DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Un passo innanzi, sulla via della collaborazione, è stato compiuto e ratificato solennemente dalla decisione del Consiglio Nazionale del P.S. Ed una nuova prova dell’abilità estrema con cui i riformisti conducono la loro azione duplice di conquista dell’organizzazione interna del partito e della sua direzione da una parte, e dall’altra di avvicinamento alla realizzazione dei loro postulati e delle loro aspirazioni di entrata nel governo, è stata offerta in contrasto stridente colla insensibile nullità tattica e dottrinale dei massimalisti.

L’on. D’Aragona, assunto alla carica di leader dell’opposizione riformista in grazia del suo posto nella gerarchia confederale e non già perché eccella fra i numerosi membri della troupe riformista, ha negato recisamente di nutrire il pensiero insano di spezzare e scindere le forze del partito socialista per tendere alla creazione di un partito del lavoro: e con comica e beffarda indignazione ha bollato di: “insinuazioni” le consimili affermazioni dell’Avanti! e degli altri giornali confratelli della penisola. Contemporaneamente, dalle colonne di Battaglie Sindacali un Filippo Argentelli, in tono di tradizionale e caratteristica volgarità, un C.A. paterno e melenso, ed altri minori collaboratori trattano di utopie e di sogni estivi le elucubrazioni labouriste che gl’intransigenti vanno ricamando per porre in istato d’accusa i destri.

Non sapremmo davvero dubitare, per una volta tanto, della sincerità di questi trafficanti politici che, battendosi a spada tratta contro il principio comunista della dipendenza dei sindacati dal partito politico, non sdegnano poi di manovrare nel campo delle competizioni parlamentari sulla base esclusiva che loro offrono le organizzazioni sindacali delle quali sono alla dirigenza. Se mai per un tempo sorse in mente ai confederalisti e trovò favore presso di loro l’idea della fondazione ex-novo di un partito del lavoro in contrasto od in concorso col partito socialista, destinato a realizzare contro l’inerte passività di questo il programma del fronte unico con la borghesia da essi perseguito, oggi un nuovo progetto si è precisato nelle loro menti ed ha trovato un inizio di concretizzazione. Esso richiede forse un tempo più lungo di attesa per la sua completa traduzione in praticità, più abilità e più intelligenza negli ideatori e negli esecutori, ma offre loro una meta più ricca di risultati e più opima di frutti. Invece di dividere le fila socialiste, e di gettare dalle fondamenta l’organizzazione di un nuovo partito, rinunciando fin d’ora ad una parte delle forze che costituiscono il variegato blocco elettorale di quelle, i collaborazionisti si sono posti il compito di vincolarle a sé tutte quante.

Lo spettacolo dell’incapacità congenita del massimalismo a darsi un qualsiasi programma di azione concreto in uno qualunque dei campi dell’attività politica e sindacale, e la sua continua e sempre più rapida accettazione delle nuove posizioni imposte dalla corrente di destra, hanno fatto nascere e rafforzare in questa la convinzione che, senza grande sacrificio, tutto il partito socialista potrà essere conquistato alle sue direttive. Ed allora invece della fatica della creazione di una nuova organizzazione di partito ecco l’abilità dell’impossessamento progressivo e rapido di una rete già esistente e funzionante di organismi; invece del calcolo di probabilità per la ricerca del punto più favorevole di rottura, ecco lo studio sapiente volto ad evitare una sfaldatura sola del corpo friabilissimo ed eterogeneo. Il partito socialista possiede un bagaglio di tradizioni e d’influenze locali niente affatto disprezzabile, che, posto a servizio di una nuova cricca di governo, può proficuamente valorizzarne le azioni. I riformisti, che mirano diritto alla costituzione d’un ministero di collaborazione, non possono disprezzare questo elemento di somma importanza ai fini del successo dei loro primi esperimenti. Ed ecco allora da qualche tempo mutata completamente la tattica dei destri nell’interno del partito; all’acrimonia è successa la gentilezza, ai colpi diretti e brutali contro i detentori del potere si sono sostituiti i metodi persuasivi e gli aggiramenti, agli attacchi frontali le brevi “spallate successive”: non più strappare i posti di dirigenza ma farseli offrire con abili riluttanze, così come è accaduto nella nomina del direttorio del gruppo parlamentare, nella quale il rifiuto dei riformisti a nominarvi i loro rappresentanti ha posto i massimalisti nell’obbligo di assumere tutta la responsabilità dell’azione parlamentare, dalla quale invocano ad ogni momento la liberazione coll’offrirla ai loro colleghi di destra; così nell’aiuto all’Avanti!, in cui concorrenza hanno spesse volte pensato di fondare un nuovo giornale, ma a cui favore, da quando la possibilità di impossessarsene si è precisata, hanno accettato di far coprire dalle cooperative e dalle leghe il prestito di due milioni destinato a perfezionarne gl’impianti ed a coprire il deficit.

