DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

In occasione del 90° anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, abbiamo assistito al lancio di un’autentica, isterica campagna di anti-comunismo rozzo e volgare. Politici, opinionisti, giornalisti, mass-mediologi, filosofi (?), commentatori, storici (!), e varie altre frattaglie della bassa cucina ideologica di questa società borghese ormai da tempo in agonia si sono mobilitati per dire la loro sul comunismo, sull’Ottobre, su Marx e Lenin, e il tutto si è ridotto praticamente a questo: “I comunisti hanno mangiato (e continueranno a mangiare) i bambini”. Questo ormai il livello della cosiddetta “intellighenzia”!

La cosa non ci stupisce: fanno il loro lavoro, profumatamente pagati. Ma questa campagna è comunque interessante. Sono ormai vent’anni che (dicono) “il comunismo è morto”: eppure costoro si sentono ancora in dovere di sputar fiele, e così prendono al volo l’occasione per mostrare ancora una volta, oltre al proprio disgustoso servilismo, la propria ottusa e voluta ignoranza! E’ interessante, questa campagna (che certo non si limita all’anniversario di Ottobre, ma permea e sempre più permeerà l’intera ideologia dominante, in Italia come altrove), perché dimostra che il trionfalismo borghese poggia su piedi d’argilla: che cioè la società dei profitti e del capitale sa benissimo di che morte sta morendo e chi saranno i suoi becchini. Ci dice, questa campagna, che la classe al potere non dorme sonni tranquilli, perché lo spettro del comunismo continua ad aggirarsi, non più nella sola Europa, ma nel mondo intero. E che la crisi profonda in cui l’economia capitalistica si dibatte e che si approfondisce in maniera drammatica a ogni nuovo scossone dichiara nei fatti che questo modo di produzione è giunto da tempo al capolinea e la sua agonia rende ogni cosa (dalla sfera dell’alta finanza a quella dei più quotidiani rapporti interpersonali) più tragica, disperata, distruttiva e autodistruttiva. E che dunque la necessità di passare a un nuovo, più alto e finalmente umano, modo di produzione è urgente, non più rinviabile – pena altre immani sofferenze.

Leggiamo nel Manifesto del Partito Comunista (1848): “I rapporti borghesi di produzione e di scambio, i rapporti borghesi di proprietà, la società borghese moderna che ha creato per incanto mezzi di produzione e di scambio così potenti, rassomiglia al mago che non riesce più a dominare le potenze degli inferi da lui evocate. Sono decenni ormai che la storia dell’industria e del commercio è soltanto storia della rivolta delle forze produttive moderne contro i rapporti moderni della produzione, cioè contro i rapporti di proprietà che costituiscono le condizioni di esistenza della borghesia e del suo dominio. Basti ricordare le crisi commerciali che con il loro periodico ritorno mettono in forse sempre più minacciosamente l’esistenza di tutta la società borghese.

“Nelle crisi commerciali viene regolarmente distrutta non solo una parte dei prodotti ottenuti, ma addirittura gran parte delle forze produttive già create. Nelle crisi scoppia una epidemia sociale che in tutte le epoche precedenti sarebbe apparsa un assurdo: l’epidemia della sovrapproduzione. La società si trova all’improvviso ricondotta a uno stato di momentanea barbarie; sembra che una carestia, una guerra generale di sterminio le abbiano tagliato tutti i mezzi di sussistenza; l'industria, il commercio sembrano distrutti. E perché? Perché la società possiede troppa civiltà, troppi mezzi di sussistenza, troppa industria, troppo commercio. Le forze produttive che sono a sua disposizione non servono più a promuovere la civiltà borghese e i rapporti borghesi di proprietà; anzi, sono divenute troppo potenti per quei rapporti e ne vengono ostacolate, e appena superano questo ostacolo mettono in disordine tutta la società borghese, mettono in pericolo l’esistenza della proprietà borghese. I rapporti borghesi sono divenuti troppo angusti per poter contenere la ricchezza da essi stessi prodotta.

“Con quale mezzo la borghesia supera le crisi? Da un lato, con la distruzione coatta di una massa di forze produttive; dall’altro, con la conquista di nuovi mercati e con lo sfruttamento più intenso dei vecchi. Dunque, con quali mezzi? Mediante la preparazione di crisi più generali e più violente e la diminuzione dei mezzi per prevenire le crisi stesse” (Cap.I: “Borghesi e proletari”).

