DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

 

Giovedì 2 luglio 2009, il Senato della Repubblica Sociale Italiana... pardon, della Repubblica Italiana Fondata sul Lavoro, approva, con il più generale “Decreto sulla sicurezza”, l’invenzione di un nuovo reato: l’immigrazione clandestina.

Non basta: oltre a rendere sempre più difficile il rilascio del permesso di soggiorno, lo si rende più costoso, facendolo pagare ben 200 euro. Senza quel permesso, sarà impossibile accedere ai servizi pubblici, dove tutti gli impiegati statali che in quei servizi (scuole! ospedali! ) rivestono l’ambito ruolo di pubblico ufficiale avranno l’obbligo di denunciare tutti coloro che ne sono sprovvisti (bambini e ragazzini compresi: le condizioni sociali dei padri ricadono sui figli, in questa società nata dalla sacra trinità di liberté, egalité, fraternité, che vorrebbe proclamare l’opposto!).

Naturalmente, accanto alla “intelligentissima” espulsione, si sanziona la clandestinità con la permanenza fino a sei mesi nei Campi di Concentramento... ops!, altro lapsus, nei Centri di Detenzione e Identificazione Temporanea (o qualcosa di simile). E poi, raus!

Da quel 2 luglio a tutto agosto, da Gorizia a Milano, Torino e Lamezia Terme, nell’indifferenza generale e nel silenzio di tutti i sinceri democratici, in quelle “stazioni di transito” si sono avute le prime rivolte, dapprima autolesioniste (suicidi, scioperi della fame) e poi “violente”... Ma, rinchiusi e circondati come sono, che cosa possono fare quei poveri disperati, se non far più danni possibile prima di essere picchiati come tamburi?

Leggi, normative... riflessi condizionati di tutti gli stati borghesi, attraverso cui s’esprime l’ideologia che vuole confinare in un comportamento individuale (e quindi perseguibile col pugno di ferro) un fenomeno sociale – la “migrazione” – , che in questa specifica forma ha sempre caratterizzato lo sviluppo del capitalismo (liberale nella sua ottocentesca infanzia e imperialista dalla sua gioventù alla sua decrepita vecchiaia contemporanea).

Bene sintetizza il Manifesto del partito comunista, quando ci ricorda che la borghesia “costringe tutte le nazioni ad adottare le forme della produzione borghese se non vogliono perire; le costringe a introdurre nei loro paesi la cosiddetta civiltà, cioè a farsi borghesi. In una parola, essa si crea un mondo a propria immagine e somiglianza...”.

Il che significa che la logica dominante della penetrazione del Capitale nelle “periferie” del mondo si è tradotta non solo nella rapina imperialista di risorse con effetti devastanti sugli equilibri (umani e naturali) di quei territori, ma anche nell’introduzione dei rapporti sociali che trasformano la maggioranza degli abitanti in “senza riserve”, in “senza risorse” – insomma, in proletari venditori di forza lavoro. E questa dove può essere impiegata, o dove si illude di poter essere impiegata, andando a rinfoltire l’enorme massa di disoccupati che come una minaccia grava sull’insieme generale dell’intera classe proletaria? E’ stato questo terremoto a scatenare l’irrefrenabile tsunami umano che da Africa, Asia, America Latina, riversa milioni di ex contadini, sottoproletari, disperati, tutti proletarizzati, sulle metropoli imperialiste. Per avere un’idea di questo spostamento, passiamo ai numeri che da soli ci possono dare un quadro esauriente della situazione.

Ogni anno, circa 50.000 emigrati dal Niger, dal Ghana e dalla Nigeria partono alla volta di Algeria e Libia e poi verso l’Europa e circa 100.000 persone attraversano lo stretto di Gibilterra. Stando al rapporto dell’agenzia dell’Onu, circa 30mila immigrati sono arrivati sulle coste italiane dall’inizio del 2008 – un netto aumento rispetto ai 19.000 del 2007. E’ salito anche il numero di chi non c’è l’ha fatta, con 509 morti o dispersi nei primi dieci mesi del 2008, mentre cercavano di raggiungere l’Italia o Malta, contro i 471 per tutto il 2007. Come l’Italia nei primi nove mesi del 2008, anche Malta ha registrato un aumento degli arrivi, con 2.600 immigrati giunti via mare dal nord dell’Africa (1.800 per l’insieme del 2007).

La stessa tendenza è stata registrata in Grecia: 15mila persone nei primi sette mesi del 2008 (19mila per i 12 mesi del 2007). La Spagna e le isole Canarie hanno registrato 10.700 arrivi nei primi sette mesi del 2008 con un aumento, nello stesso periodo, di 9.100 persone nel 2007.

Oltre 600 persone hanno perso la vita dall’inizio del 2008 nelle acque del Golfo di Aden nel vano tentativo di raggiungere le coste yemenite dal Corno dell’Africa. Un portavoce dell’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati riferisce che oltre 18mila africani hanno affrontato tale viaggio contro i 29.500 del 2007 (dati tutti tratti da L’Unità, 5 novembre 2008).

