DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

[…] Chi scrive prese la parola sul rapporto del compagno Zinoviev ponendo in rilievo il dubbio imperante sulla natura della tattica del governo operaio.

All’Esecutivo Allargato del giugno ‘22, come ho tante volte ricordato, esso venne definito come un sinonimo della dittatura proletaria e della mobilitazione rivoluzionaria delle masse. Stando così le cose, noi non avremmo avuto ragione di opporci: ma io mi domandavo se fosse completamente esclusa l’interpretazione più “destra” di una diversa via di passaggio tra il potere borghese e la dittatura proletaria, di una manovra politica effettiva sul terreno parlamentare.

Devo riportare quanto testualmente dissi per la Germania: resoconto stenografico ufficiale, N. 4 del Bollettino, pagina 15 dell’edizione francese: “In Germania, per esempio, noi vediamo, alla vigilia di una crisi industriale generale, porsi nel movimento dei Consigli di fabbrica il problema del controllo della produzione. Vi è una certa analogia con la situazione italiana del mese di settembre 1920, che precedette una grande disfatta proletaria. Se un fatto rivoluzionario somigliante si produrrà, il Partito comunista tedesco deve prepararsi a vedere tutte le tendenze opportuniste, senza eccezione, rifiutare anche il più modesto appoggio a questa parola d’ordine del controllo. O il Partito comunista potrà, a partire da questo momento, rappresentare una parte autonoma, oppure sarà possibile che si sviluppi una situazione controrivoluzionaria, che preparerà un governo in cui un fascismo tedesco avrebbe la collaborazione dei traditori della socialdemocrazia”.

Nello stesso tempo io annunziavo che la maggioranza della delegazione italiana avrebbe presentato, contro il progetto Zinoviev, un altro progetto di tesi sulla tattica, sottolineando il dissenso sulla interpretazione del governo operaio e del fronte unico, da accogliersi non come una coalizione coi partiti socialdemocratici, ma come una mobilitazione delle masse per la loro conquista da parte della indipendente azione del P. C.

Si fece immediatamente seguire al mio discorso quello del compagno Graziadei. Dico “si fece”, perché sedici posti lo separavano da me nella lista degli oratori. E Graziadei, sebbene si soffermasse soprattutto sulla questione italiana cui io non mi ero affatto riferito, disse tra l’altro testualmente (luogo citato, pagina 19): “Io non ho mai condivisa l’opinione del compagno Zinoviev che sembrava credere che il governo operaio fosse soprattutto un sinonimo della dittatura proletaria. Io vedo con piacere che questa concezione è stata modificata da lui stesso e dal Comitato esecutivo della III Internazionale”. E più oltre: “Si può considerare la possibilità storica che il governo operaio sia una tappa reale tra il governo borghese, o anche socialdemocratico, e la dittatura del proletariato. In questo caso, può anche benissimo accadere che il governo operaio abbia anche una forma parlamentare”. Tali dichiarazioni, fatte come risposta ufficiale alle mie eresie, avevano indubbiamente il pregio della chiarezza.

La chiarezza mancò per altro completamente nella successiva discussione, nella quale Radek sosteneva esplicitamente la formulazione Graziadei, mentre tendevano ad attenuarla Zinoviev e Bucharin.

Se quel dissenso fosse stato allora, come si dovrebbe fare in una aperta assise di buoni rivoluzionari, risolutamente sventrato, fino a dare ai lavoratori e ai partiti comunisti e al centro direttivo della Internazionale una linea sicura, non si sarebbe posta poi così torbidamente la questione di assodare la responsabilità di quanto è avvenuto in seguito in Germania, e, aggiungo, se il lavoro di direzione della Internazionale non fosse stato inficiato da questi metodi erronei, gli avvenimenti stessi avrebbero potuto avere piega diversa e meno sfavorevole. Infatti, il problema che eclissò quello vitale della chiarificazione, divenne un problema interno: avere nel voto la solita unanimità a mezzo della formula che contentasse tutti senza nulla precisare.

Noi soli restammo fuori da tale unanimità, e fummo presi di mira con una serie di discorsi solitamente severi e violenti. Ad un certo punto quando io rilevavo il dissidio Radek-Zinoviev, fui interrotto con la notizia – non certo risultante dagli atti del Congresso che provavano l’opposto – che essi si erano messi d’accordo. Ed in realtà collaborarono alla compilazione della tesi. In essa anzi prevalse l’ingrediente chimico della soluzione Radek su quello della soluzione Zinoviev, seguitando tuttavia questo a sostenere, contro il nostro infantilismo corto di vista, che egli non aveva mai mutato parere su tale punto, chiarissimo dal punto di vista della tattica o supertattica che oggi si direbbe leninista o bolscevica.

Ecco infatti come si esprimono le tesi (Bollettino N. 32, pag. 15): “Un governo operaio risultante da una combinazione parlamentare, per conseguenza di origine puramente parlamentare, può anche (sottolineato nel testo) fornire l’occasione di rianimare il movimento operaio rivoluzionario”. Poi si afferma, è vero, che “ciò condurrà alla lotta più accanita ed eventualmente (sic!) alla guerra civile contro la borghesia”. E più oltre: “In certe circostanze, i comunisti devono dichiararsi disposti a formare un governo con partiti e organizzazioni operaie non comuniste”. Poi queste norme così scabrose e poco salde d’azione cedono luogo, secondo un’abitudine, non voglio dire un espediente, del compagno Zinoviev, ad una dissertazione narrativa e descrittiva sui cinque tipi possibili di governo operaio... Il capitolo precedente sul fronte unico è certamente più “sinistro”, solo perché non fu l’oggetto di tutto il lavorio preparatorio nella commissione e sottocommissione, e restò più simile alla prima redazione del relatore. Ma il curioso è che, mentre in tal capitolo è escluso che il fronte unico possa essere una combinazione parlamentare, in quello sul governo operaio, di cui ho dato i passi essenziali, ritorna l’affermazione graziadeiana: il governo operaio è una conseguenza inevitabile di tutta la tattica del fronte unico.

Tutta questa cucina sta in così evidente contrasto colla necessità di stabilire una guida all’azione difficilissima del movimento comunista mondiale, che si potrebbe scusarla solo dal punto di vista di chi pensi che le risoluzioni dei congressi non servono a nulla; ma allora sarebbe legittima l’obiezione che di congressi meglio è non tenerne e non si ha ragione di gridare tanto contro chi non consente in tutti i loro deliberati.

 

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