DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Dalla Riunione Generale dell'1-2-3/11/2019

Nei giorni 1-2-3 novembre 2019, con la partecipazione di compagni di lingua italiana, tedesca e francese e con l’organizzazione logistica della sezione di Bologna, s’è tenuta l’annuale Riunione Generale di Partito. Dopo aver esaminato e discusso lo stato dell’organizzazione con i rapporti dalle varie sezioni e ribaditi i suoi compiti e i suoi limiti attuali, si sono valutate le dinamiche economiche e politiche nei rapporti fra le diverse borghesie, organizzate nei principali Stati imperialisti, e fra queste, il variegato mondo dei ceti intermedi e l’insieme del proletariato. Abbiamo poi ripreso uno dei temi fondamentali di preparazione politica per chi come noi si è arruolato nel duro lavoro di restauro dell’organo rivoluzionario di classe. Di questo semi-lavorato, di questa traccia espositiva, che è un invito a tutti i compagni a non considerare mai dogmaticamente concluse le esperienze del Partito nell’ambito generale della lotta di classe, cominciamo a esporre una prima parte.

 

Questioni di tattica

Usiamo indicare come ‘questioni di tattica’ quelle che sorgono e si svolgono storicamente nei rapporti tra il proletariato e le altre classi, il Partito proletario e le altre organizzazioni proletarie, e tra essi [proletariato e partito] e gli altri partiti borghesi e non proletari”

Mentre nel capitolo “Borghesi e Proletari” il Manifesto del 1848 descrive lo sviluppo storico oggettivo della “moderna lotta di classe” e le caratteristiche a loro volta oggettive delle classi in lotta, nel capitolo “Proletari e Comunisti” descrive gli obbiettivi e il percorso che, da quello sviluppo, caratterizzano l’azione soggettiva della classe proletaria: si assume la responsabilità della direzione, della guida del processo rivoluzionario. L’azione del Partito determina il passaggio della classe proletaria da informe classe per il capitale (classe in sé) ad attivo soggetto rivoluzionario (classe per sé). Il Partito esprime ed impone al proletariato una soggettività che supera la pur necessaria lotta economica e, al tempo stesso, la banalità di una lotta politica che si limiti al riconoscimento di interessi di classe compatibili con gli equilibri dinamici delle forme in cui si esprime il modo di produzione capitalistico. La soggettività rivoluzionaria espressa dal Partito Comunista rompe il limite stesso delle condizioni di esistenza del proletariato. Leggiamo:

“I comunisti si distinguono dagli altri partiti proletari solo per il fatto che da una parte essi mettono in rilievo e fanno valere gli interessi comuni, indipendenti dalla nazionalità dell’intero proletariato nelle varie lotte nazionali dei proletari; e dall’altra parte per il fatto che sostengono costantemente l’interesse del movimento complessivo, attraverso i vari stadi di sviluppo percorsi dalla lotta fra proletariato e borghesia.

Quindi in pratica i comunisti sono la parte progressiva più risoluta dei partiti operai di tutti i paesi, e quanto alla teoria essi hanno il vantaggio sulla restante massa del proletariato, di comprendere le condizioni, l’andamento e i risultati generali del movimento.

“Lo scopo immediato dei comunisti è lo stesso di tutti gli altri partiti proletari: formazione del proletariato in classe, abbattimento del dominio della borghesia, conquista del potere politico da parte del proletariato.

Le proposizioni teoriche dei comunisti non poggiano affatto su idee, su principi inventati o scoperti da questo o quel riformatore del mondo. Esse sono semplicemente espressioni generali di rapporti di fatto di una esistente lotta di classi, cioè di un movimento storico che si svolge sotto i nostri occhi.”

Quel che ci distingue, e che caratterizza così la nostra classe, è l’individuazione del punto di arrivo del processo rivoluzionario e nello stesso tempo il metodo e il percorso con cui giungere al punto di arrivo. Anzi, lo scontro di classe, il divenire di rivoluzione e controrivoluzione, ci hanno insegnato che lo stesso punto di arrivo può essere identificato solo con il metodo e il percorso con cui arrivarci, così come solo il modo con cui ci si prepara (o meglio: con cui si prepara la classe) alla rivoluzione determina l’esito positivo della rivoluzione stessa.

Tutto il capitolo “Proletari e Comunisti” presenta punto per punto gli obiettivi della rivoluzione comunista, indicando un piano strategico che impone alla classe un metodo tattico e un atteggiamento di assoluto antagonismo con la società borghese.