L’anno 2009 si è aperto con una svolta imposta dal Ministro dell’Interno Roberto Maroni che, poco prima delle elezioni, ha dato il via libera ai respingimenti dei barconi carichi d’immigrati. L’iniziativa ha dato i suoi frutti. Nel 2008, di barche ne arrivavano anche dieci al giorno e, se le condizioni meteo erano favorevoli, i mercanti di esseri umani riuscivano a trasbordare dalla Libia a Lampedusa anche 1000 dispersi nell’arco delle 24 ore, per 1200-1500 dollari a testa.

A dimostrazione che nulla è cambiato, la situazione è la stessa che Friedrich Engels descriveva nel 1845 in La situazione della classe operaia in Inghilterra:

“L’Irlandese che a casa sua non aveva nulla da perdere, aveva molto da guadagnare in Inghilterra e, dal momento in cui in Irlanda si diffuse la notizia che ad oriente del canale di San Giorgio chi era provvisto di braccia robuste aveva la possibilità di trovare lavoro sicuro e un buon salario, cominciarono ad affluire ogni anno schiere d’irlandesi. Si calcola che a questo modo sia immigrato fino ad ora più di un milione di persone, e che oggi continuino ad affluire cinquantamila circa, che si riversano quasi tutte nelle zone industriali [...]. Questi operai irlandesi vengono trasportati in Inghilterra per quattro pence, sulla coperta del battello dove stavano ammassati come bestie...”. E sì, il profitto non ha etica né nazionalità, solo diversità di “valuta”!

Ma torniamo a noi. I respingimenti degli immigrati clandestini hanno avuto come risultato che dal 1 gennaio al 24 giugno 2009 il numero degli stranieri sbarcati sulle coste italiane si è ridotto al minimo. A fine giugno 2009, le presenze nei Centri d’Identificazione e Espulsione non superano quota 1207. Il dato più eloquente è quello di Lampedusa: zero presenze d’immigrati clandestini sull’isola.

E allora le migliaia d’immigrati africani che nonostante tutto continuano ad affluire in Libia dalle regioni subsahariane che cosa faranno? Dove andranno?

La risposta potrebbe essere la nuova via Algeria-Capo Teulada (Sardegna): un tratto di mare lungo tra i 200 e i 280 km. contro gli oltre 300 che separano la Libia da Lampedusa (il percorso è stato inaugurato nel 2006 da alcuni ragazzi algerini). E poi l’Algeria confina con il Niger e il Mali, paesi di transito... (L’Espresso, 21 maggio 2009).

Questo momento di pausa negli sbarchi d’immigrati, dovuto al pugno di ferro del governo italiano, chissà per quanto tempo potrà durare. Noi non siamo indovini, ma da tranquilli materialisti possiamo affermare che il ministro Maroni e camerati non riescono a vedere al di là del loro naso: non riescono a capire che questa riacutizzazione del problema “immigrazione” nasce da una situazione sociale internazionale che possiamo sintetizzare nei seguenti punti:

 

 

 

  • Nell’aprile 2008, scoppia la rivolta della fame in tutto il mondo. L’Azienda Alimentare Onu, sempre in aprile, lancia un allarme: servono 1,7 miliardi di dollari per la fame nel mondo, un miliardo di persone sono a rischio e 30 paesi sul punto di esplodere. Dopo la progressiva riduzione delle scorte (al minimo storico da 25 anni), con l’aumento del prezzo dei cereali cresciuto del 56% scoppiano i disordini ad Haiti e in Egitto. In Pakistan e in Thailandia, si è dovuto ricorrere all’esercito per evitare assalti ai magazzini. In Africa, abbiamo scontri con morti in Tunisia, Camerun, Costa d’Avorio, Mauritania, Senegal, Burkina e Mozambico. In Asia, abbiamo le Filippine, il paese più colpito dall’aumento del riso. India, Cina, Vietnam, Egitto, principali paesi produttori, hanno ridotto le esportazioni per combattere l’inflazione alimentare in patria. La Banca Mondiale lancia l’allarme: con l’aumento dei beni alimentari, si rischia di far diventare ancora più poveri oltre 100 milioni di persone che vivono nei paesi a basso reddito e di rialzare dal 3% al 5% il tasso di povertà della popolazione mondiale. Tutto questo accadeva nella primavera del 2008.

  • Nel 1997, a partire dalla crisi “asiatica”, poi estesasi a Russia e America Latina (Brasile e Argentina), il capitale inizia a fuggire dalla periferia perché i cosiddetti paesi emergenti non offrono più condizioni favorevoli ai capitali in ricerca affannosa di valorizzazione: non trovando “terre promesse” dove impiantarsi con profitto, il capitale se ne torna a casa, tra i propri confini nazionali. Ma anche in casa le cose non vanno bene, perché centinaia di immigrati, per colpa della crisi finanziaria del 2008, si troveranno senza lavoro e di conseguenza i già disastrati paesi d’origine si troveranno privi delle “rimesse”. Il Corriere della Sera del 21 novembre 2008 ci comunica che saranno 20.000.000 i nuovi disoccupati e per il 2008 la disoccupazione mondiale arriva ai 210 milioni di persone.

