DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

 Com'è comprensibile, questa gerarchia, mentre demagogicamente adopera il linguaggio dell'azione di classe e delle rivendicazioni proletarie, diviene impotente ad ogni azione che si ponga contro l'apparato del potere borghese.

 

La caratteristica dell'opportunismo è data dal fenomeno per i quali nei momenti critici della società borghese, che erano appunto quelli in cui si intendeva lanciare la parola per le massime azioni proletarie, gli organi direttivi della classe operaia «scoprono» che è invece necessario lottare per altri obiettivi, che non sono più quelli di classe, ma che rendono necessaria una coalizione tra le forze di classe del proletariato ed una parte di quelle borghesi.

 

Poiché la coscienza politica dei lavoratori riposa soprattutto nella vigoria e nella continuità di azione del loro partito di classe, allorché i capi, i propagandisti, la stampa di questo, improvvisamente, all'aprirsi di situazioni decisive, parlano l'inatteso linguaggio che viene loro ispirato dalla riuscita manovra della mobilitazione degli opportunisti da parte della borghesia, segue il disorientamento delle masse, ed il fallimento pressoché sicuro di ogni tentativo di azione indipendente.

 

Allorché l'opportunismo della II Internazionale, aprendo un vero baratro sotto i piedi del proletariato in marcia, «scoprì» che gli obiettivi del socialismo dovevano essere posti da parte, e che si doveva passare a combattere per quelli della indipendenza nazionale o della democrazia occidentale (in Germania si trattava di lottare per la cultura e la civiltà contro la reazione zarista ed asiatica...), tuttavia i capi opportunisti affermarono che si trattava soltanto di concedere alla borghesia una tregua momentanea, e che, terminata la guerra, la lotta di classe e l'internazionalismo sarebbero stati rimessi in onore. La storia mostrò la fallacia di tale promessa poiché, quando il proletariato in Russia - vittoriosamente - ed in altri paesi passò alla lotta contro il potere borghese, l'impalcatura delle gerarchie opportuniste social-democratiche si unì ai borghesi più reazionari nell'intento di sconfiggere la rivoluzione.

 

Nel periodo della Seconda Guerra Mondiale, l'opportunismo che ha conquistato le file della III Internazionale - il cui processo storico va meglio indagato in ordine a quello svoltosi in Russia dal 1917 ad oggi - ha dato una parola più spinta in senso disfattista di quella del classico opportunismo sbaragliato da Lenin. Secondo il piano dei nuovi opportunisti, la borghesia otterrà una tregua ad ogni lotta di classe, ed anzi una diretta collaborazione nei governi nazionali come nella costruzione di nuovi organismi internazionali, non solo per tutto il periodo della guerra e sino alla sconfitta del mostro nazista, ma per tutto un periodo storico successivo, di cui non si intravede il termine, durante il quale il proletariato mondiale dovrebbe vigilare, in combutta con tutti gli organismi dell'ordine costituito, a che il pericolo fascista non risorga, e collaborare alla ricostruzione del mondo capitalistico devastato dalla guerra (e per ciò si intende dalla guerra dell'Asse). Quindi l'opportunismo non promette neanche più di ritornare dopo la guerra alla autonomia dell'azione di classe dei lavoratori.

 

Questa collaborazione nel ricostruire l'accumulazione capitalistica incendiata nella tragedia bellica non è in realtà che il più feroce asservimento delle forze del lavoro ad una doppia estorsione: quella che genera il normale profitto del padronato, e quella che andrà a ricostruire il colossale valore del capitale distrutto. Questa fase sarà per le classi dominate più onerosa sotto altre forme di quella sanguinosa della guerra, ed il nuovo organismo internazionale a cui si vuole assicurare la collaborazione proletaria, sotto il pretesto di garantire la sicurezza e la pace, sarà il primo esempio di una impalcatura conservatrice mondiale, diretta a perpetuare l'oppressione economica e spezzare ogni conato rivoluzionario.

