DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

La elaborazione contenuta in questo studio, di cui sono già apparsi tre capitoli, è il risultato dal riesame compiuto da gruppi dalla sinistra comunista italiana su tutte le po­sizioni dal movimento sociale e politico. Nella premessa, contenuta nel n. 5 di  Prometeo”, abbiamo tra l'altro indicato che il lavoro è stato in parte svolto mentre ancora durava la guerra contro la Germania sul territorio italiano. 

GUERRE E CRISI OPPORTUNISTICHE

Le prime manifestazioni di una attività di classe del proletariato accompagnano fin dal suo inizio l'avvento del regime borghese. Subito dopo avere offerto al Terzo Stato rivoluzionario tutto il suo appoggio e la sua alleanza, il Quarto Stato, ossia la classe dei lavoratori, tenta di spingersi innanzi, attendendo di vedere subito mantenute le promesse che la giovane borghesia ha largite ai propri associati. I primi scontri si verificano subito, e la stessa impalcatura terroristica, che la borghesia ha adoperato per stroncare la contro-rivoluzione feudale, viene prontamente rivolta contro i tentativi degli operai. Nella Rivoluzione Francese questo aspetto storico è dato dalla Lega degli Eguali, di Gracco Babeuf, che tenta, subito dopo il Terrore, un movimento per l'eguaglianza economica e sociale, e viene sommersa da una spietata repressione da parte dello Stato borghese.

 Ma in tutti questi primi movimenti l'aspetto di classe della questione è ancora assai confuso. Ancora per alcuni decenni si presentano come fenomeni storici indipendenti i primi conflitti economici tra padroni delle fabbriche e salariati, che conducono in Inghilterra, in Francia ed in altri paesi anche a scontri sanguinosi, e dall'altro lato le prime enunciazioni di sistemi socialistici e comunistici, nei quali viene abbozzata una critica alla società sorta dalla rivoluzione politica borghese e la rivendicazione di un nuovo ordine sociale che sopprima la disparità economica.

 

I teorici di queste prime enunciazioni non pensano di affidare alle stesse masse sacrificate il compito di sopprimere l'ingiustizia economica, ma, seguitando a pensare ed agire nella scia metafisica dell'Illuminismo, pensano di fare breccia su di una vaga coscienza politica e morale collettiva, sulle stesse classi dirigenti, sui capi dello Stato, sui monarchi.

 

La mancanza di senso storico e scientifico di queste prime aspirazioni socialistiche giunge persino, pur di condannare la esosità dello sfruttamento capitalistico, a fare l'apologia delle cessate forme reazionarie e feudali. In sistemi più moderni, ma sempre incompiuti e inadeguati, vengono accettati dai primi socialisti tutti i postulati e i risultati della rivoluzione borghese democratica, e se ne cerca affannosamente uno sviluppo storico continuo, che possa innestare ad essi le ulteriori rivendicazioni capaci di ridurre la enorme e crescente distanza economica tra le classi privilegiate del padronato ed i lavoratori nullatenenti.

 

Una delle caratteristiche essenziali della nuova dottrina del movimento proletario, quale viene proclamata dal Manifesto dei Comunisti di Marx ed Engels nel 1848, insieme ai due capisaldi della concezione materialistica della storia e della teoria economica del plusvalore, è il superamento critico di ogni forma di utopismo. L'aspirazione alla società comunistica non appare più come un progetto di società futura che debba prevalere per le adesioni che raccolgono l'equità e la perfezione del suo tracciato, ma diventa il contenuto stesso e lo svolgimento ultimo della incessante lotta di classe tra capitalisti e lavoratori, che accompagna in tutto il suo procedere storico il regime borghese. L'avvento del socialismo non è un complemento ed una integrazione della democrazia liberale, ma è una nuova fase storica che dialetticamente la nega, e che succede ad essa soltanto attraverso l'acme insurrezionale del conflitto di classe.

