DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

 

Nostri testi

 

Tra le svariate misure per contrastare la sempre più grave crisi che si sta abbattendo su tutti gli stati imperialisti, quelle che prevedono un sempre più preponderante intervento degli Stati – tramite, naturalmente, l’opera dei governi democraticamente eletti e nominati dal popolo sovrano – hanno riacceso la fantasia (e rianimato il fantasma) di pretese introduzioni o reintroduzioni di un dirigismo statalista che potrebbe essere (addirittura!) il preludio di misure economiche... socialisteggianti.

In altri scritti comparsi su questo nostro giornale (organo di guerra di classe), abbiamo rintuzzato e non ci stancheremo mai di rintuzzare nella polemica spicciola queste posizioni false e tanto più conservatrici quanto più provenienti da “ambienti” di pretesa sinistra, sempre meno “riformista”.

Qui sotto riportiamo quattro capitoletti di un più ampio lavoro di Partito (intitolato “Proprietà e capitale. Inquadramento nella dottrina marxista dei fenomeni del mondo sociale contemporaneo” e pubblicato sulla nostra stampa fra il 1948 e il 1950): a una attenta lettura, permettono di darci quelle coordinate dottrinarie che, come un vero e proprio vaccino, prevengono ogni possibile equivoco a proposito di iniziative politiche borghesi miranti a un coinvolgimento proletario nella “salvezza” di un sedicente “interesse nazionale”.

 

 

Da “Proprietà e capitale” (1948-50)

 

X - IL CAPITALE FINANZIARIO

Intraprese di produzione e di credito e ribadito parassitismo economico di classe

 

L’intraprenditore ha bisogno, oltre che della fabbrica e delle macchine, di un capitale monetario liquido che anticipa per acquistare materie prime e pagare salari, e poi ritira vendendo i prodotti. Come dello stabilimento e degli impianti, egli può non essere proprietario titolare anche di questo capitale. Senza che esso intraprenditore o ditta intraprenditrice perda la titolarità dell’azienda, tutelata dalla legge, egli ha tale capitale fornito dalle banche, contro un tasso annuo di interesse.

Il borghese giunto alla sua forma ideale ci si mostra ormai spoglio e privo di proprietà immobiliare o mobiliare, privo di denaro, soprattutto privo di scrupoli. Non investe ed arrischia più nulla di suo, ma la massa dei prodotti gli resta legalmente nelle mani, e quindi il profitto. La proprietà se l’è tolta da sé, conseguendone non pochi altri vantaggi; è la sua posizione strategica che occorre strappagli. E’ posizione sociale, storica e giuridica, che cade solo con la rivoluzione politica, premessa di quella economica. La classe borghese, traverso l’apparente separazione del capitale industriale da quello finanziario, in realtà stringe i suoi legami. Il predominio delle operazioni finanziarie fa sì che i grandi sindacati controllino i piccoli e le aziende minori per successivamente inghiottirli, nel campo nazionale e internazionale.

L’oligarchia finanziaria che in poche mani concentra immensi capitali e li esporta ed investe da un paese all’altro, fa parte integrante della stessa classe imprenditrice, il centro della cui attività si sposta sempre più dalla tecnica produttiva alla manovra affaristica.

D’altra parte, con il sistema della società per azioni, il capitale della intrapresa industriale costituito da immobili, attrezzi e numerario è titolarmene di proprietà dei portatori di azioni che prendono il posto dell’eventuale proprietario immobiliare, locatore di macchina, banca anticipatrice. I canoni di fitto e noleggio e l’interesse degli anticipi prendono la forma di un sempre modesto utile o “dividendo” distribuito agli azionisti dalla “gestione” ossia dall’intrapresa. Questa è un ente a sé, che porta il capitale azionario al suo passivo di bilancio, e con manovre varie saccheggia i suoi creditori; vera forma centrale dell’accumulazione. La manovra bancaria, a sua volta con capitali azionari, compie per conto dei gruppi industriali ed affaristici questo servizio di depredamento dei piccoli possessori di moneta.