 

Nella costruzione del programma politico del partito comunista internazionalista, che abbia lo stesso compito che ebbero dal 1914 al 1919 i gruppi della II Internazionale lottanti contro l'opportunismo, dovranno essere precisati come caposaldi di una piattaforma di opinione, di organizzazione e di battaglia i giudizi e le posizioni verso tutti questi fenomeni dominanti il mondo moderno e la svolta storica che attraversiamo rendendo questa precisazione del tutto coerente alle tradizioni del marxismo rivoluzionario.

 

È un processo storico normale che la classe borghese riesca a far combattere la classe operaia, per realizzare i suoi postulati, non solo quando questi hanno un valore storico rivoluzionario (come nella Francia dell'89, nella Germania del '48, nella Russia del 1905 e del febbraio 1917), ma anche quando si tratta di altre meno decisive svolte storiche del divenire capitalistico. Non appena le falangi proletarie hanno assolto il loro compito di potenti alleati, e tentano sullo slancio degli eventi di rappresentare una parte autonoma, la borghesia, anche senza il bisogno di sostituire gli inquadramenti politici che adoperano le sue ideologie di sinistra, impiega il potere statale saldamente conquistato per battere e disperdere con la violenza le formazioni proletarie (come in Francia nel 1848 e nel 1871, in Germania nel 1918, in Russia, rimanendo per la prima volta sconfitta, dal 1917 al 1920.

 

Il partito di classe del proletariato deve saper prevedere che anche al termine di questa guerra, dopo il clamoroso invito seguito da vasti successi a dare man forte alla borghesia dei paesi alleati nella lotta contro il fascismo (invito a cui hanno risposto non solo i capi opportunisti del movimento operaio in tutti i paesi, ma anche gruppi generosi ed ingannati di combattenti partigiani) seguirà, come già è seguita in molti paesi cosiddetti liberati, una repressione non meno decisa di quella fascista, contro i tentativi di questi organismi irregolari armati di realizzare obiettivi propri ed autonomi, e mantenere localmente il potere conquistato combattendo contro i tedeschi ed i fascisti.

 

Lo stesso movimento di organizzazione economica del proletariato verrà imprigionato, esattamente con lo stesso metodo inaugurato dal fascismo, ossia con il tendere verso il riconoscimento giuridico dei sindacati, che significa la loro trasformazione in organi dello Stato borghese. Riuscirà palese che il piano di svuotamento del movimento operaio, proprio del revisionismo riformista (laburismo in Inghilterra, economismo in Russia, sindacalismo puro in Francia, sindacalismo riformista alla Cabrini-Bonomi e poi Rigola-D'Aragona in Italia) coincide sostanzialmente con quello del sindacalismo fascista, del corporativismo di Mussolini, e del nazional-socialismo di Hitler. La sola differenza è che il primo metodo corrisponde ad una fase in cui la borghesia pensa soltanto alla difensiva contro il pericolo rivoluzionario, il secondo alla fase in cui, per il grandeggiare della pressione proletaria, la borghesia passa all'offensiva. In nessuno dei due casi essa confessa di fare opera di classe; ma proclama sempre di voler rispettare il soddisfacimento di certe esigenze economiche dei lavoratori, e di voler attuare una collaborazione di classe.

 

Poiché la seconda situazione, della contro-offensiva fascista (che accelera l'insidioso assorbimento opportunista del movimento operaio fra i viscidi tentacoli della piovra statale, passando alla sua aperta e violenta demolizione), si verifica generalmente nei paesi sconfitti o duramente provati dalla guerra, questa volta la coalizione contro-rivoluzionaria mondiale si guarderà bene dall'abbandonare incontrollati i territori dei paesi vinti, ma vi instaurerà una guardia di classe internazionale, vi permetterà soltanto organizzazioni controllate ed amministrate, vigilerà, come si annunzia, per molti anni, ad impedire non già le pretese dittature di destra, ma qualsiasi forma di agitazione sociale.

