DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Secondo le ultime previsioni fatte dalla BBVA (Banco Bilbao Vizcaya Argentaria), l’economia spagnola ha ormai iniziato la sua fase di rallentamento e a metterlo in evidenza sono proprio quei dati che negli anni scorsi avevano riempito di fiducia le stime dei governi “di sinistra”. L’allerta sale in modo indiscriminato nell’edilizia, nella quale nel 2008 si prevedono 83 mila posti di lavoro in meno: negli anni 2006 e 2007, l’incremento era stato rispettivamente di 184 mila e 178 mila unità, ma ormai le grandi opere volgono al termine e i prezzi delle case sono saliti ai massimi storici (si calcola anche che la maggior parte di quegli operai che perderanno il posto di lavoro nell’edilizia sia destinata alla disoccupazione).

Eppure, ciò che disturba maggiormente il sonno degli economisti è la corsa alla ristrutturazione e alla chiusura delle fabbriche nel settore metalmeccanico e automobilistico. Non è più un segreto che la fuga emorragica delle aziende e imprese produttive verso lidi más baratos (=più a buon mercato) continua anche nella penisola iberica. Una dopo l’altra, le industrie decidono di arginare la caduta tendenziale del saggio medio di profitto spostando gli impianti produttivi verso Cina, India e altri paesi orientali, dove poter spremere meglio e per più ore al giorno proletari che percepiranno stipendi da fame con il benestare di governi affascinati dal capitalismo trionfante. Ora è la volta di Getafe Cojinetes de Fricción, una impresa che costruisce componenti automobilistiche e che intende chiudere lo stabilimento e mandare a casa circa 160 lavoratori. La Federación Minerometalúrgica, gestita dal sindacato CC.OO, ammette che “il settore è fortemente castigato dall’esigenza imposta dal mercato e dalle multinazionali di ribassare i costi, ma che i meccanismi devono essere sviluppati in modo non selvaggio”. Di fatto, il trasferimento di queste fabbriche è già iniziato negli anni addietro: in particolar modo, riguardo alla produzione di componenti automobilistiche, lo stesso Governo spagnolo ha sostenuto finanziariamente in più occasioni le società, affinché potessero spostarsi con maggior facilità verso la Cina. Come dire, la “azienda Spagna” non solo non protegge i propri lavoratori e il loro posto di lavoro, ma per questioni di mercato è prontissima a mandarli a casa, perché il profitto sta ben al di sopra del nazionalismo. Lo stesso presidente della filiale aperta a Shanghai, Joaquín Lasso, ha dichiarato apertamente che “qui esiste una grande opportunità di sviluppo economico e inoltre i cinesi sono più ordinati, lavorano meglio e molto di più [!!!]”. Non va dimenticata, poi, la speculazione edilizia sugli ex suoli industriali, svenduti dal governo alle proprie clientele, per costruirvi zone residenziali con appartamenti di lusso, centri commerciali e luoghi di svago. Le diverse borghesie del pianeta parlano la medesima lingua universale, un esperanto unico che ha per nome... profitto.

Le cose non vanno meglio a Pamplona, ove la Delphi Packard – multinazionale nordamericana con sede a Detroit, che sta progressivamente smantellando la produzione dal vecchio continente per trasferirla in Asia – ha diffuso un comunicato nel mese di marzo in cui si dichiara apertamente l’intenzione di chiudere diverse fabbriche, mandando a casa migliaia di operai. A Cadice, invece, la chiusura sarà totale e circa 1700 lavoratori saranno gettati nel calderone dei disoccupati nell’immediato, mentre altri 4000, benché in modo indiretto, vi saranno immersi nel prossimo anno. Sarà poi la volta di Tarazona, che a partire dall’anno 2000 ha visto una riduzione di impiego nell’industria pesante dell’ordine del 50% per via di “ristrutturazioni” (come sono chiamati oggi i licenziamenti).  In effetti, il progressivo smantellamento degli impianti della Delphi in Spagna ha messo in agitazione gli altri 30 mila lavoratori europei della stessa multinazionale, tanto da spingerli a manifestare solidarmente con gli spagnoli e in previsione di futuri attacchi nei loro confronti da parte della stessa azienda.