La produzione di ultra profitti ingigantisce man mano che ci si allontana dalla figura del capo d’industria, che per competenza tecnica arrecava innovazioni socialmente utili. Il capitalismo diviene sempre più parassitario, ossia invece di guadagnare e accumulare poco producendo molto e molto facendo consumare, guadagna ed accumula enormemente producendo poco e soddisfacendo male il consumo sociale.

 

 

XII - LA MODERNA IMPRESA SENZA PROPRIETA’ E SENZA FINANZA

L’appalto e la concessione, forme anticipate della evoluzione capitalista presente

 

 

Ogni nuova forma sociale, che per l’effetto dello svolgersi delle forze produttive tende a generalizzarsi, appare dapprima frammezzo alle forme tradizionali con “esempi” e “modelli” del nuovo metodo. Oggi si può studiare la forma della impresa senza proprietà analizzando l’industria delle costruzioni edilizie, e più in generale dei lavori pubblici, il cui peso proporzionale nell’economia tende ad aumentare sempre di più.

Conviene eliminare la figura del “committente”, proprietario del suolo o degli stabili in cui si opera, e che diverrà proprietario dell’opera compiuta, essendo indifferente che sia un privato, un ente, o lo Stato, ai fini della dinamica economica della “impresa assuntrice”.

L’impresa, o “appaltatore” dei lavori, presenta questi caratteri:

I – Non ha una officina, fabbrica, stabilimento proprio, ma volta a volta installa il “cantiere” e gli stessi uffici in sede posta a disposizione dal committente, il quale si addebita perfino contabilmente una cifra oer tale impianto, cantiere e costruzioni provvisorie.

II – Può avere degli attrezzi o anche macchine proprie, ma più spesso, dislocandosi in località disparate e lontane, o li noleggia o li acquista e rivende sul posto, o riesce a farsene pagare l’intero ammortamento.

III – Deve in teoria disporre di un capitale liquido da anticipare per materie prime e salari, ma va notato : a) che lo ottiene con facilità dalle banche quando provi di avere avuto “aggiudicato” un buon lavoro, dando in garanzia i mandati di pagamento; b) che nelle forme moderne molte volte per effetto delle “leggi speciali” lo Stato finanzia, anticipa, o obbliga istituti creditizi a farlo; c) che i “prezzi unitari” in base ai quali sono pagate all’impresa le partite di lavori a misura (ossia i veri prodotti dell’industria in esame, collocati e tariffati in partenza e fuori di ogni alea commerciale, mentre è poi facilissimo conseguirne aumenti in sede di contabilità), si formano aggiungendo a tutte le spese anche una partita per “interessi” del capitale anticipato e solo dopo di tutto ciò l’utile dell’imprenditore.

In questa tipica forma sussiste l’impresa, il plusvalore, il profitto, che è sempre altissimo, mentre scompare ogni proprietà di immobili, di attrezzi mobili e perfino di numerario.

Quando tutti questi rapporti sono a cura di enti pubblici e dello Stato, il capitalismo respira il migliore ossigeno, i tassi di remunerazione toccano i massimi; e la sopraspesa ricade per via indiretta su altre classi: una parte minima su quella dei possessori immobiliari e dei piccoli proprietari, in parte massima su quella non abbiente e proletaria.

Difatti l’impresa non paga tassa fondiaria perché non ha immobili, e le tasse sui movimenti mobiliari di ricchezza le sono rimborsate anche quelle in sede di “analisi dei prezzi unitari”, includendole nella partita “spese generali”.

In queste forme la classe imprenditrice nulla paga per mantenere lo Stato.

Analogo all’appalto è la concessione. Il concessionario riceve un’area, uno stabile, talvolta un impianto completo, dal pubblico ente: lo esercisce, e fa propri prodotti e guadagni. Ha l’obbligo di fare, date ulteriori opere, installazioni, o perfezionamenti e corrisponde un certo canone in denaro, in una sola volta o in rate periodiche. Dopo un certo numero di anni, sempre notevole, tutta la proprietà incluse le nuove opere e trasformazioni ritornerà all’ente concedente o demanio pubblico, cui è sempre rimasta intestata.