 

Saranno così controllati non solo i paesi vinti, ma gli stessi paesi alleati liberati dall'occupazione nemica. Di più, si attuerà una dittatura dei grandi agglomerati statali. Gli Stati minori cadranno in un regime coloniale, non avranno né economia suscettibile di vita propria, né autonomia di amministrazione e di politica interna, e tanto meno apprezzabili forze militari suscettibili di libero impiego.

 

Una situazione analoga, ma meno delineata, si ebbe in Europa tra le due guerre, dopo la pace di Versaglia, ispirata al clamoroso inganno delle ipocrite ideologie wilsoniane. Si parlò, allora, nelle tesi comuniste, di oppressione nazionale e coloniale, parallela all'oppressione di classe che l'imperialismo esercitava nelle metropoli. Oggi, con una America non più simulante il suo isolazionismo, ma interveniente in pace non meno che in guerra negli affari di tutti i continenti, sarà più proprio parlare di una oppressione statale, di un vassallaggio dei piccoli Stati borghesi rispetto ai grandi e pochi mostri statali imperiali, così come vassalli di questi sono i padroni terrieri ed i neo-capitalisti nei paesi dei popoli di colore.

 

Invece di un mondo di libertà, la guerra avrà recato un mondo di maggiore oppressione. Quando il nuovo sistema fascista, apporto della più recente fase imperialistica dell'economia borghese, lanciò un ricatto politico e una sfida militare ai paesi in cui la passatistica bugia liberale poteva ancora circolare, superstite di una fase storica superata, tale sfida non lasciava all'agonizzante liberalismo alcuna favorevole alternativa: o gli Stati fascisti avrebbero vinto la guerra, o l'avrebbero vinta i loro avversari, ma a condizione di adottare la metodologia politica del fascismo. Nessun conflitto tra due ideologie o tra due concezioni della vita sociale, ma il necessario processo dell'avvento della nuova forma del mondo borghese, più accentuata, più totalitaria, più autoritaria, più decisa a qualunque sforzo per la conservazione e contro la rivoluzione.

 

* * *

 

Il movimento della classe operaia, che aveva reagito in modo insufficiente alle suggestioni della propaganda borghese tutta mobilitata a presentare la prima guerra mondiale imperialistica nel falso schema del conflitto tra due ideologie e due diversi destini del mondo moderno, così e più gravemente è caduto da ambo le parti del fronte nell'analoga propaganda della presentazione ideologica della guerra attuale. È indispensabile per le sorti avvenire della Internazionale rivoluzionaria che venga restaurata la posizione critica proletaria sul significato della guerra.

 

Gli Stati militari non entrano in conflitto per imporre al mondo regimi sociali e politici simili a quelli che vigono nel loro interno. Questa è una concezione volontaristica e teleologica: se fosse accettabile, vorrebbe dire che il metodo marxista va messo da parte.

 

La guerra è indubbiamente una risultante di cause sociali, ed i suoi esiti militari si inseriscono come fattori di primo ordine nel processo di trasformazione della società internazionale, interpretato materialisticamente e classisticamente. Ma ha rinnegato il marxismo chi crede che le guerre si possano spiegare col misero bagaglio teorico che ne fa altrettante crociate.

 

Le guerre non sono deliberate dalla ferocia o dall'ambizione di capi e di imperatori; o, per lo meno, bisogna dilemmaticamente scegliere tra questa spiegazione della storia e quella radicalmente opposta propria dei marxisti.

 

Molte delle guerre che precedettero la fase del modernissimo imperialismo servirono ad affrettare lo svolgersi rivoluzionario dell'epoca borghese, come avvenne soprattutto tra il 1848 ed il 1878. Ma nelle stesse guerre dell'epoca napoleonica lo schema filosofico-ideologico di spiegazione cade in clamoroso difetto.

 

L'Inghilterra, che sul cammino della rivoluzione capitalistica aveva di quasi due secoli preceduto la Francia, si rende, dopo la Rivoluzione Francese, fulcro delle coalizioni contro di essa, insieme alle potenze feudali ed assolutistiche di Prussia, d'Austria e di Russia. La spiegazione di questo schieramento di forze va cercata nel particolare interesse del capitalismo inglese di sfruttare la posizione strategica delle sue metropoli per la conservazione del già preponderante impero coloniale mondiale, evitando ogni costituzione di uno Stato egemonico sul continente.