 

Mentre, per tal modo, sono stabilite le basi della teoria comunista, grandeggia in tutti gli angoli del mondo capitalistico il movimento del proletariato. Il singolo lavoratore, a cui la conquistata libertà di vendere le sue braccia e l'ambiente giuridico e psicologico individualistico creato dalla rivoluzione borghese non creano altra alternativa alla accettazione supina delle condizioni padronali che la morte per indigenza, reagisce a questa inferiorità adoperando nella pratica e prima di averne coscienza teorica una nuova arma: l'associazione economica. Al mondo della libertà individuale illimitata, che economicamente vale la facoltà di sfrenata concorrenza, per la quale il padronato ha buon gioco nel sostituire un nuovo affamato a quello che rifiuti la condizione di impiego, si va sostituendo un mondo nuovo: quello della organizzazione sindacale, che tratta in nome collettivo le condizioni di lavoro per tutti i suoi membri, e che agisce tanto più efficacemente quanto maggiore è il numero dei salariati che essa riesce ad inquadrare.

 

Il sistema teorico del diritto borghese liberale respinge dapprima questa nuova forma, in quanto la sua tendenza consiste nel non ammettere tra l'individuo e lo Stato altra impalcatura che quella del meccanismo elezionistico di deleghe, che non si presta a diventare un'arma dell'azione autonoma di classe. Quindi la borghesia, nella prima sua fase, condanna l'organizzazione economica dei lavoratori, vieta con le sue leggi gli scioperi, e li respinge con la sua polizia.

 

Ma ben presto, col passaggio alla seconda fase apparentemente pacifica del liberalismo, la borghesia ravvisa il suo interesse nel consentire come legale l'organizzazione economica dei lavoratori. Quando questa è vietata con mezzi di stato, il proletariato viene spinto più direttamente nella lotta politica, e viene accelerata la formazione della sua coscienza di classe; e ciò rende palese che le conquiste sindacali, se valgono a migliorare per il momento il trattamento che i lavoratori subiscono, non risolvono il problema sociale se non viene affrontata la forza dominante del potere politico e dello Stato.

 

Chiarissimo compito, da questo momento, del partito politico della classe operaia è quello di fare leva su tutte le agitazioni economiche dei lavoratori al fine di stabilire una maggiore solidarietà tra le varie categorie di mestiere, tra i lavoratori delle varie città e delle varie nazioni, trasformando il movimento in uno sforzo generale di tutte le classi operaie contro i cardini delle istituzioni capitalistiche, ed inducendo i lavoratori a preoccuparsi dei rapporti generali di tutta l'economia e di tutta la politica nazionale e mondiale.

 

Il passaggio dalle singole e locali agitazioni economiche al movimento politico generale del proletariato si presenta come una estensione della base del movimento nello spazio, al di là dei limiti delle frontiere, ed una estensione del suo processo nel tempo, facendone obiettivo le realizzazioni che stanno al termine di tutto il ciclo del movimento della classe proletaria entro e contro il mondo borghese. Tale compito è assolto dalla I Internazionale dei Lavoratori, che tuttavia non può non trovarsi tra molteplici ostacoli per la immaturità delle condizioni storiche generali.

 

