la razionale conservazione di quanto ci trasmette il lavoro passato col minimo sforzo di lavoro attuale non gli interessa. Punta, al contrario, alla “distruzione di masse del lavoro passato”, fregandosene così dei viventi come dei posteri (2). Per poter sfruttare al massimo altro lavoro vivo, il capitale deve annientare quanto più possibile lavoro morto, tutt’ora utile, per imporne il rinnovamento con lavoro vivo, dal quale solo “succhia” profitti. Ha tutto l’interesse ad auspicare, favorire, determinare distruzioni e flagelli di quanto costruito in passato col lavoro umano, non solo nel campo delle opere idrauliche o delle costruzioni, ma in tutti i campi produttivi. Più rapidamente il capitale costante viene “rinnovato” (meglio ancora se distrutto) più prevale nelle ricostruzioni l’incidenza del lavoro vivo e attuale, l’unico che interessi al Capitale.

I milioni stanziati per riparare argini, rendere più stabile il suolo, soccorrere o indennizzare le popolazioni, ecc., vengono accantonati in vista di nuovi flagelli, in attesa di nuove costruzioni, di altre “opere grandiose”. E le nuove costruzioni sono realizzate con materiali che non solo fanno risparmiare grandemente rispetto ai progetti iniziali di appalto (da cui le grandi speculazioni), ma che per la scarsa qualità degli stessi materiali impiegati, in barba ad ogni controllo tecnico statale, offrono ancora meno resistenza nei confronti dei futuri eventi naturali. E’ il tipico meccanismo capitalistico che spiega ciò che emerge puntualmente dopo ogni calamità: l’apparente assurdità di fondi da stanziare e non stanziati, stanziati e non spesi, di lavori da fare e non fatti, di lavori fatti ma fatti male, di amministrazioni locali incapaci o corrotte, di tecnici ”superficiali” o ignoranti, ecc. – come veniamo immancabilmente a “sapere”, di volta in volta, dalle cronache dei media (3).

Come in un macabro rituale, la storia si ripete così, anno dopo anno, di fronte a ogni tipo di calamità. Ogni volta, la denuncia degli stessi mali, la ricerca dei soliti colpevoli, degli inadempienti, degli incapaci o “leggeri”. Poi, però, “passata la tempesta”, chissà perché, tutto ritorna come prima, nella “quiete” dell’“ordine” capitalistico abituale. Questo meccanismo capitalistico spiega anche l’incapacità, l’impotenza della tecnica e della scienza, nonostante i loro “passi avanti In generale”, ad affrontare questi problemi. Esse, che per gli ingenui o i ciarlatani andrebbero sempre incontro agli interessi e ai bisogni di tutti, come se fossero entità autonome soprastoriche, sono inesorabilmente piegate, invece, alle esigenze del profitto, della tanto strombazzata produttività, del progresso, ecc. Nella società borghese, sono da un lato oggetto di “esaltazione” (per i cultori borghesi e piccolo-borghesi), e, dall’altro (da parte delle vittime delle calamità), motivo di impotenza, di distacco, di rabbia o indifferenza, rispetto al soddisfacimento di elementari bisogni umani: vanto di grandi progressi in campo militare, spaziale, elettronico, informatico, dove i profitti sono più sicuri; stagnazione, rinculo, disimpegno, a seconda dei casi, laddove invece i profitti stentano o vanno accortamente “conquistati” (4).