Il testo semilavorato del Rapporto Politico a questa R.G. non farà altro che ripetere a tutti noi la necessità e la difficoltà di questo metodo, di questa tattica, che si riassumono nella dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Nel campo delle esperienze di lotta dei comunisti per affermare, nella attività di tutti i giorni, come si agisce tra le fila della nostra classe per sviluppare una corretta preparazione rivoluzionaria, il “Che fare” del 1902 rappresenta una tappa fondamentale. Come tutti i lavori di partito, non è un testo di facile lettura e soprattutto non è un testo che fornisca una ricetta per una soluzione pratica, manualistica, per i compiti che i militanti del Partito Comunista devono svolgere. E’ un testo a volte prolisso e ripetitivo che si basa su citazioni e citazioni di avversari e “distorsori”, dove i “punti di dissenso” sembrano questioni di lana caprina… Insomma, non è un testo la cui assimilazione passi una volta per tutte nella testolina di ciascun militante, attraverso una lettura (o studio) individuale. E’, per di più, un testo la cui “citazione” è caratteristica della maggior parte di gruppi e personaggi politici che lavorano proprio nella direzione opposta alla preparazione rivoluzionaria: burocrati dell’opportunismo, operaisti leninisti, economisti di ritorno e sindacalisti-di-classe, giurano sul “Che fare”, su questa o quella frase ad effetto, e poi nella pratica politica fanno l’esatto opposto. Noi invece cerchiamo di maneggiarlo con la cura e la cautela con cui si deve maneggiare un’arma complessa e letale per il nemico. A dire il vero, per assimilare questa esperienza, non basterebbe nemmeno un’intera R.G.! Comunque, per il nostro argomento, le 50 (!) pagine del capitolo “Politica tradunionista e politica socialdemocratica” sono un punto indispensabile.

L’argomento di questo capitolo sviluppa la questione delicatissima e importantissima del rapporto che i comunisti devono intraprendere con quei proletari che riescono ad organizzarsi per difendere le proprie condizioni di lavoro, con l’obiettivo di spostarne qualcuno su posizioni politiche non solo socialisteggianti, ma antagoniste e rivoluzionarie. Leggiamo:

“A tutti è noto che la grande estensione e il rafforzamento della lotta economica degli operai russi hanno proceduto di pari passo con lo sbocciare di una ‘letteratura’ di denunce economiche (di fabbrica e di mestiere). Queste denunce possono servire come punto di partenza e parte integrante della attività socialdemocratica [1](a condizione di essere convenientemente utilizzate dalla organizzazione dei rivoluzionari), ma possono anche (e, se ci si sottomette alla spontaneità, devono) sboccare in una lotta ‘puramente tradunionista’ e in un movimento operaio non socialdemocratico. La socialdemocrazia dirige la lotta della classe operaia non soltanto per ottenere condizioni vantaggiose nella vendita della forza lavoro, ma anche per abbattere il regime sociale che costringe i nullatenenti a vendersi ai ricchi. La socialdemocrazia rappresenta la classe operaia non nei suoi rapporti con un determinato gruppo di imprenditori, ma nei suoi rapporti con tutte le classi della società contemporanea, con lo Stato, come forza politica organizzata. E’ dunque evidente che i socialdemocratici non soltanto non possono limitarsi alla lotta economica, ma non possono nemmeno ammettere che l’organizzazione di denunce economiche sia la parte prevalente della loro attività.

“Dobbiamo occuparci attivamente dell’educazione politica della classe operaia, dello sviluppo della sua coscienza politica. Ma ci si chiede: in che cosa deve consistere l’educazione politica? Ci si può limitare a diffondere l’idea che la classe operaia è ostile all’autocrazia? Certamente no. Non basta spiegare agli operai la loro oppressione politica (allo stesso modo che non basta spiegare il contrasto dei loro interessi con quelli dei padroni). Bisogna fare dell’agitazione a proposito di ogni manifestazione concreta di questa oppressione (come abbiamo fatto per le manifestazioni concrete della oppressione economica). E poiché questa oppressione si esercita sulle più diverse classi della società, poiché si manifesta nei più diversi campi della vita e dell’attività professionale, civile, privata, familiare, religiosa, scientifica, ecc ., non è forse evidente che non adempiremmo il nostro compito di sviluppare la coscienza politica degli operai se non ci incaricassimo di organizzare la denuncia politica della autocrazia sotto tutti i suoi aspetti? Ma per fare dell’agitazione sulle manifestazioni concrete dell’oppressione non è forse necessario denunziare queste manifestazioni (allo stesso modo che per condurre l’agitazione economica bisogna denunziare gli abusi commessi nelle fabbriche)?”.