La stessa prospettiva di attuare la prima rivoluzione nella diretta scia della terza grande rivoluzione borghese nella Germania del 1848, essendosi risolta in una sconfitta delle forze proletarie, contemporanea a quella riportata in altri paesi, e particolarmente in Francia, pone il movimento classista dinanzi a difficoltà e incertezze nella dottrina e nella organizzazione, per le interferenze con influenze borghesi, che si manifestano o in tendenze pseudo-socialiste vagamente illuministiche e umanitarie, o nei successi del movimento anarchico, il quale, fin dal primo momento, si pone in antitesi con quello comunista marxista. L'anarchismo presenta una soluzione apparentemente più radicale del problema della rivoluzione, volendo sopprimere in una sola grande giornata della guerra di classe Dio, il padrone e lo Stato. In realtà, a tale concezione, importante per il fatto che concepisce come punto di arrivo una società senza sfruttamento economico e quindi senza potere statale, esattamente come la concepisce il comunismo, manca la giusta valutazione storica del processo propria del marxismo, secondo la quale il rovesciamento del potere politico della borghesia e la costruzione di uno Stato politico del proletariato sono i soli mezzi reali che rendono possibile la distruzione del privilegio economico capitalistico; e soltanto i proletari, inquadrati nel loro cosciente movimento politico di partito, possono essere i protagonisti della battaglia. L'anarchismo, all'opposto, pone i suoi postulati come rivendicazioni metafisiche dell'Uomo in quanto tale, considera le fasi storiche che condizionano l'ulteriore processo soltanto come arbitrarie imposizioni ad una naturale libertà ed eguaglianza insite nell'individuo; ed in ultima analisi, malgrado la predicazione dell'impiego dei mezzi della lotta armata, ricade nella sterilità di ideologismi borghesi.

 

Il movimento internazionalista esce dalla crisi della lotta tra Marx e Bakunin, se si guarda il processo internazionalmente e nei grandi tratti, all'incirca nella fase culminante del secondo stadio del ciclo politico borghese, quando cioè il capitalismo, ormai sicuro dai pericoli di ritorni feudali e non ancora seriamente minacciato dalla rivoluzione proletaria, attua al massimo in politica il regime democratico-parlamentare, e sembra per alcuni decenni lontano da grandi conflitti militari di portata europea e mondiale.

 

In tale fase il movimento proletario, riorganizzato nella II Internazionale, e basato sul fiorire in tutti i paesi di vaste organizzazioni sindacali e di grandi partiti socialisti con larghe rappresentanze parlamentari, pur proclamando la sua ortodossia teorica ai dettami marxistici, si orienta progressivamente verso nuove concezioni revisionistiche, che, quasi insensibilmente, conducono ad abbandonare in realtà quella ortodossia.

 

Il revisionismo in senso riformista svolge la dottrina che il capitalismo dovrà, sì, far luogo alla economia socialistica, ma che la trasformazione non comporta necessariamente la catastrofe rivoluzionaria e l'urto armato delle classi. Lo Stato borghese può essere, secondo questa concezione, progressivamente permeato di influenza proletaria, in maniera da trasformare con successive misure legali e riforme sociali il carattere della organizzazione economica. La massima importanza va quindi data da una parte alle quotidiane conquiste sindacali, dall'altra alla legislazione sociale provocata dalle sempre più numerose rappresentanze socialiste nei parlamenti borghesi. L'ala destra di questa corrente, sia pure contro le resistenze della parte migliore dei socialisti, propone apertamente l'alleanza coi partiti borghesi di sinistra nelle elezioni, ed anche la partecipazione con ministri socialisti ai governi borghesi (possibilismo).

 

Un'altra corrente revisionistica, il sindacalismo rivoluzionario, sembra reagire al revisionismo riformistico, in quanto proclama contro il metodo della collaborazione sindacale e parlamentare quello dell'azione diretta, e soprattutto dello sciopero generale, che dovrebbe giungere fino alla espropriazione dei capitalisti; ma in realtà smarrisce anch'esso la giusta via rivoluzionaria, sia perché sorge da tendenze neo-idealistiche e volontaristiche borghesi, sia perché crede erroneamente che la sola organizzazione economica possa assolvere tutto il compito della lotta di emancipazione del proletariato, sostituendo la formula: «Il sindacato contro lo Stato» alla formula marxista: «Il partito politico operaio di classe e la dittatura del proletariato contro lo Stato della borghesia». Le degenerazioni del riformismo avevano condotto la cosiddetta sinistra sindacalista a confondere azione politica con azione elettorale e parlamentare mentre forma storicamente squisita dell'azione politica svolta a mezzo del partito dev'essere ritenuta l'azione di combattimento rivoluzionario.