Da parte sua, il sindacato, vero portavoce del governo, afferma che, ovviamente, queste “ristrutturazioni” sono necessarie per reggere la concorrenza e rendere più produttivi gli investimenti, ma che tuttavia non devono essere fatte in modo così indiscriminato come sta avvenendo da diversi anni.

Ad Alcalá de Henares e ad Aranjuez, i circa 700 operai della Robert Bosch (concorrente tedesca di Delphi e sempre impegnata nella produzione di componenti automobilistici e precisamente nella produzione di valvole di iniezione) hanno dato vita a uno sciopero di pochi giorni, per richiamare l’attenzione sul fatto che anche la loro fabbrica è destinata a vivere la stessa sorte: chiusura e trasferimento all’estero. Dopo aver manifestato sotto l’ambasciata tedesca, hanno minacciato le autorità di voler estendere la protesta oltre frontiera se non verranno prese misure serie e decisive che impediscano le scelte drastiche degli organi dirigenziali della società tedesca. In Catalogna, Gestamp Automoción Esmar ha ormai imboccato lo stesso cammino di quel processo che ben presto porterà l’attività industriale dei paesi europei a essere trasferita dove il costo della manodopera rasenta il costo zero se paragonato ai pur bassi salari dei lavoratori del vecchio continente.

In tutti i casi fin qui riportati, le proposte del sindacato sono sempre le stesse: concentrarsi sul mancato rispetto della legge e su un mutilato compimento del piano industriale firmato nel 2005 (in cui si garantiva la presenza dei siti produttivi fino al 2010) fra i politici di turno e gli stessi dirigenti della multinazionale, ricordando ai politici la necessità di rispettare e far rispettare gli accordi stabiliti in precedenza, e manifestare il timore che questo meccanismo possa intaccare altri settori produttivi. Nient’altro! Negli anni precedenti, in cui le minacce di chiusura si erano fatte sentire con minore intensità, gli stessi sindacati, utilizzando l’arma della concertazione, avevano chiesto ai lavoratori un maggiore sforzo e maggiori sacrifici al fine di mantenere sana la “propria” fabbrica, perché essa rappresentava il loro futuro (!) economico e lavorativo. Insomma, per CC.OO e UGT il problema starebbe nel rispetto delle regole democratiche, nell’impegno del governo ad assicurare la giusta applicazione delle leggi, nell’assicurazione che l’osservatorio industriale funzioni da garante, dimenticando in sostanza che questi apparati del potere democratico sono nientemeno che la garanzia di cui dispone il modo di porduzione capitalistico per difendersi e continuare a svilupparsi. Gli stessi sindacati, che dovrebbero difendere gli interessi dei lavoratori, sono poi sempre pronti a spacciare come parole d’ordine la collaborazione di classe e il sacrificio in nome dell’economia del paese e della favola basata sulla ridistribuzione degli utili. Nelle loro proposte di intervento viene proposto l’aumento della produttività e della competitività quale panacea per affrontare la crisi di un capitale sempre più asfittico: ovvero, maggiore sfruttamento, salari più bassi, maggiori carichi di lavoro e più ore da lavorare.

Si tratta di un ulteriore grave attacco ai danni della classe proletaria sia europea che cinese e mondiale. Per resistervi e rispondervi, non ci sono altre alternative se non quella della ripresa della lotta di classe, lontana dagli sciocchi nazionalismi predicati a gran voce dai gonzi sindacali: i proletari non hanno patria o interessi nazionali da difendere, ma solo da intraprendere una lotta dura e lunga, priva di scorciatoie, che, dalla difesa delle condizioni di vita e di lavoro oggi, passi domani, sotto la guida del partito rivoluzionario, all’attacco aperto a questo modo di produzione, ormai superato e solo dannoso.

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°02 - 2008)

 

 

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