DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Notevole clamore ha suscitato, prima dell'estate, la questione della chiusura o meno degli impianti nocivi che si addensano intorno a Porto Marghera. I termini della questione sono sufficientemente noti e non intendiamo ritornarci sopra: si possono riassumere nel "dilemma" se si debba privilegiare la difesa del posto di lavoro o la salute collettiva. Diciamo subito che. così posto, questo è per noi, al tempo stesso, un falso problema e una splendida dimostrazione della necessità del comunismo.

 È un falso problema, perché "difesa del posto di lavoro" può solo essere parte di una strategia più ampia di "difesa delle condizioni di vita e di lavoro della classe operaia". Dunque, condizioni di lavoro nocive vanno apertamente combattute, con l'obiettivo di eliminarle. ' A questo punto, qualcuno potrebbe obiettare: "Ma allora siete d'accordo sia con il sindacato [che non vuole che vadano persi i posti di lavoro] che con gli ambientalisti [che chiedono la chiusura degli impianti]!". Nossignore. Il sindacato, preoccupato com'è delle "necessità dell'economia nazionale", dà un colpo al cerchio e uno alla botte. I1 che, in regime capitalistico, può solo voler dire appoggiare le esigenze del capitale: vale a dire, difendere a parole il posto di lavoro, ma con tutta una serie di riserve e di distinguo che alla fine svuotano anche le parole. La classe operaia di Porto Marghera (e delle innumerevoli altre situazioni simili) ha davanti a sé la prospettiva della disoccupazione, causata non - si badi bene - dalla preoccupazione per la salute pubblica, ma dalle necessità di un capitale in crisi a livello nazionale e internazionale, che deve ristrutturarsi tecnologicamente (anche chiudendo certi impianti scarsamente redditizi) e dunque espellere manodopera. Per noi, "difesa delle condizioni di vita e di lavoro" significa schierarsi esclusivamente dalla parte operaia. Ciò vuol dire che la richiesta di chiudere impianti nocivi alla salute dei lavoratori (oltre che di chi vive gomito a gomito con essi) si accompagna necessariamente per noi alla rivendicazione di un salario pieno (pagato dallo stato o dal padronato, poco importa) per i lavoratori che da quella chiusura verrebbero messi ... in libertà. Ciò vuol dire opporre apertamente interessi operai a interessi capitalistici rappresentati dai singoli padroni o da quella "sintesi di tutti i padroni" che è lo Stato.

 In occasione dell'ennesima tragedia mineraria, quella del 4 maggio 1954 a Ribolla, nel Grossetano 142 morti in una miniera di lignite vecchia, male attrezzata e ormai prossima a esaurirsi), scrivevamo infatti: "In tutto questo quale è la bestialità patente, la demagogia economica più imbecille? Non il denunziare la rendita, il sopraprofitto, il profitto delle società capitalistiche, che si combattono solo sul terreno dell'organizzazione sociale e politica dell'intera Europa e non con manovre mercantili e legislative, ma il reclamare che le miniere da disarmare siano tenute aperte; chiedere, pur sapendo bene che si tratta di un assurdo, che siano dotate, mentre stanno per esaurirsi, di costosi impianti di sicurezza. Questo lo chiedono i partiti 'estremi' che devono fabbricare voti locali nelle elezioni, e non altro, col pagliaccesco merito della lotta contro 'anche un licenziato solo'. Questo lo chiedono in coro , insultandosi con i primi solo per l'effetto sulla balorda platea, i capitalisti, lieti che al saldo passivo provveda a proprio carico lo Stato e naturalmente la classe lavoratrice italiana. In tutti questi movimenti balordi il mondo degli affaristi mangia soldi a palate e il mondo dei chiacchieroni parlamentari giustifica la coltivazione della più idiota delle miniere: quella della fessaggine umana”1.

Ma proprio su questo terreno si pone la migliore dimostrazione dell'inconciliabilità fra capitale e "salute pubblica". Qualcuno infatti potrebbe accusarci di scarso interesse per quest'ultima a causa di un'ottica troppo ... "corporativa". Ma prenderebbe un'altra cantonata.

 Il nostro agire nel senso indicato sopra, oltre a distinguerci apertamente da sindacati cointeressati all'economia nazionale, ci distingue anche, apertamente, da tutta la variopinta schiera di imbelli ambientalisti che, restando del tutto dentro il recinto dei rapporti di produzione così come sono, si mettono da soli nell'impossibilità di trovare una via d'uscita al problema. Abbiamo sempre - sostenuto che, anche in questioni che non riguardano semplicemente la classe operaia ma la specie umana intera, come quella dell'ambiente, è solo la via della lotta di classe aperta a essere risolutiva, perché mostra il conflitto insanabile fra interessi del capitale e interessi della specie. Episodi come quello di Porto Marghera dichiarano a grandi lettere quest’inconciliabilità e l'impossibilità di affrontare il problema nell'ottica ristretta dei rapporti di produzione così come sono. Le produzioni nocive sono tipiche del capitalismo: sia nel senso che il capitale non arretra di fronte a processi produttivi potenzialmente o dichiaratamente dannosi se da questi può estrarre profitti, sia nel senso che il modo in cui si produce capitalisticamente (con l'occhio cioè alla produzione per il profitto: dunque a produrre in maniera sempre più elefantiaca per battere la concorrenza) ha risvolti nocivi: si pensi anche solo al soffocamento reale e figurato da eccesso di automobili! Restare dentro a questi rapporti di produzione significa dunque condannarsi a restare dentro la nocività. Solo la lotta per il comunismo (che abolirà drasticamente tutte le produzioni nocive, non essendo interessato al profitto, e produrrà secondo un piano razionale di specie) potrà uscire da questo vicolo cieco. Ma lottare per il comunismo significa anche lottare nell'oggi, appunto per difendere le condizioni di vita e di lavoro e, di conseguenza, lottare nell'oggi per l'intera specie umana. In questo senso, sindacato e ambientalisti di vario genere sono gli alleati più o meno consapevoli del capitale, -grande- o Pi~ol~ che sia, privato o pubblico. Contro tutto questo fronte deve tornare a lottare la classe operaia: un compito arduo, ma di cui anche episodi come quello di Porto Marghera mostrano l'urgenza.

 

Note

1. Si vedano i due paragrafi intitolati "Ribolla - La morte differenziale" e "Politica economica!", nel Cap.XII1 del lungo studio sulla "questione agraria", comparso sulle pagine di questo giornale nei nn. 21,22,23 del 1953 e 1-12 del 1954.

 

Da "Il programma comunista" n. 7 del 1998.

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