Il calcolo economico relativo ad un tale rapporto ne dimostra l’enorme vantaggio per il gestore, ove ben si considerino: le tasse immobiliari che non paga –l’interesse o rendita ingente che compete al valore del suolo e installazioni originarie, che non ha dovuto acquistare – le rate di “ammortamento” a compenso di usura e invecchiamento, che non deve accantonare, perché riconsegnerà impianti non nuovi ma usati e sfruttati a lungo.

La concessione presenta la quasi totale assenza di rischi su investimenti propri, e lo stesso alto profitto dell’appalto, e la caratteristica importante di potersi estendere a tutti i tipi di produzione e di fornitura delle industrie anche con sede fissa; la tendenza, in questa forma, può quindi coprire tutti i settori economici fermo restando il principio della impresa e del profitto.

Lo Stato moderno in realtà non ha mai attività economica diretta, ma sempre delegata per appalti e concessioni a gruppi capitalistici. Non si tratta di tratta di un processo col quale il capitalismo e la classe borghese siano respinti indietro da posizioni di privilegio; a quell’apparente abbandono di posizioni, corrisponde un aumento della massa di plusvalore, di profitto e di accumulazione e dello strapotere del capitale; e, per tutto questo, degli antagonismi sociali.

La massa del capitale industriale e finanziario accumulato, a disposizione della manovra di intrapresa della classe borghese, è quindi molto maggiore di quanto appare facendo la somma delle singole intestazioni titolari, sia di valori immobili che mobili, ai singoli capitalisti e possessori, e ciò è espresso dal fondamentale teorema di Marx che descrive come fatto e come produzione sociale il sistema capitalistico, da quando esso si afferma sotto l’armatura del diritto personale.

Il capitalismo è un monopolio di classe, e tutto il capitale si accumula sempre più come la dotazione di una classe dominante e non come quella di tante persone e ditte. Introdotto questo principio, gli schemi e le equazioni di Marx sulla riproduzione, l’accumulazione e la circolazione del capitale cessano di essere misteriosi e incomprensibili.

 

 

XIII – L’INTERVENTISMO E IL DIRIGISMO ECONOMICO

Il moderno indirizzo di economia controllata come maggiore soggezione dello Stato al Capitale

 

L’insieme di innumerevoli moderne manifestazioni con cui lo Stato mostra di disciplinare fatti ed attività di natura economica nella produzione, lo scambio, il consumo, è erroneamente considerato come una riduzione ed un contenimento dei caratteri capitalistici della società attuale.

La dottrina dell’astensione dello Stato dall’assumere funzioni economiche ed attuare interventi nella produzione e circolazione dei beni non è che una maschera ideologica adatta al periodo in cui il capitalismo dovette farsi largo come forza rivoluzionaria, rompendo la cerchia di tutti gli ostacoli sociali e legali che gli impedivano di esplicare la sua potenzialità produttiva.

Per il marxismo lo Stato borghese, anche appena formato, garantendo la appropriazione dei beni e dei prodotti da parte di chi dispone di denaro accumulato, codificando il diritto di proprietà individuale e la sua tutela, esercita una aperta funzione economica, e non si limita ad assistere dall’esterno ad una pretesa “naturale” spontaneità dei fenomeni dell’economia privata. In ciò è tutta la storia dell’accumulazione primitiva, culla del capitalismo moderno.

Man mano che il tipo di organizzazione capitalista invade il tessuto sociale e i territori mondiali e suscita, con la concentrazione della ricchezza e la spoliazione delle classi medie, le contraddizioni e i contrasti di classe moderni, levando contro di sé la classe proletaria già sua alleata nella lotta antifeudale, la borghesia trasforma sempre più il legame di classe tra i suoi elementi da una vantata pura solidarietà ideologica, filosofica, giuridica, in una unità di organizzazione per il controllo dello svolgimento dei rapporti sociali, e non esita ad ammettere apertamente che questi sorgono non da opinioni ma da interessi materiali.

Lo Stato quindi prende a muoversi nel campo produttivo, ed economico in generale, sempre per la spinta e le finalità di classe dei capitalisti, intraprendenti di attività economiche e iniziatori di affari a sempre più larga base.