 

Se il sofisma ideologico cade in difetto nel dar ragione dello schieramento militare degli Stati, non meno fallace esso risulta quando si tratta di chiarire la portata della vittoria dei coalizzati sulla Francia, malgrado la quale le direttive sociali e politiche dell'ordinamento borghese prevalsero nel paese vinto e in quelli vincitori.

 

Francesi bonapartisti e tedeschi prussiani proclamavano egualmente di essere i combattenti della civiltà e della libertà. Vincessero gli uni o gli altri, era l'inesorabile divenire capitalistico che avanzava e di ben altra potenza nella spiegazione del trapasso storico si rivela il metodo sociale classista del marxismo, fondamentalmente inconciliabile con quello volgare, scolastico e fariseo del crociatismo.

 

L'Inghilterra borghese ed imperiale può assistere neutrale al conflitto del 1859, ed ancora a quello del 1870, che la stessa Internazionale di Marx - pur potendo subito dopo assurgere alla classica interpretazione del giuoco delle forze di classe nell'evento storico della Comune parigina - definì alternativamente come guerra di progresso contro il bonapartismo e come guerra di oppressione del bismarckismo. E il capitalismo inglese, infatti, controllava in quel periodo che la seconda Francia napoleonica non divenisse un troppo minaccioso centro imperiale.

 

Nella Prima Guerra Mondiale, cresciuto in modo imprevedibile il potenziale economico del capitalismo germanico, borghesi di Francia e di Inghilterra mobilitano sfrenatamente contro il nuovo pericolo le menzogne della retorica liberale-democratica.

 

Lo stesso fanno nella Seconda Guerra Mondiale gli avversari della Germania, soffocando sotto l'ingombro allucinante dell'imbonitura propagandistica le basi reali del conflitto, e rimobilitando quella impalcatura di argomentazioni, che, essendo ormai storicamente più che rancide, non si possono meglio definire che col termine di «mussolinismo».

 

Dal canto proprio i regimi dell'Asse impostavano la loro ostentata campagna contro quelle che definirono le «plutocrazie» su un rapporto reale, marxisticamente esatto e pienamente diagnosticato da Lenin nell'Imperialismo, ossia sulla stridente sproporzione tra la densità delle popolazioni metropolitane e l'estensione degli imperi coloniali, per cui Germania, Giappone ed Italia presentavano condizioni sociali antinomiche a quelle di Francia, Inghilterra, America ed anche Russia: ma rivelarono sia nella condotta di guerra che nello stesso controimbonimento propagandistico la loro soggezione di classe ed il loro timore reverenziale per il principio del capitalismo plutocratico e per le sue potenti cittadelle mondiali di Inghilterra e di America, che avevano attraversato gli ultimi convulsi 150 anni di storia senza fratture, nella storica continuità dei possenti apparati statali.

 

Il nazismo volle ricattare gli agglomerati statali nemici, perché scegliessero tra il disastro militare e la concessione all'odiato concorrente imperialista di una adeguata quota dello spazio sfruttabile del pianeta. Ma i capitalismi di Inghilterra (soprattutto) e di America subirono impassibili i rovesci militari della guerra-lampo, puntando con incredibile sicurezza e malgrado la gravità del rischio sulla lontana vittoria finale. Tale fatto storico rappresenta uno dei più mirabili impieghi di potenziale attuati nel cammino dell'umanità, ma nello stesso tempo il più grande trionfo del principio di conservazione dei rapporti vigenti, e la più grande vittoria storica della reazione.