Non sono in sé diabolici, incapaci, corrotti, leggeri, ignoranti, i governanti, gli amministratori locali, i tecnici, gli scienziati. E’ assurdo e diabolico il meccanismo, l’ingranaggio capitalistico, che trova facilmente nelle sedi governative centrali come in quelle locali, amministrative o tecniche, i personaggi da sempre preposti e “deputati” al suo funzionamento, alla sua difesa. Solo con la dittatura proletaria, con l’avvio di una società non più legata al profitto, alla merce, al denaro, alla concorrenza aziendale, e una volta abbattuti tali apparati di potere e amministrazione, si potrà riuscire a spezzare l’infernale meccanismo. E solo da qui, a partire da una società che abbia superato le divisione in classi pianificando centralmente la produzione e la distribuzione, potrà avviarsi anche un rapporto con la natura al cui centro sarà certamente la razionale difesa della specie nei suoi confronti. Solo nel socialismo, in una società economicamente e razionalmente organizzata per la soddisfazione dei bisogni umani, scienza e tecnologia avranno un valore e significato universalmente positivo. Ma proprio per questo, nello stesso tempo, sarà avviata anche la migliore difesa e preservazione della natura, come di tutta la dotazione tecnica ereditata dal capitalismo, prodotta del lavoro di innumerevoli generazioni di proletari. Natura e dotazione tecnica che invece il regime del Capitale non solo riesce sempre meno a preservare, controllare, utilizzare razionalmente, ma che continuamente deturpa, avvelena, altera, inquina, quando non distrugge e annienta, come nelle guerre imperialiste, vere boccate d’ossigeno per nuovi cicli di accumulazione ad  alti profitti.

 

(1) “Piena e rotta della civiltà borghese”, Battaglia Comunista, n.23/1951. Questo articolo, come pure quelli citati successivamente, sono disponibili sul nostro sito www.partitocomunistainternazionale.org.

(2) “Noi definiamo il capitalismo non come titolarità sui cumuli di lavoro passato cristallizzato, ma come diritto di sottrazione dal lavoro vivo e attivo. Ecco perche l’economia presente non può condurre ad una buona soluzione che realizzi, col minimo di sforzo del lavoro attuale, la razionale conservazione di quanto ci ha trasmesso il lavoro passato, e le basi migliori per l’effetto del lavoro futuro. Alla economia borghese interessa la frenesia del ritmo del lavoro contemporaneo, ed essa favorisce la distruzione di masse tutt’ora utili di lavoro passato, fregandosene dei posteri” (“Omicidio dei morti”, Battaglia Comunista, n.24/1951).

(3) “[…] è giusto dire che si è speso meno di 1/3 di quanto si sapeva necessario e per 2/3 si son fatte ‘quelle economie che hanno indotto il Consiglio Superiore ad usare i termini di colpevole leggerezza e di miopia politica ed economica’ [citazione da ‘L’Unità’ dell’epoca - NdR]. Di qui secondo ‘l’Unità’ la colpa criminale di non avere voluto spendere denari del tutto disponibili in cassa provocando la catastrofe del novembre 1966 e facendo lo Stato la falsa economia di 1130 meno 289 uguale 841 miliardi, sulla pelle dei cittadini” (“Questa friabile penisola si disintegrerà sotto l’alluvione di ‘leggi speciali’ vane, equivoche e sterili, se non salta prima la macchina rugginosa dello Stato capitalista ed elettorale”, Il programma comunista, n.22/1966. Nell’articolo si fa riferimento alle disastrose inondazioni che, in quell’anno, colpirono Firenze e vaste regioni dell’Italia settentrionale).

(4) “Una serie di esempi, isolati e incompleti, sono bastati a provare che cosa è oggi la scienza applicata alla tecnica: venale, elastica, capace di tutte le risposte e di tutti i mutamenti di bandiera. Se il confessore rispondeva diversamente al povero bifolco che aveva sottratto un pane, o al signore che avesse violentato e ucciso, dimostrando che la morale religiosa si lasciava trarre elasticamente da tutte le parti, non dobbiamo pensare minimamente che il sistema contemporaneo, nato dal trionfo della ragione e della esperienza, abbia nel nuovo sacerdote, che chiamiamo specialista, esperto, tecnico o scienziato, creato un arnese migliore. Gli àuguri antichi sorridevano quando si incontravano per la strada. I moderni hanno una opposta consegna, che per loro è questione di pagnotta: sanno reciprocamente quanto sono bestie e bugiardi, ma ostentano di prendersi sul serio tra di loro. L’età capitalistica è più carica di superstizioni di tutte quelle che l’hanno preceduta. La storia rivoluzionaria non la definirà età del razionale, ma età della magagna. Di tutti gli idoli che ha conosciuto l’uomo, sarà quello del progresso moderno della tecnica che cadrà dagli altari col più tremendo fragore” (“Politica e ‘costruzione’”, Prometeo, Serie II, n.3-4/1952).

Il programma comunista, n.1,gennaio-febbraio 2015

We use cookies

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.