Ogni misura economico-sociale dello Stato, anche quando arriva ad imporre in modo effettivo prezzi di derrate o merci, livello dei salari, oneri al datore di lavoro per “previdenza sociale” ecc.ecc. , risponde ad una meccanica in cui il capitale fa da motore e lo Stato da macchina “operatrice”.

Ad esempio l’imprenditore di una pubblica opera o il concessionario, poniamo di una rete ferroviaria o elettrica, sono pronti a pagare più alti salari e contributi sociali, poiché gli stessi si portano automaticamente nel calcolo dei “prezzi unitari” o delle “tariffe pubbliche”. Il profitto, essendo valutato in una percentuale sul totale, cresce, il plusvalore cresce come massa e cresce come saggio, poiché anche i salariati pagano tasse statali e usano ferrovia ed elettricità, e l’indice salario ritarda sempre rispetto agli altri.

Il sistema inoltre incoraggia sempre più le imprese le cui realizzazioni e i cui manufatti servono poco, o non servono a nulla, o sviluppano consumi più o meno morbosi e antisociali, fomentando la irrazionalità e anarchia della produzione, contro la volgare accezione che vede in esso un principio di ordinamento scientifico e una vittoria del famoso “interesse generale”.

Non si tratta di subordinazione parziale del capitale allo Stato, ma di ulteriore subordinazione dello Stato al capitale. E, in quanto si attua una maggiore subordinazione del capitalista singolo all’insieme dei capitalisti, ne segue maggior forza e potenza della classe dominante, e maggiore soggezione del piccolo al grande privilegiato.

La direzione economica da parte dello Stato risponde, più o meno efficacemente nei vari tempi e luoghi, con ondate di avanzate e ritorni, alle molteplici esigenze di classe della borghesia: scongiurare o superare le crisi di sotto e sovrapproduzione, prevenire e reprimere le ribellioni della classe sfruttata, fronteggiare i paurosi effetti economico-sociali delle guerre di espansione, di conquista, di contesa per il predominio mondiale, e lo sconvolgimento profondo dei periodi che lo seguono.

La teoria proletaria non vede nell’interventismo statale una anticipazione di socialismo, che giustifichi appoggi politici ai riformatori borghesi, e rallentamenti della lotta di classe; considera lo Stato borghese politico-economico un nemico più sviluppato, agguerrito e feroce dell’astratto Stato puramente giuridico, e ne persegue la distruzione, ma non oppone a questo moderno atteso svolgimento del capitalismo rivendicazioni liberiste o libero-scambiste, o ibride teorie basate sulle virtù delle unità produttive, autonome da collegamenti sistematici centrali, e collegate nello scambio da intese contrattuali libere (sindacalismo, economia dei comitati di azienda).

 

 

XIV – CAPITALISMO DI STATO

La proprietà statale l’impresa senza proprietà e senza finanza

 

 

La proprietà del suolo, degli impianti e del denaro nella forma statale è accumulata a disposizione delle imprese capitalistiche private di produzione o di affari, e della loro iniziativa.

Distinzione fondamentale nelle discriminazione della economia capitalistica moderna è quella tra: proprietà, finanza, intrapresa. Questi tre fattori che si incontrano in ogni azienda produttiva possono avere diversa o unica pertinenza e titolarità.

La proprietà riguarda gli immobili in cui lo stabilimento ha sede: terreni, costruzioni, edifizi, con carattere immobiliare. Produce un canone di affitto che, depurato delle spese “dominicali”, dà la rendita. Possiamo estendere questo fattore anche alle macchine fisse, agli impianti o ad altre opere stabili senza alterare la distinzione economica, ed altresì a macchine mobili, o attrezzi diversi, col solo rilievo che questi ultimi sono di rapido logorio ed esigono un più frequente rinnovo con una rilevante spesa periodica ( ammortamento) oltre che una costosa manutenzione. Ma qualitativamente è lo stesso per le case e gli edifizi e anche per i fondi agrari, essendo respinta dai marxisti la tesi che esista una rendita base propria della terra, che la fornisca al di fuori dell’opera umana. Quindi elemento primo: proprietà che produce reddito netto.