 

In tale situazione, e non senza la opposizione dei socialisti marxisti rivoluzionari coerenti in tutti i paesi alla dottrina politica fondamentale del proletariato, l'Internazionale proletaria si trovò di fronte ai problemi del dilagante imperialismo e della guerra per i mercati.

 

Nella Prima Guerra Mondiale, come purtroppo i rivoluzionari delusi dovettero convenire con i reazionari borghesi trionfanti, si verificò il fallimento del piano politico della II Internazionale, per cui lo scoppio della guerra fra gli Stati doveva essere accolto come il momento migliore per l'insurrezione di classe in tutti i paesi e l'assalto al potere della borghesia. I singoli partiti socialisti quasi dovunque si unirono invece alla politica dei rispettivi Stati, sostituendo alla parola della lotta di classe quella della solidarietà nazionale.

 

Il proletariato, che, secondo il Manifesto dei Comunisti, non aveva da perdere che le proprie catene, avrebbe scoperto, secondo le dichiarazioni dei suoi capi, che aveva molti patrimoni da salvare: la libertà e l'indipendenza della patria, e (secondo la concezione che la mobilitazione dell'ideologia delle masse da parte dei loro dominatori realizzò come parallelo alla mobilitazione delle loro braccia per la guerra) il contenuto democratico della rivoluzione borghese. Un immaginario fantasma era sorto nel mondo a minacciare queste preziose conquiste, ed era il ritorno di un Medio Evo dispotico, assolutista, teocratico, feudale, impersonato nei regimi degli Imperi Tedeschi. La teoria che, falsificando ogni valutazione marxista della storia contemporanea, riduceva a questo preteso pericolo i moventi dell'azione e della politica proletaria, ebbe anche in Italia il suo successo, e fu rappresentata dal movimento interventista, che appoggiò la partecipazione alla guerra a fianco dell'Intesa, e fu capitanata dallo stesso uomo che venne poi a capo del regime fascista.

 

Nel seno del movimento proletario, la reazione a questo disastro teorico organizzativo e politico fu rappresentata dalle forze che fondarono la Terza Internazionale, stringendosi intorno al partito proletario rivoluzionario di Lenin, che attuò in Russia la prima vittoria del proletariato nella lotta per la conquista del potere in un grande paese.

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A venti anni di distanza, ed in presenza della seconda delle grandi guerre imperialistiche, la presentazione della situazione mondiale, attuata con mezzi ancora più imponenti al fine di imprigionare la ideologia delle classi proletarie, è stata perfettamente analoga a quella della Prima Guerra Mondiale. Anche questa volta la propaganda dell'imperialismo capitalistico ha lavorato, da ciascuna parte del fronte, a costruire un miraggio artificiale, in nome del quale la classe operaia di ogni paese dovesse desistere da ogni idea di battaglia sociale, ed unire le sue forze a quelle degli Stati dominanti in nome della solidarietà nazionale.

 

Tanto fascisti e nazisti, quanto democratici nell'altro campo, si sono battuti in sostanza sotto la stessa parola d'ordine: concetto di popolo al posto di concetto di classe, combinazione politica di tutti i partiti nazionali nella guerra e per lo sforzo di guerra. In Italia, in sostanza, è la stessa parola che da tutte le tribune viene lanciata alle masse aspettanti, prima e dopo il 25 luglio, di qua e di là dal fronte mobile che distingueva le due Italie: unità nazionale, unione di tutte le classi, guerra e vittoria.

 

Per quanto riguarda il campo nel quale di fatto ci troviamo, il fantasma del 1914 è stato ricostruito con maggiore abilità e con le più potenti risorse che i mezzi tecnici moderni hanno dato alla propaganda: al posto di Guglielmo II dipinto dai mussolinisti di allora, vi sono oggi l'Asse nazi-fascista e le grottesche figure dello stesso Mussolini in nuova edizione e del dittatore Hitler, le cui crisi psichiatriche sarebbero divenute i motori della storia al posto dei contrasti degli interessi economici e dei privilegi sociali.

