DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Circola spesso, negli ambienti più diversi e con le più differenti tonalità, la funebre litania sulla “scomparsa della classe operaia”. Da cui discende ovviamente l’altrettanto funebre litania sull’“impossibilità di fare qualunque cosa”, con l’allegato “Ho già dato. Mi ritiro a vita privata”, oppure “Preferisco fare il battitore libero”.

Ma la vecchia talpa non cessa di lavorare nel profondo, ed ecco che, di tanto in tanto, anche in tempi certo difficili come questo, sbuca in superficie, a scompigliare l’ingiallito spartito.

Pochi esempi di queste ultime settimane: pochi, ma emblematici.

Mentre continua il massacro di proletari palestinesi nella Striscia di Gaza, in giro per il mondo si sono moltiplicati gli episodi di solidarietà da parte di settori significativi del proletariato internazionale come i camalli, per usare il noto appellativo genovese: cioè, i portuali, gli scaricatori di navi. È successo a Genova, dove hanno rifiutato di gestire l’imbarco di armi dirette in Israele. Li hanno imitati i portuali australiani di Sidney e quelli spagnoli di Barcellona, e ancora i lavoratori aeroportuali belgi e poi quelli francesi e greci, e, negli Stati Uniti, i portuali di Tacoma e di Oakland. E li hanno imitati anche i ferrovieri giapponesi di Doro-Chiba, che già in passato sono stati protagonisti di atti di lotta e di solidarietà classista. Siamo sicuri che episodi analoghi si saranno ripetuti e altri ancora si ripeteranno, ora che uscirà questo giornale. Li salutiamo tutti con entusiasmo. Certo, sono episodi in qualche modo circoscritti e per lo più gestiti da sindacati tutt’altro che “rivoluzionari”. Ma se dietro non ci fosse stata la pressione dei lavoratori, un loro istintivo e immediato senso dell’internazionalismo, ben difficilmente quei sindacati si sarebbero mossi.

E poi andiamo in Bangladesh: altro capitolo, altra storia, ma il libro è lo stesso. Fra ottobre e novembre scorsi, sono scesi in lotta per aumenti salariali e migliori condizioni di lavoro migliaia di operai e operaie dell’industria tessile di quel paese, già protagonisti di duri scioperi negli anni scorsi (oltre che vittime del tremendo crollo della fabbrica di Rana Plaza, a Dhaka, nel 2013: 1.138 morti – alla faccia della “scomparsa della classe operaia”!). In decine di città in giro per il paese, centinaia di fabbriche e fabbrichette, in cui si tagliano e cuciono abiti per le più note marche di tutto il mondo (sono circa 3500 le industrie tessili nel Paese), sono state chiuse per le violente proteste dei lavoratori e delle lavoratrici, con ripetuti scontrati con la polizia che, per sedare la rivolta, ha fatto ricorso a proiettili di gomma, granate stordenti e gas lacrimogeni, con numerosi feriti e arresti e due morti. Alcune fabbriche sono state addirittura date alle fiamme. Sono più di 4 milioni, questi lavoratori e lavoratrici, che attualmente ricevono 8.3000 taka al mese (l’equivalente di 70 euro), sgobbando in condizioni malsane e pericolose, e dovendo pagare affitti mensili fra i 5.000 e i 6.000 taka per appartamenti di una sola stanza...

Il nostro “ritirato a vita privata” dirà che “si tratta di episodi”, che sono “solo lotte sindacali e nulla più”. Certo: ma dimostrano che il proletariato non solo c’è, ma continua a lottare – è la classe in sé, quella ancora dominata dal Capitale dal quale deve difendersi. Perché diventi classe per sé deve incontrare sulla propria via il partito rivoluzionario: ed è a quello che noi stiamo lavorando, indifferenti a tutte le litanie dei... “ritirati a vita privata” o dei “battitori liberi”.

INTERNATIONAL COMMUNIST PARTY PRESS
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