Il secondo elemento è il capitale liquido di esercizio: con esso vanno ad ogni ciclo acquistate le materie prime, e pagati i salari dei lavoratori, oltre a stipendi, spese generali di ogni genere e tasse.

Questo denaro può essere messo fuori da uno speciale finanziatore, privato o banca nel caso generale, che non si occupa di altro che di ritirare un interesse annuo a dato saggio. Chiamiamo tale elemento per brevità finanza e la sua remunerazione interesse.

Il terzo caratteristico elemento è l’impresa. L’imprenditore è il vero fattore organizzativo della produzione, che fa i programmi, sceglie gli acquisti e resta arbitro dei prodotti cercando di collocarli sul mercato alle migliori condizioni e incassa tutto il ricavo delle vendite. Il prodotto appartiene all’imprenditore. Col suo ricavo si pagano tutte le varie anticipazioni dei precedenti elementi: canoni di fatto, interessi di capitali, costi di materie prime, manodopera ecc..Resta tuttavia in generale un margine che si chiama utile di intrapresa. Quindi terzo elemento: impresa, che produce profitto.

 

La proprietà ha il suo valore che si chiama patrimonio, la finanza il suo che si denomina capitale (finanziario) e infine anche l’impresa ha un valore distinto e alienabile derivante, come suol dirsi, se non da segreti e brevetti di lavorazione tecnica, da “accorsamento”, “ avviamento”, “cerchia di clientela”, e che si considera legato alla “ditta” o “ragione sociale”.

Ricordiamo anche che per Marx alla proprietà immobiliare corrisponde la classe dei proprietari fondiari, al capitale di esercizio e di impresa la classe dei capitalisti imprenditori. Questi sono poi distinti in banchieri o finanzieri ed imprenditori veri e propri: Marx e Lenin mettono in totale evidenza l’importanza dei primi col concentrarsi dei capitali e delle imprese, e la possibilità di urti di interessi tra i due gruppi.

Per bene intendere che cosa si voglia indicare con la espressione di Stato capitalista e di capitalismo di Stato, e con i concetti di statizzazione, nazionalizzazione e socializzazione, va fatto riferimento alla assunzione da parte di organi dello Stato di ciascuna delle tre funzioni essenziali prima distinte.

Non dà luogo a grave contrasto, anche con gli economisti tradizionali, che tutta la proprietà fondiaria potrebbe divenire statale senza che con ciò si esca dai limiti del capitalismo e senza che i rapporti tra borghesi e proletari abbiano a mutarsi. Sparirebbe la classe dei proprietari di immobili, e questi, in quanto indennizzati in numerario dallo Stato espropriatore, investirebbero il denaro divenendo banchieri o imprenditori.

Nazionalizzazione della terra o delle aree urbane non sono dunque riforme anticapitalistiche: ad esempio già attuata in Italia è la statalizzazione del sottosuolo. L’esercizio delle aziende si farebbe in affitto o concessione, come avviene per le proprietà demaniali, miniere ecc. (esempio dei porti, docks).

Ma lo Stato può assumere non solo la proprietà di impianti fissi ed attrezzature diverse, bensì anche quella del capitale finanziario, inquadrando ed assorbendo le banche private.

Questo processo è completamente sviluppato in tempo capitalista prima di riservare la stampa della moneta cartacea che lo Stato garantisce a una sola banca, poi coi cartelli obbligatori di banche e la loro disciplina centrale. Lo Stato può quindi più o meno direttamente rappresentare in un’azienda non solo la proprietà ma anche il capitale liquido.

Abbiamo quindi gradatamente: : proprietà privata, finanza privata, impresa privata; proprietà di Stato, finanza ed impresa privata; proprietà e finanza di Stato, impresa privata.

Nella forma successiva e completa, lo Stato è titolare anche della impresa: o espropria ed indennizza il titolare privato o, nel caso delle società per azioni, acquista tutte le azioni.

Abbiamo allora l’azienda di Stato in cui con denaro di questo sono fatte tute le operazioni di acquisto di materie e pagamenti di opera, e tutto il ricavo della vendita dei prodotti va allo Stato stesso. In Italia sono esempio il monopolio del tabacco o le Ferrovie dello Stato.