 

Il proletariato mondiale non avrebbe altro dovere che quello di schierarsi tutto da una delle due parti del fronte: di qua deve essere soldato disciplinato, di là rivoluzionario disfattista; e, come s'intende, passando il fronte, si trova l'armamentario propagandistico esattamente capovolto.

 

Il problema è di una portata formidabile, ma va senz'altro affermato che la restaurazione dell'orientamento politico del proletariato non si può conseguire senza spezzare spietatamente questo apparato gigantesco di falsificazioni.

 

Non vi può essere che la scelta tra la tesi che è patrimonio comune di tutti gli uomini moderni di qualunque condizione sociale la difesa di una serie di conquiste minacciate dal fantasma della reazione fascista, e che questo pericolo giustifichi la messa da parte di ogni rivoluzione e lotta di classe; e il sistema di tesi su cui ripetute volte si edificò, s'inquadrò e si lanciò nell'azione storica il movimento di emancipazione del proletariato. Se questo movimento può ancora ricostruirsi e prepararsi a nuove battaglie, esso lo può solo, nazionalmente ed internazionalmente, liberandosi dagli schemi delle dottrine di solidarietà classista costruite da una parte con le mistiche e le teologie della patria e della razza, e dall'altra con quelle del liberalismo ad uso interno ed esterno, di cui sarebbero depositari per tradizione di onestà e di gentilhommerie politica taluni paesi del mondo capitalistico.

 

Come la III Internazionale fu fondata da Lenin e condotta alla grande vittoria rivoluzionaria di Russia partendo dalla critica dell'opportunismo social-democratico e social-patriottico, che aveva determinato il fallimento della II, così il primo passo verso il risorgere della Internazionale rivoluzionaria del proletariato è la critica al neo-opportunismo in cui la III Internazionale stessa è caduta, raggiungendo la sua liquidazione anche in forma ufficiale. Il fenomeno, anzi, risulta più imponente per la sua gravità e la sua estensione nella attuale crisi del movimento proletario, che ha accompagnato la seconda grande guerra mondiale.

 

Con la parola «opportunismo» non si volle esprimere, negli anni 1914-1919, un semplice giudizio morale sul tradimento dei capi del movimento rivoluzionario, che, nel momento decisivo, si rivelarono agenti della borghesia, diffondendo parole d'ordine diametralmente opposte a quelle della propaganda che avevano svolta per anni. L'opportunismo è un fatto storico e sociale, è uno degli aspetti della difesa di classe della borghesia contro la rivoluzione proletaria; anzi può dirsi che l'opportunismo delle gerarchie proletarie è l'arma principale di questa difesa, come il fascismo è l'arma principale della strettamente connessa contro-offensiva borghese; sicché i due mezzi di lotta si integrano nello scopo comune.

 

Nello stadio imperialistico il capitalismo, come cerca di dominare in una rete centrale di controllo le sue contraddizioni economiche e di coordinare in una elefantiasi dell'apparato statale il controllo di tutti i fatti sociali e politici, così modifica la sua azione nei riguardi delle organizzazioni operaie. In un primo tempo la borghesia le aveva condannate, in un secondo tempo le aveva autorizzate e lasciate crescere, in un terzo tempo essa comprende che non può né sopprimerle, né lasciarle svolgere su piattaforma autonoma, e si propone di inquadrarle con qualunque mezzo nel suo apparato di stato, in quell'apparato che, esclusivamente politico agli inizi del ciclo, diventa nell'età dell'imperialismo apparato politico ed economico al tempo stesso, trasformandosi lo Stato dei capitalisti e dei padroni in Stato-capitalista e Stato-padrone. In questa vasta impalcatura burocratica si creano dei posti di dorata prigionia per i capi del movimento proletario. Attraverso le mille forme di arbitrati sociali, di istituti assistenziali, di enti con apparente funzione di equilibrio fra le classi, i dirigenti del movimento operaio cessano di essere poggiati sulle sue forze autonome, e vanno ad essere assorbiti nella burocrazia dello Stato.

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