DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Un vecchio slogan, gridato e rimbalzato per le strade e le piazze italiane a cavallo degli anni Ottanta-Novanta del secolo scorso (1), recitava: “Giunte di destra, giunte di sinistra, chi sgombra la casa è sempre un fascista”.

Parola d’odine ingenua (e ignorante, visto che il “demonio” autoritario fascista, nel suo delirio riformatore, aveva predisposto perfino un “servizio” di alloggio per gli sfrattati in attesa di sistemazione in quelle che già allora si chiamavano case popolari) di un movimento ultrademocratico, a volte perfino anarchico, che comunque denunciava (e con le occupazioni cercava di soddisfare) il bisogno di abitazioni e di luoghi di aggregazione sociale e cercava di opporsi a quel processo di “gentrificazione” dei quartieri popolari, soprattutto quando il modo di produzione capitalistico, esploso in tutta la sua violenza, caratterizzava e caratterizza lo “sviluppo urbano” (smisurato e mai vissuto durante i modi di produzione antecedenti: dal 2017 più del 51% della popolazione mondiale vive in aggregazioni metropolitane).

 

Abbiamo ormai concluso il primo ventennio del 2000; l’utopia normalizzatrice borghese, del post-moderno, della ricchezza postindustriale alla portata di tutti, grazie ai titoli di Stato della finanza del “terziario avanzato” e (appunto) della speculazione sulla casa di proprietà, è esplosa come un brutto fuoco d’artificio nella “crisi” del 2008. Tutte le bollicine della “Milano da bere” sono evaporate… e nessuno dei problemi della società civile è stato superato.

La casa è ancora un bisogno che ogni nuova speculazione edilizia non soddisfa e peggiora; per di più la crisi (sovrapproduzione di merci e di capitali, che tra alti e bassi, riprese e stagnazioni, congiunture ed “economie 2.0” procede dal 1975 come una ruspa) sta generando anche, e soprattutto nei grassi e opulenti paesi di più antico capitalismo, nuove generazioni di proletari poveri, che, consumati i “lasciti” della generazione precedente (ottenuti strappando qualche briciola da quella montagna di ricchezza capitalistica da loro prodotta) avranno l’unica alternativa di sopravvivere di lavori mal pagati, di carità, di delinquenza.

Non ci sono più “giunte di destra” o “giunte di sinistra” ed è rifluito (e dimenticato) il grande movimento, che riusciva ad occupare interi stabili e quartieri nella stagione delle lotte sindacali del secolo scorso ( chi ricorda a Milano via Tabacchi, Viale Famagosta, Calvairate, il Lorenteggio… e a Roma la battaglia di san Basilio?...); ma alla chetichella, in un tessuto urbanistico e in un patrimonio abitativo ”pubblico” amministrato dalla più vergognosa disattenzione burocratica, le occupazioni abitative, a macchia di leopardo, sono proseguite. Spesso nel peggiore dei modi come quando qualche proletario povero, prepotente e delinquente – e quindi pronto a diventare un intraprendente imprenditore – diventa un agente “immobiliare” illegale (spesso, maschio o femmina che sia, a capo di una vera e propria impresa – altra fedele interpretazione dell’ideologia della classe dominante), che, speculando sul bisogno di altri proletari disperati, “assegna” gli appartamenti vuoti e riscuote la pigione. Niente di strano, il modo di produzione capitalistico, nella contemporanea fase imperialista, genera e si nutre di un’economia grigia, illegale più violenta del normale, che nasce e muove i primi passi nella gestione dei traffici illegali veri e propri (droghe varie, contrabbando, movimentazioni di esseri umani migranti, armi, animali “protetti”, prostituzione…); cresce e prospera con più alti profitti nel sistema legalissimo degli “appalti e subappalti” che rotolano a cascata dal sistema tipico delle “commesse” dello Stato (ormai capitalista collettivo) da cui emanano i “comitati d’affari” con consiglieri più o meno presentabili.

Legale e illegale in superficie si contrappongono, ma in realtà si intrecciano. Ed entrambi concorrono, soprattutto nei rioni più popolari, nel controllare territori e persone (in questo momento storico di pressione controrivoluzionaria inoltre contribuiscono a rallentare la ripresa di un movimento proletario indipendente). Contribuiscono a rallentare, ma non possono impedire che comunque, seppure ancora ultraminoritari, alcuni proletari cerchino di prendersi una casa fuori e contro il controllo di delinquenti e istituzioni. Azioni queste intollerabili oggi, quando, non ci stanchiamo di ripeterlo, la “crisi” sta erodendo i margini economici con cui il riformismo (fascista, socialcristiano, comunista, socialista, comunque nazionalsocialista...), contribuendo all’esercizio della dittatura sulla nostra classe: emergono infatti le potenzialità (ma solo le potenzialità!!!) di una ripresa di un autentico antagonismo sociale. Meglio reprimere subito … e con intelligenza. Infatti l’apparato giudiziario si muove non solo e  soltanto per “sfrattare” (e comminare le sanzioni del caso…) l’incauta famiglia proletaria (su cui vola poi la rapace colomba della carità, per ricollocarla come si conviene, obbediente e grata) quanto e soprattutto per rompere ogni possibile forma di organizzazione di solidarietà e lotta sociale. Senza far perdere la faccia ai politici che amministrano in tandem attraverso la nomina e la delega ad “appositi enti” il patrimonio edilizio pubblico (Giunta di sinistra) (!) al Comune di Milano, Giunta di destra (!) alla Regione Lombardia), Prefettura, Questura e Pretura applicano in modo ineccepibile la legge (quella famosa “uguale per tutti”…): nel giro di un anno hanno colpito quei collettivi che aiutavano e cercavano di organizzare le occupazioni, equiparandoli ai delinquenti di cui sopra “ex articoli C.P.” che sanzionano “minacce, violenza, concorso nei reati, danneggiamenti con profitto et similia”.