  • Un altro problema da tenere presente è la sovrappopolazione che incide in maniera considerevole sui flussi migratori, i quali si indirizzano sempre più (d’altronde, non hanno alcuna alternativa!) verso le metropoli occidentali. Scrive Marx che chi emigra in realtà non fa che seguire il capitale migrante: per capire meglio tale concetto, prendiamo l’ultimo dossier statistico sull’immigrazione prodotto dalla Caritas (Corriere della Sera, 12 dicembre 2008). Tale studio dice che, nel Veneto, al 31 dicembre 2007, c’era un numero d’immigrati variabile fra i 450 e i 470 mila – uno ogni dieci residenti, secondi solo alla Lombardia (guarda caso, le “regioni più ricche” d’Italia!). Come concentrazione, troviamo le Province più “danarose”: Treviso, Vicenza e Verona. Più staccate, le meno ricche (Padova e Venezia); e in coda le più povere (Rovigo e Belluno). E’ chiaro che la crisi economica del 2008 colpirà anche lo straniero stanziale in Lombardia e Veneto. Il Corriere della Sera del 9 dicembre 2008 informa che, nel Veneto, gli stranieri che lavorano nell’industria sono 66mila, 33mila nelle costruzioni e 63mila nei servizi (circa 8 mila nelle cooperative di pulizia). Con la crisi economica, entro Natale, perderanno il posto circa 35 mila persone, ma i problemi arriveranno dopo i “sei mesi”, entro i quali, se non trovassero un posto di lavoro, scadrebbe il permesso di soggiorno, e per la legge Bossi-Fini diventeranno tutti clandestini (compresi i familiari, se risulteranno dipendenti da chi non ha più lavoro). In Lombardia, le cose non vanno meglio: anche qui si parla di circa 100mila persone.

  • C’è poi un altro aspetto da tener presente. Leggiamo sul Corriere della Sera del 17/7/2009: “Le valigie di cartone non ci sono più ma i numeri sono sempre quelli. Solo nel 2008 sono stati 122.000 gli italiani che si sono trasferiti dal Sud al Nord del paese in cerca di lavoro [...] Un numero in leggera crescita rispetto all’anno 2007, quando erano stati 116.000 […] Negli ultimi anni, considerando partenze e rientri, il Sud ha perso a favore del Nord 700.000 persone […] Se riguardiamo le tabelle e torniamo indietro fino al 1955 superiamo addirittura i 4.000.000 […] E questo considerando solo chi cambia residenza e non i cosiddetti pendolari a lungo raggio: persone che conservano la residenza a Napoli o Palermo ma lavorano al nord o all’estero. E tornano a casa dove magari hanno lasciato la famiglia, un paio di volte al mese. Sempre nel 2008 questi pendolari a lungo raggio sono stati 173.000 E anche loro in crescita rispetto al 2007, di oltre il 15% […] La zona d’Italia a più forte emigrazione è Napoli. Nel 2008 sono stati 10.000 i residenti che hanno lasciato la città per trasferirsi al Nord […] Al secondo posto c’è Palermo con 2.770 trasferimenti all’anno e Bari con 2.000. L’87% delle partenze dal Mezzogiorno si concentra proprio in queste tre regioni: Campagna, Puglia e Sicilia”. Non solo dalle periferie dell’imperialismo dunque ma anche nelle stesse metropoli la forza lavoro corre là dove il Capitale la chiama. Lo sviluppo e la modernizzazione accentuano per di più quegli aspetti grotteschi, come il “pendolarismo a lungo raggio”, che alla alienazione ordinaria della forza lavoro aggiungono gli ulteriori “stress” degli spostamenti, del ricovero precario, ecc… Se poi dovesse realizzarsi il sogno leghista dei salari regionali (in verità, già in corso d’opera, grazie alla “riforma” dei contratti nazionali, che prevedono la liberalizzazione degli “incentivi” di comparto e di azienda), il fenomeno sarà destinato ad aumentare. Che s’inventeranno allora i nostri eroi del razzismo terra terra dell’Italia federale? I centri di permanenza temporanea per gli extraregionali senza il passaporto interno (documento che occorreva nella Russia staliniana e post staliniana)? A quando il divieto per i matrimoni misti?...

 

 

Con queste premesse, è evidente che l’immigrazione (non scelta individuale ma fenomeno sociale prodotto dal capitalismo) diventerà sempre più pesante e non saranno certo proclami o leggi a fermarla.

 

 

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°05 - 2009)

 

INTERNATIONAL COMMUNIST PARTY PRESS
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