Tali forme sono note da tempo antico e il marxismo ha ripetutamente avvertito che in esse non vi è carattere socialista. Non è meno chiaro che la ipotetica integrale statizzazione di tutti i settori dell’economia produttiva non costituisce l’attuazione della rivendicazione socialista, come ripete tanto spesso la volgare opinione.

Un sistema in cui tute le aziende di lavoro collettivo fossero statizzate e gestite dallo Stato si chiama capitalismo di Stato, ed è cosa ben diversa dal socialismo, essendo una delle forme storiche del capitalismo passato , presente e futuro. Differisce essa dal cosiddetto “socialismo di Stato”?. Con la dizione di capitalismo di Stato si vuole alludere all’aspetto economico del processo e alla ipotesi che rendite, profitti ed utili passino tutti per le casse statali. Con la dizione di socialismo di Stato (sempre combattuta dai marxisti e considerata in molti versi come reazionaria perfino rispetto alle rivendicazioni liberali borghesi contro il feudalesimo) ci si riporta all’aspetto storico: la sostituzione della proprietà dei privati con la proprietà collettiva avverrebbe senza bisogno della lotta delle classi né del trapasso rivoluzionario del potere, ma con misure legislative emanate dal governo: nel che è la negazione teorica e politica del marxismo. Non può esservi socialismo di Stato sia perché lo Stato oggi non rappresenta la generalità sociale ma la classe dominante ossia la capitalista, sia perché lo Stato domani rappresenterà sì il proletariato, ma appena l’organizzazione produttiva sarà socialista non vi sarà più né proletariato nè Stato, ma società senza classi e senza Stato.

Dal lato economico, lo Stato capitalista è forse la prima forma da cui si mosse il moderno industrialismo. La prima concentrazione di lavoratori, di sussistenze, di materie prime, di attrezzi non era possibile ad alcun privato, ma era solo alla portata del pubblico potere: Comune, Signoria, Repubblica, Monarchia. Un esempio evidente è l’armamento di navi e flotte mercantili, base della formazione del mercato universale, che per il Mediterraneo parte dalle Crociate, per gli oceani dalle grandi scoperte geografiche della fine del secolo XV. Questa forma iniziale può riapparire come forma finale del capitalismo e ciò è tracciato nelle leggi marxiste della accumulazione e concentrazione. Riunite in masse potenti dal centro statale, proprietà, finanza e dominio del mercato sono energie tenute a disposizione della iniziativa aziendale e del dominante affarismo capitalista, soprattutto con i chiari fini della sua lotta contro l’assalto del proletariato.

Per stabilire quindi la incolmabile distanza tra capitalismo di Stato e socialismo, non bastano queste due correnti distinzioni:

a) che la statizzazione delle aziende sia non totale ma limitata ad alcune di esse, talune volte a fine di esaltare il prezzo di mercato a benefizio dell’organismo statale, talune altre a fine di evitare rialzi di prezzi eccessivi e crisi politico-sociali;

b) che lo Stato gestore delle poche o molte aziende nazionalizzate sia tuttavia lo storico Stato di classe capitalista, non ancora rovesciato dal proletariato, ogni politica del quale segue gli interessi controrivoluzionari della classe dominante.

A questi due importanti criteri occorre aggiungere gli altri seguenti, non meno importanti per concludere che si è in pieno capitalismo borghese:

c) i prodotti delle aziende statizzate hanno tuttavia il carattere di merci, ossia sono immessi sul mercato ed acquistabili con denaro da parte del consumatore;

d) i prestatori d’opera sono tuttavia remunerati con moneta, restano dunque lavoratori salariati;

e) lo Stato gestore considera le varie imprese come separate aziende ed esercizi, ciascuna con proprio bilancio di entrata ed uscita computata in moneta nei rapporti con altre aziende di Stato e in ogni altro, ed esige che tali bilanci conducano ad un utile attivo.

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°03 - 2009)
  

INTERNATIONAL COMMUNIST PARTY PRESS
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