DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Il relatore è entrato immediatamente nel vivo esponendo la tattica seguita dal proletariato nelle lotte di classe in Europa, dalla Rivoluzione francese alla Comune di Parigi, per proseguire poi fino ai nostri giorni. Ha ricordato come, nel corso della lotta della borghesia rivoluzionaria contro il vecchio regime feudale, il proletariato sostenga la borghesia, di cui in questa fase storica è alleato naturale: ma ciò solo fino alla soglia della presa del potere, momento in cui si dispone a rovesciarla – è la tattica della “doppia rivoluzione” o “rivoluzione in permanenza”, codificata dal Manifesto del partito comunista (1848) e dall’“Indirizzo del Comitato Centrale della Lega dei Comunisti” (1850) e poi da Lenin in “Due tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica” (1905). Quello della prima metà del secolo XIX è infatti un percorso storico straordinario: il proletariato, pur non possedendo ancora (siamo prima del 1848) una teoria e un programma d’azione, nella fase dell’immediata transizione rivoluzionaria in Francia riesce a “comprendere” non solo la necessità e l’importanza per i suoi obiettivi di questa trasformazione, ma anche la necessità di non lasciare il campo all’indiscussa direzione della borghesia, che gli  è nemica. Così, il proletariato di Parigi intuisce che, per affrontare la classe feudale al tramonto e la borghesia in ascesa, deve dotarsi di un’organizzazione indipendente. Il movimento di Babeuf, antesignano della “rivoluzione in permanenza”, paga col sangue il proprio tentativo rivoluzionario: i tentativi di una minoranza armata sono destinati alla sconfitta, non esistendo ancora le condizioni sociali per rovesciare la borghesia: ma grande è la lezione per il futuro. I momenti successivi della lotta di classe – ha continuato la relazione – permettono comunque al proletariato di prendere sempre più consapevolezza della propria condizione storica: ma bisogna arrivare al 1848, perché appaia il Manifesto del partito comunista, il programma dei comunisti, nel momento in cui si apre il vasto movimento delle rivoluzioni borghesi in Europa. La tattica è quella che il corso storico ha anticipato in Francia. Se in Francia e in Inghilterra il proletariato deve procedere per la sua strada indipendente in una lotta diretta contro la borghesia, per le altre nazioni borghesi in stato di formazione si tratta di spingere le rivoluzioni borghesi contro i vecchi regimi feudali in avanti, sulla via della “rivoluzione in permanenza”, fino al rovesciamento della borghesia stessa, dando spazio all’alleanza con la borghesia rivoluzionaria solo nella prima fase della lotta. L’esistenza di un programma, di una finalità, mette stavolta all’ordine del giorno la condizione della lotta indipendente e organizzata del proletariato. La borghesia tentenna per paura non solo delle vecchie classi sociali, ma anche del proletariato. Votata storicamente al compromesso, la rivoluzione borghese viene stroncata dall’alleanza tra forze feudali e forze borghesi dominanti. Sulla base dell’esperienza, acquisita nasce nel 1864 la Prima Internazionale: e il problema nazionale e la tattica proletaria sono ancora al primo posto.

A questo punto, la relazione ha mostrato come, sul finire degli anni sessanta dell’800, la borghesia irlandese cerchi la via rivoluzionaria contro un regime, non feudale, ma ormai pienamente capitalista – quello inglese. Marx ha gli occhi puntati sul proletariato inglese: la rivoluzione proletaria in Inghilterra farebbe cessare anche l’oppressione del proletariato irlandese e porterebbe  all’unità reale i proletari dei due paesi. Di fronte a un proletariato inglese senza spina dorsale, indifferente nei confronti della sorte del proletariato irlandese, e a una borghesia irlandese in pieno fervore rivoluzionario, Marx giunge quindi alla conclusione che la rivoluzione borghese in Irlanda possa scuotere il proletariato inglese, facendo mancare l’alleanza tra proprietà fondiaria irlandese e borghesia imperialista inglese e innescando per ciò stesso la rivoluzione proletaria. Di nuovo è la “rivoluzione in permanenza”: si approfitta di un processo rivoluzionario borghese in corso, per trascinare nella guerra rivoluzionaria sia il proletariato irlandese sia quello inglese. Le cose andranno diversamente, e la borghesia irlandese dovrà aspettare fino al 1916 per raggiungere il suo scopo, in uno scenario mondiale ormai radicalmente mutato e con effetti negativi sullo stesso proletariato, irlandese e inglese.

La guerra franco-prussiana del 1870-‘71 spinge il proletariato in armi ancora più in là: non solo alla lotta indipendente, ma anche alla formazione di un embrione del  partito di classe e alla direzione della Comune. Il proletariato si costituisce per la prima volta in classe dominante. Per pochi mesi, perché il potere proletario verrà schiacciato con ferocia dalla borghesia francese alleata alla borghesia tedesca, costituitasi quell’anno stesso in nazione unitaria. Ma l’evento della Comune è un risultato storico straordinario.