Sono parole frutto dell’esperienza di una avanguardia comunista che, pur operando nella Russia zarista del 1902, ha come riferimento l’esperienza di tutto il movimento socialista internazionale e dalla Russia combatte contro la deriva conservatrice e riformista che si sta impadronendo di tutti i partiti della IIa Internazionale proprio grazie alla sistematica limitazione della attitudine politica del proletariato alla immediatezza dei successi della lotta economica. Dalla “arretrata Russia”, l’avanguardia comunista, proprio in una situazione in cui c’è ancora spazio per una alleanza con una borghesia (e il suo codazzo di mezze classi) ancora imprigionata nelle agonizzanti forme dell’autocrazia, ha la lucidità di indicare un metodo e dei contenuti attraverso i quali non solo denunciare, ma contrastare l’antinomia di “Riforma sociale o Rivoluzione”. Da qui, una esperienza che per i comunisti indica un’irrinunciabile tattica per accompagnare la nostra classe nella preparazione rivoluzionaria. La lotta economica esiste come fatto etologico nella vita dei proletari ed è la base su cui sviluppare una azione politica rivoluzionaria proprio perché l’esito naturale della lotta economica è il necessario compromesso che permette alla classe dei proletari di vivere e sopravvivere nel quadro del più conflittuale modo di produzione capitalistico. La parte più intelligente della borghesia proprio in quegli anni (gli anni del trapasso alla fase imperialista delle forme di produzione borghesi) comprende la necessità di guidare la dinamica sindacale verso la conservazione del sistema e i quadri delle mezze classi intellettualoidi, parassitando i bisogni reali del proletariato, si propongono come i nuovi funzionari dell’impersonale, elefantiaco, moderno stato imperialista. Così si capisce l’affermazione “l’elevazione dell’attività delle masse operaie è possibile soltanto se non ci limitiamo all’agitazione politica sul terreno economico. E una delle condizioni essenziali per il necessario ampliamento dell’agitazione politica è l’organizzazione di denunzie politiche in tutti i campi della vita”.

Diventa dunque più chiara la consegna/affermazione che la “coscienza politica” viene portata dall’esterno dell’immediato contrasto tra “padroni” e “operai”. Viene sviluppata dall’azione dei militanti del Partito sulla base del conflitto immediato capitale-lavoro, allargandolo alla dimensione più generale sociale, istituzionale, politica, da cui è generato.

“La coscienza della classe operaia non può diventare vera coscienza politica se gli operai non si abituano a reagire contro ogni abuso, contro ogni manifestazione dell’arbitrio e dell’oppressione, della violenza e della soperchieria, qualunque sia la classe che ne è colpita, e a reagire da UN PUNTO DI VISTA SOCIALDEMOCRATICO e non da un punto di vista qualsiasi.” Attenzione a questa ultima affermazione: il PUNTO DI VISTA SOCIALDEMOCRATICO! E’ una espressiva sintesi dell’indispensabile catena della preparazione rivoluzionaria che reclama il Partito: Teoria-Principi-Programma-Tattica-Organizzazione.

“La coscienza delle masse operaie non può essere una vera coscienza di classe se gli operai non imparano a osservare, sulla base dei fatti e degli avvenimenti politici concreti e attuali, ognuna delle altre classi sociali in tutte le manifestazioni della vita intellettuale, morale e politica; se non imparano ad applicare in pratica l’analisi e il criterio materialistico a tutte le forme di attività e di vita di tutte le classi, strati e gruppi della popolazione. Chi induce la classe operaia a rivolgere la sua attenzione, il suo spirito di osservazione e la sua coscienza esclusivamente, o anche principalmente, su se stessa, non è un socialdemocratico perché per la classe operaia la conoscenza di se stessa è indissolubilmente legata alla conoscenza esatta dei rapporti reciproci di tutte le classi della società contemporanea, e conoscenza non solo teorica, anzi non tanto teorica quanto ottenuta attraverso l’esperienza della vita politica [ecco un bello schiaffone agli innamorati della statistica sociologica: dinamica della lotta delle classi contro statica della composizione  delle classi!]. Ecco perché la predicazione dei nostri economisti, i quali sostengono che la lotta economica è il mezzo più largamente applicabile per trascinare le masse nel movimento politico è così profondamente reazionaria nei risultati pratici. Per diventare socialdemocratico, l’operaio deve avere una chiara visione della natura economica, della fisionomia politica e sociale del grande proprietario fondiario e del prete, del grande funzionario e del contadino, dello studente e del vagabondo, conoscerne i lati forti e quelli deboli, saper discernere il significato delle formule e dei sofismi di ogni genere con i quali ogni classe e ogni strato sociale maschera i propri appetiti egoistici e la propria vera ‘sostanza’, saper distinguere quali interessi le leggi e le istituzioni rappresentano. […] Queste denunce politiche relative a tutte le questioni della vita sociale sono la condizione necessaria fondamentale.”