 

Gli Stati dell'Asse, e soprattutto la Germania, lanciati sulla via del successo, che concepivano soltanto come un compromesso imposto al nemico sulla comune base degli schemi dell'imperialismo fascista mondiale, non tentarono neppure di sommergere almeno uno dei fortilizi avversari, quello inglese, come avrebbero potuto forse conseguire, se, invece di irradiare puntate centrifughe per tutta l'Europa, nell'Africa e poi verso l'Oriente russo (al fine di assicurarsi pegni per il ricatto storico), lo avessero colpito a fondo dopo Dunkerque nella secolare metropoli con tutte le loro risorse. Il crollo di questa, come sentiva la borghesia ultra-industriale governante il paese di Hitler, avrebbe sommerso il capitalismo mondiale, o per lo meno lo avrebbe travolto in una crisi spaventosa, mettendo in moto le forze di tutte le classi e di tutti i popoli straziati dall'imperialismo e dalla guerra, e forse invertendo tremendamente le direttive sociali e politiche del colosso russo ancora inattivo.

 

La propaganda dell'Asse, in questa situazione, ponendo in sordina i motivi anti-capitalistici col loro falso suono, si rovesciò tutta nel denunziare il pericolo del bolscevismo, tentando sempre di provocare la solidarietà delle borghesie nemiche dinanzi alla prospettiva delle conseguenze rivoluzionarie di una vittoria russa. Tale bolsa propaganda finì col collaborare al disorientamento delle forze proletarie rivoluzionarie, inducendole ancora una volta ad attendere la rivoluzione da uno scioglimento della guerra degli Stati e non dalla guerra delle classi; ma non valse a scuotere gli strati dirigenti dei governi capitalistici anglo-sassoni, che, facendo in un giusto bilancio esatto affidamento sulla potenza della propria attrezzatura economica e sulla realtà dei rapporti sociali e politici mondiali, ed adottando in pieno senza esitazioni né riguardi i metodi totalitari e centralizzatori col superiore loro rendimento tecnico, politico e militare, hanno per sei anni profetizzata ed attuata la rovina militare del loro nemico, diventandone i vincitori ma anche gli esecutori testamentari.

 

Realizzata questa vittoria, si saranno attuate le basi per uno svolgimento dell'era capitalistica imperialistico-fascista che prevarrà nei grandi paesi del mondo, e graviterà su di una costellazione di grandi Stati, signori delle classi lavoratrici indigene, delle colonie di colore, e di tutti i minori Stati satelliti nei paesi di razza bianca, costellazione nella quale palesemente entra la nuova Russia, in cui sembra che non si lascerà entrare la Francia, e nella quale forse lo stesso capitalismo tedesco (quello che ha dato i maggiori risultati nel grandioso esperimento della modernissima forma capitalistica di controllare e dominare le reazioni dell'economia borghese, attuando il più perfetto dei tipi del moderno Stato monopolistico), ad onta dell'enorme spreco di maledizioni retoriche, potrebbe avere un posto migliore di quello riserbato alle stesse classi dominanti dei paesi minori non solo nemici ma anche alleati, e cioè di quelli per la cui pretesa liberazione dalla oppressione dispotica si bandì la presentazione di questa barbara, feroce e maledetta guerra come una crociata per la migliore e redenta umanità.

 

Di fronte a questa nuova costruzione del mondo capitalistico, il movimento delle classi proletarie potrà reagire solamente se intenderà che non si può né si deve rimpiangere il cessato stadio della tolleranza liberale, della indipendenza sovrana delle piccole nazioni, ma che la storia offre una sola via per eliminare tutti gli sfruttamenti, tutte le tirannie e le oppressioni, ed è quella dell'azione rivoluzionaria di classe, che in ogni paese, dominatore o vassallo, ponga le classi dei lavoratori contro la borghesia locale, in completa autonomia di pensiero, di organizzazione, di atteggiamenti politici e di azioni di combattimento, e sopra le frontiere di tutti i paesi, in pace e in guerra, in situazioni considerate normali o eccezionali, previste o impreviste per gli schemi filistei dell'opportunismo traditore, unisca le forze dei lavoratori di tutto il mondo in un organismo unitario, la cui azione non si arresti fino al completo abbattimento degli istituti del capitalismo.

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