Verso questo nuovo piano i collaboratori sono stati spinti dalla constatazione che i massimalisti sono disposti ad accettare ogni cosa pure di non scindere le forze del partito, pure di non violare quel principio dell’unità, che ha costituito la loro base congressuale nelle ultime sue convocazioni generali, e che forma il loro unico merito di fronte a quella parte della massa che ancora li segue.

Nell’odierna riunione del Consiglio Nazionale ancora una volta la parola magica e stupidissima dell’unità ha suggerito discorsi patetici e commoventi, cui non è mancata l’adesione entusiastica dei confederalisti, che potevano temere di aver spezzato quest’idolo coll’ultima spallata energica del gruppo parlamentare.

Come s’inserisce questo atto di decisione dei rappresentanti elettorali del partito nella progressione di abile seduzione cui accennavamo prima, instaurata a sostituire i colpi violenti e gli urti contrastanti? Di tempo in tempo occorre fissare le posizioni raggiunte e saggiare il grado di resistenza sopravvivente nel... sedotto. Dall’epoca della caduta del ministro Bonomi e del primo, concreto e fallito esperimento di valorizzazione parlamentare del gruppo, nessuna nuova manifestazione precisa s’era avuta della crisi socialista, che s’era andata maturando appunto in quelle forme silenziose ed ingannevoli che esponemmo più indietro; a meno che non si voglia noverare l’allegro epistolario a Gardone come documento politico d’importanza e degno di considerazione.

In questo periodo, nonostante l’atteggiamento finalmente preciso assunto dalla pattuglia lazzariana minacciante l’estrema ala del partito, i massimalisti potevano illudersi d’essersi consolidati su buone posizioni di resistenza con l’uscita del nuovo quotidiano di Torino, con la costituzione dell’Alleanza del lavoro ricca di parole minacciose e di progetti rivoluzionari, con la partecipazione applaudita di Serrati ai convegni di Francoforte e di Berlino. Quest’apparenza di forza poteva anche riuscire a rivalorizzare in parte la tendenza massimalista fra il proletariato che, specialmente nei periodi di reazione, è spinto a seguire generalmente coloro che appaiono i più forti. D’altra parte le congiunture politiche erano tali, per cui l’audacia prometteva ampi premi a coloro che osassero: ma ogni qualvolta un episodio di particolare violenza ha segnato il ritmo della lotta di classe in Italia, i rivoluzionari del partito socialista hanno sempre venduto per un piatto di lenticchie il loro diritto di responsabilità.

I fatti di Bologna hanno segnato uno di questi momenti; e l’on. Zirardini, linea di congiunzione fra la Confederazione ed il gruppo parlamentare, persona non troppo compromessa nei suoi atteggiamenti passati di vecchio pretenzioso e di vittima mancata, ha avuto l’onore di dare il suo nome ad una nuova tappa dell’avventura.

Questa si chiude con dei risultati disastrosi per il serratismo e per l’intransigenza. Il direttore dell’Avanti! ha immediatamente ed al solito creato la sua consolazione cercando e trovando una frase scultoria e senza significato, destinata a precisare il nuovo periodo di decadenza socialista: “la transigenza rivoluzionaria”. Il connubio dei contrasti continua ormai solo più nelle parole: ché in realtà più nulla di rivoluzionario, neppure nelle intenzioni, resta nei dirigenti socialisti, per tutti i quali l’andata al potere, o come esperimento ammaestrato della sua inutilità, o come salvatore della situazione, si presenta come l’unica via da percorrersi dal partito.

Questo ha perso completamente la sensazione e la percezione dei grandi avvenimenti e della azioni che la massa proletaria sta iniziando: l’agitazione metallurgica prossima a sboccare nello sciopero nazionale di categoria non ha ancora ricevuto una parola di commento o di consiglio dall’organismo politico socialista, il quale s’è invece affrettato a votare delle deliberazioni nei riguardi del movimento degli impiegati statali. Il fatto si è che il compito del vecchio partito si limita “allo stabilimento della condotta e della guida della politica proletaria (?) sul terreno parlamentare”, sul quale germogliano e fioriscono le speranze ministeriali: e per la vita d’un ministero più valgono i consensi e l’appoggio d’una coorte di applicati di 2a o di 3a classe che l’interesse e le necessità insoddisfatte della più rivoluzionaria categoria operaia.

La convocazione del Consiglio nazionale della Confederazione generale, decisa in conseguenza delle deliberazioni incomprensibili del Consiglio Nazionale del partito socialista, viene a suffragare la tesi da noi esposta. Se i riformisti tendessero alla scissione, mai occasione migliore della presente si era presentata, con lo scompiglio e la divisione fra le stesse file massimaliste.

Il Consiglio nazionale, riproducendo nel computo su per giù la situazione di Verona, getterà un’altra volta i sinistri fra le braccia dei destri, blocco sbraitante e nemico contro i comunisti implacabilmente levati contro gli uni e contro gli altri. E nella ricementata unità controrivoluzionaria i collaborazionisti stringeranno più imbelli che mai e più prigionieri i buffi rivoluzionari della transigenza.

 

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