A questo punto, bisogna però chiarire bene la distinzione tra una coscienza politica genericamente operaia e la coscienza politica che i comunisti devono coltivare, quella rivoluzionaria.

“Tutti riconoscono che è necessario sviluppare la coscienza politica della classe operaia. Ma come? E che occorre per farlo? La lotta economica ‘spinge’ gli operai a porsi soltanto i problemi che concernono i rapporti tra governo e classe operaia. Perciò per quanti sforzi facciamo per ‘dare alla stessa lotta economica un carattere politico’, non potremo mai, mantenendoci in questi limiti, sviluppare la coscienza politica degli operai FINO AL LIVELLO DELLA POLITICA SOCIALDEMOCRATICA, perché i limiti stessi sono troppo ristretti. [Ecco] l’errore capitale di tutti gli economisti: la convinzione che si può sviluppare la coscienza politica di classe degli operai, per così dire, dall’interno, con la lotta economica, partendo cioè solo (o almeno principalmente) da tale lotta, basandosi solamente (o almeno principalmente) su tale lotta”.

Questo tipo di coscienza – con l’organizzazione politica che ne consegue – arriva alla pratica dei cosiddetti partiti “operai” che si limitano, nelle lotte con i “governi”, a reclamare il riconoscimento di interessi precisi e particolari che dovrebbero poter essere soddisfatti (in maniera stabile!!!) nel quadro della stabilità delle forme politiche borghesi… Mentre sbraitano contro questo o quel governo “antioperaio”, non fanno altro che adeguarsi alla costruzione ideologica borghese secondo cui lo Stato sarebbe un organo che possa mediare tra le classi per garantire agli “operai” un adeguato benessere, nel quadro della comune prosperità nazionale: pronti perfino a sostenere un governo “amico degli operai” e ad entrare in un “governo” e farlo così diventare… un “governo operaio”! La coscienza politica, per la quale noi comunisti lavoriamo, è un’altra cosa: il nemico non è questo o quel governo, il nemico è il regime borghese…

E torniamo al 1902, al “Che fare?”, solo incidentalmente russo.

“La coscienza politica di classe può essere portata all’operaio solo dall’esterno, cioè dall’esterno della lotta economica, dall’esterno della sfera dei rapporti tra operai e padroni. Il solo campo dal quale è possibile attingere questa coscienza è il campo dei rapporti di tutte le classi e di tutti gli strati della popolazione con lo Stato e con il governo, il campo dei rapporti reciproci di tutte le classi. Perciò, alla domanda: che cosa fare per dare agli operai cognizioni politiche? non ci si può limitare a dare una sola risposta, a dare quella risposta che nella maggior parte dei casi accontenta i militanti, soprattutto quando essi pencolano verso l’economismo, e cioè ‘andare tra gli operai’. Per dare agli operai cognizioni politiche, i socialdemocratici debbono andare fra tutte le classi della popolazione, devono inviare in tutte le direzioni i distaccamenti del loro esercito. […] Dobbiamo ‘andare tra tutte le classi della popolazione’ come teorici, come propagandisti, come agitatori e come organizzatori [della politica comunista]”.

Dunque il Partito e il suo compito, il suo dovere: organizzare per caratterizzare la nostra classe. Determinarla nelle sue lotte, tra le sue fila, a partire dalla lotta per conseguire interessi immediati. Sostenere e difendere gli interessi, l’indipendenza, della nostra classe (portare “il punto di vista comunista”) nei movimenti “popolari”, interclassisti, suscitati dai contrasti sociali ed economici del regime borghese. Nonostante e contro l’oppressione della controrivoluzione.

(continua nel prossimo numero)

 

[1] Ricordiamo ai lettori che nel 1902 il termine “socialdemocratico”, nella sua ecumenica confusione, veniva rivendicato dai rivoluzionari come analogo a “comunista”: rivoluzionario, appunto.

 

Partito comunista internazionale

                                                                           (il programma comunista)

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