Nota

  1. Il periodo che va dallo “scampato pericolo” degli “anni di piombo” alla sequela di ridicole riforme elettorali a cui i professionisti della politica sono stati costretti dopo l’esplosione dei vecchi compromessi tra i partiti , nati dalle macerie del secondo macello interimperialista e prosperati nel mitico e tramontato boom economico, nella gestione normalmente corrotta della cosa pubblica.

 

Il nostro lavoro

In occasione delle purtroppo flebili reazioni di protesta, abbiamo diffuso il volantino seguente, che ha collocato questi episodi nel più generale contesto di repressione delle prime lotte di resistenza economica e sociale che si svolgono al di fuori e contro il sindacalismo corporativo e nazionale:

 

Reagire alla criminalizzazione delle lotte di difesa economica e sociale

Mentre dalla fogna del politicantismo continuano a levarsi miasmi puzzolenti e inquinanti, lo Stato non cessa di perseguitare innanzitutto i lavoratori che si oppongono allo sfruttamento a partire dai luoghi e dalle condizioni di lavoro, nei quartieri dove vivono e tutti coloro che li aiutano e li organizzano nelle lotte di difesa economica e sociale.

Le vigorose lotte dei lavoratori (dalla logistica agli altri settori dove vige l’ignobile sistema degli appalti, delle cooperative, del lavoro interinale ecc.), liberatisi dall’ingannevole tutela dei sindacalisti di regime, sono state (e sono) quotidianamente contrastate dall’opera congiunta di magistratura, forze dell’ordine e mezzi di (dis)informazione che hanno fatto e (fanno) ricorso a tutte le pratiche più vomitevoli pur di calunniare, intimidire, reprimere: ora la medesima pratica si abbatte su collettivi e gruppi che nei rioni più popolari aiutano tutti coloro che hanno bisogno di un tetto ad un prezzo accessibile.

“Criminalizzare le lotte e chi le sostiene” “criminalizzare i proletari che resistono e chi li aiuta”: questa è la parola d’ordine della classe al potere di qualunque colore sia il governo che la rappresenta in un armonioso scambio di ruoli che garantisce in ogni caso il dominio borghese, democraticamente dittatoriale o dittatorialmente democratico.

Esprimiamo dunque a tutti/e le/i militanti caduti nelle più diverse trappole giudiziarie la nostra solidarietà attiva e operante per quanta poca o molta distanza politica ci possa separare perché comunque è una distanza infinitesimale se confrontata con l’abisso che ci separa tutti dalla borghesia, il suo regime e la sua macchina repressiva, lo Stato.

In prospettiva, non solo per difendersi da questo nemico, ma per combatterlo, non basta il sacrosanto spontaneo antagonismo sociale, è necessaria una lotta politica rivoluzionaria radicale e duratura. E’ necessario organizzarsi nel Partito Comunista Internazionale fondato su teoria, principi, programma, tattica, organizzazione invarianti e provati in due secoli di incessanti battaglie politiche contro tutti i nemici e i falsi amici delle classi sfruttate e oppresse.

 

Non abbiamo fatto a tempo a diffondere il volantino che, a cascata, sono piovute altre denunce analoghe. Per esempio: i 100mila euro di multa a lavoratori e sindacalisti per gli scioperi alla New Gel di Genova dell’estate scorsa; i provvedimenti amministrativi comminati a Prato a seguito delle lotte dei lavoratori della Tintoria Superlativa; le denunce “per estorsione” ai lavoratori della Penny Market di Desenzano del Garda, a proposito delle quali abbiamo diffuso il seguente comunicato:

 

Solidarietà ai lavoratori della Penny Market di Desenzano del Garda e degli attivisti del S.I. Cobas

All’alba del 9 gennaio, diversi lavoratori e attivisti sindacali impegnati in una lotta per la difesa del posto e delle condizioni di lavoro sono stati condotti in Questura con l’accusa di « estorsione » ai danni dei loro « datori di lavoro », per aver scioperato e picchettato i magazzini. Questa è l’ennesimo schifoso tentativo di reprimere le lotte sindacali, cercando di trasformarle in questioni penali ! Diciamolo ancora e sempre forte e chiaro : lo sciopero non è un « diritto » graziosamente concesso ma un’arma che i lavoratori devono usare per difendersi. E’ il padronato che causa danni ai lavoratori ! Quando i lavoratori interrompono la produzione non fanno nessun « ricatto » : si difendono, e fanno bene a causare un danno economico ai padroni che li sfruttano ogni giorno.

Tutto ciò avviene in regime di democrazia, nella bella Repubblica nata dalla Resistenza !

 

Partito comunista internazionale

                                                                           (il programma comunista)

INTERNATIONAL COMMUNIST PARTY PRESS
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