Scritto nel 1848, sembra scritto oggi.

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Ma, si sa, i nostri bravi crociati dell’anticomunismo hanno una freccia particolare al loro arco: “Bella roba! Basti vedere quel che è successo in Unione Sovietica!”. Com’è spuntata quest’unica freccia al loro arco! Costoro sono davvero gli ultimi ex-ex-stalinisti (spesso, non a caso, figliati dalla Grande Mamma PCI “di Gramsci, Togliatti, Longo, Berlinguer”, e poi, dopo averne condiviso tutte le responsabilità storiche, affittatisi ad altri migliori offerenti) e continuano imperterriti nell’idiota equazione “URSS=comunismo”: proprio questo li accomuna a tutti gli stalinisti passati e presenti, irriducibili o pentiti. La nostra corrente, fin dalla metà degli anni ’20 del ‘900, ha sempre denunciato questo equivoco, dimostrando, in teoria e nei fatti, che, dopo quel tragico 1926 in cui venne elaborata la teoria bastarda della “costruzione del socialismo in paese solo”, la storia dell’URSS (di Stalin come di Krusciov, di Andropov come di Gorbaciov, degli anni ’30 come di quelli mefitici del secondo dopoguerra) è stata tutta interna alla storia del capitalismo nella sua fase imperialista – quindi del capitalismo giunto ormai da tempo al capolinea. Lo stalinismo non fu il frutto della diabolica volontà di un uomo solo. Esso fu l’espressione del sopravvento (nello stesso partito bolscevico alla guida di un paese isolato, circondato e lasciato solo dalla mancata rivoluzione in Occidente, e in un’Internazionale Comunista che abdicò via via al proprio ruolo di avanguardia mondiale del proletariato) delle forze materiali capitalistiche che non potevano non essere introdotte in una Russia così arretrata, in quanto non solo basi necessarie del passaggio al socialismo, quando (e solo quando) il movimento comunista avesse preso il potere nell’Occidente avanzato, ma anche perché solo mezzo per uscire dalla miseria di un paese in cui il 90% della popolazione viveva di un’agricoltura senza tecnologia. In mancanza di ciò, ai comunisti di allora (che non s’erano mai baloccati con nessuna tragica illusione di poter “costruire il socialismo in un solo paese”) era chiaro che o si sapeva resistere venti o trent’anni tenendo saldamente in pugno la dittatura del proletariato in attesa della prossima crisi rivoluzionaria (e promuovendola attivamente) o la rivoluzione politicamente socialista avrebbe corso il rischio di accartocciarsi su se stessa, di subire lo strapotere delle forze economiche capitaliste interne all’URSS, e quindi di degenerare, trasformandosi nel suo opposto. E’ quanto infine avvenne (nonostante la battaglia contraddittoria ma eroica della vecchia guardia bolscevica): si manifestò come un’aperta controrivoluzione, e fu responsabile, accanto a quella democratica e a quella fascista, dell’aver tagliato le gambe per tanti decenni a seguire al movimento comunista internazionale.

Ecco perché costoro, questa squallida congrega di cani ringhiosi che s’avventano contro il concetto stesso, la stessa forza materiale del comunismo, avendone una paura tremenda, sono gli ultimi ex-ex-stalinisti, ancora più spregevoli dei loro antenati.

Tempo fa, in questo balletto di zombies,  qualche buontempone ha proposto di istituire il reato di “apologia del comunismo”. In una forma o nell’altra, a qualcosa di simile arriveranno, e anche a qualcosa di peggio, perché è del futuro che s’avvicina che essi hanno terrore – mostrando nei fatti la ferocia di una classe dominante condannata dalla storia. Bene, noi non ci facciamo spaventare e proclamiamo a voce alta la nostra pratica secolare di combattenti per il comunismo. Mai come adesso ce n’è bisogno, perché questo modo di produzione è ormai solo capace di preparare “crisi più generali e più violente”, sempre più distruttive, sempre più sanguinose. Tutti gli altri, gli anti-comunisti di ogni specie, ruolo, natura e origine, autoritari o libertari, di destra o di “sinistra”, li butteremo nella spazzatura della storia: è quello il loro unico posto.

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°06 - 2007)

 

 

 

 

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