DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

“Governi amici”, “politica e antipolitica”, “caste gelose dei loro privilegi”, “politica dei partiti e politica della gente”, “movimenti dal basso”, “nuovi partiti”, “ridistribuzione degli utili”, “stato sociale”... Se ne fa un gran parlare, oggi, in Italia e nel mondo. Buffoni di destra, di centro e di “sinistra”, seduti comodi nelle poltrone parlamentari o in perenne agitazione su palcoscenici più o meno improvvisati o impegnati in vomitevoli giochi delle parti in squallidi salotti televisivi, non fanno che bombardarci di parole totalmente vuote di contenuti, piene di retorica e demagogia della peggior specie. Intanto, l’economia mondiale gira sempre più a vuoto nonostante le rassicurazioni degli “esperti”, i fantasmi di guerra incalzano sempre più vicini e reali, la crisi colpisce nel portafoglio e nella pancia, l’abbrutimento della vita associata procede in maniera inquietante...

Quello cui stiamo assistendo non è nient’altro che il completo marcire di tutto un mondo, di tutto un sistema, bene rappresentato dalla miriade di partiti parlamentari di destra, centro e “sinistra”, e dei loschi figuri che li rappresentano come tanti uomini di paglia, come burattini con la carica a molla. E ciò, a sua volta, è espressione del più generale parassitismo, di quella “tendenza alla stasi e alla putrefazione” (Lenin, L’imperialismo, 1916), tipica del capitalismo ormai entrato nell’età dell’imperialismo (non certo da oggi – 2007 – , ma dalla fine dell’800, dalla chiusura definitiva dell’epoca del liberalismo) .

Di fronte alla crisi profonda che scuote il modo di produzione capitalistico, all’imputridimento totale della vita politica borghese, alle guerre locali che insanguinano aree e continenti, alle acute guerre commerciali che preludono a nuovi massacri mondiali, all’avvelenamento di ogni aspetto dei rapporti umani e sociali, di fronte a tutto ciò, illudersi ancora che la macchina democratica e parlamentare possa essere riformata; che la “democrazia vera”, perduta per strada non si sa bene dove, possa essere ripristinata; che, sotto la spinta di un’indignata pressione dal basso, i partiti dell’arco parlamentare possano conoscere una specie di rigenerazione etica e ripresentarsi candidi come gigli ai loro elettori; che dalle “grandi manovre” di rimescolamento della frittata di questa o quella componente, “correntone”, “nuovo partito”, “nuova prospettiva”, possa nascere un “altro modo di far politica, più vicino ai cittadini”; che sia possibile “ridistribuire gli utili” in un momento in cui il capitale è sempre più asfittico; che sia possibile istituire uno “stato sociale” che si faccia carico dei “deboli e indifesi” – illudersi di tutto questo è quanto di più reazionario, stupido e criminale.

In questo miserevole panorama, non esistono “governi amici”, non esiste alcuna “opposizione parlamentare”, non esiste alcuna “sinistra radicale”: sono tutti ingredienti della stessa zuppa, varianti della stessa pozione velenosa. E allora urge tornare a comprendere alcune cose elementari. Lo Stato non è altro che il comitato d’interessi della classe dominante, e quegli interessi ha il compito di difendere con tutti i mezzi, leciti e illeciti. Di questo Stato, il governo (qualunque governo: di destra, di centro, di “sinistra”, più o meno “amico”) non può essere altro che il braccio esecutivo, quello cui spetta il compito di tradurre in leggi e normative (e quindi di applicare e far rispettare) tutte le misure di difesa e di “sviluppo” del modo di produzione capitalistico, a tutti i livelli. Il sistema democratico (che nel corso dell’ultimo cinquantennio si è abbondantemente blindato e corazzato, in puro stile fascista) è il miglior involucro per assicurare la continuità del dominio della classe borghese, abbindolando gli allocchi con un mulino di parole vuote e, quando esse non bastano, passando ai ceffoni. Questi concetti elementari, rimossi dalla memoria collettiva grazie all’imbottimento dei crani operato a tutti i livelli (dalla scuola alla televisione), devono tornare a far parte integrante del bagaglio di lotta di ogni proletario consapevole del fatto che è la sua pelle che questi signori e questi istituti stanno conciando.

 

Tutto ciò, infatti, non ha niente a che vedere con gli interessi immediati e futuri della nostra classe. Sia che lotti per la pagnotta oggi, sia che lotti per un altro modo di produzione domani, il proletariato si troverà infatti sempre contro, in qualunque momento e frangente, armato fino ai denti e compatto come un sol uomo (o donna), lo Stato (con il suo vasto arsenale di randelli), il Governo e il Parlamento. E questo vale per l’Italia, come per qualunque altro Paese. Chiunque alimenti ancora quelle illusioni, chiunque cerchi di convincere che Stato, Governo, Parlamento possano essere qualcosa di diverso da strumenti di oppressione aperta o sotterranea, chiunque cerchi di entrare in quel meccanismo democratico-parlamentare proclamando di volerlo piegare agli “interessi del popolo”, è un autentico nemico di classe: merce avariata che va buttata al più presto fuori bordo. Bisogna al contrario lottare contro ogni illusione nella possibilità di una rappresentanza proletaria in Parlamento, nel ritorno alla “vera democrazia”, nel riformismo in tutte le sue vesti.

La società del profitto, del capitale, della competizione, sta avvitandosi già, a gran velocità, dentro il gorgo di una devastante crisi economica. Da una crisi di tale portata, il capitale è capace di uscire solo esasperando lo sfruttamento della classe proletaria e preparando un’altrettanto devastante nuova guerra mondiale. A questa prospettiva non ci si sottrae bendandosi gli occhi, facendo appello a un riformismo che non ha più nulla da offrire perché sta esaurendo anche le ultime briciole del festino apparecchiato nel secondo dopoguerra (un festino che i proletari di tutto il mondo hanno pagato duramente, tra supersfruttamento, guerre locali, dissesto di interi continenti), o invocando un metafisico “stato assistenziale”, uno “stato buon papà”, che ormai potrà solo avere la funzione della “preparazione alla guerra imperialistica”, con tutto quello che ciò comporta a livello economico (economia di ante-guerra e poi di guerra), sociale (mobilitazione a sostegno dell’economia nazionale e repressione di ogni antagonismo), culturale (sciovinismo e nazionalismo crescenti).

Questa prospettiva (che è drammatica, per la sconfitta subita negli ultimi ottant’anni dal proletariato mondiale, complici schifosi, con funzioni diverse ma convergenti, la democrazia, il fascismo e lo stalinismo) va affrontata a viso aperto, e lo si può fare solo recuperando l’intera esperienza ormai più che secolare di lotta senza quartiere contro il capitale e il suo Stato, di organizzazione, estensione e centralizzazione delle lotte di difesa immediata (sul posto di lavoro e nel territorio), di rifiuto aperto e organizzato di cedere ai ricatti della concertazione e della difesa dell’economia nazionale e di ogni sforzo bellico presente e futuro, di rottura della pace sociale in tutti quegli aspetti che oggi colpiscono, uccidono, paralizzano, umiliano la nostra classe.

Soprattutto, si può affrontare questa prospettiva solo riconoscendo la necessità dell’estensione e del radicamento internazionali del partito comunista, l’unico che, negli alti e bassi della storia, abbia saputo mantenere saldo il filo rosso della preparazione rivoluzionaria, e lavorando attivamente per esso, nella consapevolezza di preparare così, nell’oggi tanto cupo e drammatico, il domani della rivoluzione proletaria e del comunismo, della società finalmente senza classi.

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°05 - 2007)

 

 

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