Nella seconda metà dell’Ottocento, con lo sviluppo dell’economia capitalistica, la borghesia acquista forza e sicurezza. La crescita numerica  del proletariato e lo sviluppo delle sue organizzazioni operaie e sindacali, espresse nella Seconda Internazionale, che accompagnano lo sviluppo capitalistico, non aggiungono nulla alla tattica e alla strategia proletaria fin qui delineate. Nel 1905, il movimento proletario russo inizia il suo percorso rivoluzionario: è l’inizio di una nuova fase rivoluzionaria per tutto il proletariato dell’est europeo, ma anche dell’Asia e dell’Africa, le cui borghesie nascenti vivono sotto il giogo di classi feudali e della borghesia coloniale. Il primo conflitto mondiale, prodotto dallo sviluppo del capitalismo, spinge il proletariato europeo occidentale verso lo scontro diretto con la propria borghesia: ma esso viene sconfitto dall’alleanza tra borghesia e riformismo socialdemocratico, la cui fusione programmatica nel dopoguerra condurrà al fascismo e al nazismo. Nello stesso tempo, in Russia, nel 1917, la tattica della “rivoluzione in permanenza” porta il proletariato rivoluzionario, guidato dal partito bolscevico, al potere e alla nascita dell'Internazionale Comunista: è la verifica storica alla sua massima espressione. La sconfitta del proletariato nei centri del capitalismo europeo nel 1919-23 e il nazionalismo contadino e piccolo-borghese risorgente in Russia a partire dal 1924 porteranno tuttavia alla sconfitta storica del proletariato. Nel 1926, si chiude la fase, iniziata nel 1905, più feconda di lotte e di insegnamenti per il proletariato rivoluzionario. Le giovani borghesie dell'est europeo e quelle asiatiche cominciano a loro volta il loro percorso rivoluzionario. La tattica proletaria della “doppia rivoluzione” non cambia:  il partito del proletariato, la sua organizzazione indipendente, devono ancora approfittare del momento di transizione della lotta contro i vecchi regimi feudali, passando dall’alleanza contingente al rovesciamento della borghesia rivoluzionaria, come in Russia. Lo stalinismo, variante del nazionalismo borghese, così come farà in Europa, invece imporrà al proletariato cinese di allearsi con la borghesia: anzi, di aderire al suo partito, il Kuomintang. E’ il 1927: dopo la sanguinosa repressione delle comuni di Shanghai e Canton, il proletariato cinese è battuto.

La sconfitta tattica e strategica – ha continuato il relatore – si riverbererà su tutti gli avvenimenti della lotta di classe del secondo conflitto mondiale e del dopoguerra: nel corso di questi eventi, la Russia si trasformerà in potenza imperialista. Nel secondo dopoguerra, il risveglio dei popoli di colore in Africa e in Asia, ovvero delle borghesie rivoluzionarie contro le vecchie forme sociali e l'imperialismo, potrebbe di nuovo offrire un possibile innesco tra la dinamica rivoluzionaria borghese nelle aree periferiche e la lotta di classe proletaria nei centri dell'imperialismo. Pur non esistendo le condizioni soggettive, il piccolo nucleo del nostro partito rimasto in piedi non tralasciò questo compito, questa consegna e prospettiva. La tattica di strappare il potere alla borghesia rivoluzionaria, che “vince” per il concorso di condizioni storiche  favorevoli sulle grandi potenze, è ancora quella di un tempo, è la tattica della “rivoluzione in permanenza” di Marx-Engels e di Lenin. Il partito non s’illuse però che questo percorso, dopo la sconfitta storica subita dal proletariato, potesse sortire effetti positivi: al tempo stesso, tuttavia, non si mostrò indifferente di fronte a un possibile rovesciamento delle condizioni controrivoluzionarie mondiali e soprattutto non dimenticò mai il proprio compito di incitare il proletariato delle metropoli imperialiste a battersi per fiaccare la borghesia sul suo territorio, favorendo un risultato che sarebbe stato straordinario.

Alla fine degli anni ’70 – ha concluso la relazione – , con la fine del processo rivoluzionario borghese nei paesi ex-coloniali, la tattica della “doppia rivoluzione” perde la propria efficacia storica; le borghesie, o dal basso o dall’alto, hanno già condotto a termine le proprie rivoluzioni e il capitalismo è in piena fioritura in queste aree geo-storiche: il proletariato è messo in catene; le piccole nazioni, le enclaves nazionali, i popoli senza storia, che mai assursero ad una vera lotta nazionale, sono rimasti tagliati fuori dal gigantesco movimento storico svoltosi in due secoli, intrappolate nelle maglie pesanti delle grandi strutture nazionali, tutte imperialiste. Le piccole e medie nazioni, dipendenti politicamente ed economicamente, si dispongono a essere in vendita per nuove e vecchie alleanze contro il proletariato. Immaginare quindi possibili inneschi rivoluzionari da lotte della piccola borghesia, rimasta incastrata nei territori di nazioni strategicamente ed economicamente ben impiantate, significa illudere il proletariato di un revival di doppie rivoluzioni che non saranno mai più possibili, perché la borghesia (meno che mai la piccola borghesia!) non potrà avere la forza storica che ebbe un tempo. Dare oggi l’indicazione al proletariato di assecondare le separazioni nazionali significa avallare la separazione nel cuore stesso del proletariato, riconoscere alla borghesia reazionaria ancora il diritto di marchiare il corpo del proletariato con un'identità nazionale. Non può esserci oggi parola d'ordine che non sia quella del disfattismo rivoluzionario del proletariato di tutte le nazioni contro la borghesia. Non resta al proletariato di tutto il mondo, di tutte le nazioni, di tutte le pseudo-nazioni, che unire le proprie forze per abbattere il mostro del capitale in una lotta diretta: battersi cioè per divenire classe dominante instaurando la propria dittatura di classe, com’era già scritto nella strategia del Manifesto del partito comunista, sotto la direzione dell'unico Partito comunista mondiale.

Il lungo rapporto, integrato da opportune citazioni e riferimenti a scritti di Marx, Engels, Lenin e della Sinistra comunista, ha dunque definitivamente chiarito una questione che più volte in passato, nel campo del marxismo rivoluzionario, aveva ingenerato equivoci e alimentato dubbi e incertezze.

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°04 - 2010)

 

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