DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

 

Il presente volume, il primo di una serie tesa a ricostruire e documentare storicamente il processo di formazione e di sviluppo di una sinistra comunista rivoluzionaria in Italia, e in seguito la sua rilevante azione nel campo internazionale, dalle origini fino al 1926 - l'anno del Congresso di Lione e del VI Esecutivo Allargato dell'Internazionale a Mosca -, parte dalle origini del movimento proletario su scala mondiale e si ferma alle prime battute di preparazione del congresso socialista di Bologna, fra l'agosto e il settembre 1919.

 

Indice

 

  • Documentaria (1912-'19)


Introduzione

 

Il presente volume, il primo di una serie attesa a ricostruire e documentare storicamente il processo di formazione e di sviluppo di una sinistra comunista rivoluzionaria in Italia, e in seguito la sua rilevante azione nel campo internazionale, dalle origini fino al 1926 - l'anno del Congresso di Lione e del VI Esecutivo Allargato dell'Internazionale a Mosca -, parte dalle origini del movimento proletario su scala mondiale e si ferma alle prime battute di preparazione del congresso socialista di Bologna, fra l'agosto e il settembre 1919.

Esso si compone di due parti. La prima, di carattere espositivo, rievoca sulla base di una rigorosa documentazione storica il processo attraverso il quale la sinistra comunista, presente in Italia sia pure in forma embrionale dal 1880 circa, ma ben definita per saldezza di impostazione teorica e continuità di azione pratica a partire dal 1910, si enucleò dal seno del Partito Socialista nell'incessante battaglia condotta prima e durante la guerra contro il riformismo in tutte le sue varianti e metamorfosi e, nello stesso conflitto ma soprattutto nell'immediato dopoguerra, contro l'equivoco centro dei "massimalisti"; battaglia che sarà il necessario preludio alla costituzione del Partito Comunista d'Italia, sezione della III Internazionale, al congresso di Livorno, gennaio 1921.

Essa ha per teatro l'Italia, ma non sarebbe concepibile in tutto il suo percorso fuori dalla vigorosa offensiva antirevisionista ed antiriformista condotta dall'ala rivoluzionaria internazionale sull'arco di un ventennio; come sarà sottolineato in ogni pagina del presente volume.

La seconda parte riproduce in una stretta successione cronologica una massa notevole di testi (soprattutto articoli, ma anche discorsi e mozioni), apparsi dal 1912 all'estate 1919 e qui riprodotti ad illustrazione delle tesi svolte nella parte espositiva e a conferma di una continuità ed "invarianza" di posizioni teoriche e di battaglia, che unisce attraverso un filo ininterrotto l'estrema sinistra di allora e quella che oggi, sotto il nome di Partito Comunista internazionalista, si batte per il ristabilimento integrale del programma marxista e dell'organizzazione del partito di classe del proletariato.

Ogni scritto, di cui si é conservato (salvo rari casi da noi segnalati) il titolo originate, é preceduto da una noterella in corsivo che lo ricollega agli eventi descritti nella prima parte e alla linea storica generale della Sinistra rivoluzionaria marxista. Nella serie di questi testi - 68 in tutto, ai quali vanno aggiunti le mozioni, i programmi, i brani o le note complete di giornale pubblicati nello prima parte per gli anni 1914, 1915, 1916, 1917, 1918 e 1919 -, ne sono però inclusi, quando servono a illuminare il rapporto storico del tempo, taluni che provengono da movimenti diversi dal nostro ed anche avversi.

La seconda parte é quindi l'indispensabile completamento della prima: l'una non può utilmente essere letta senza l'altra.

Sia il testo di oggi, che i testi di allora, sono anonimi: gli unì e gli altri perché da noi considerati non già come espressione di idee o di "opinioni" personali, ma come testi di partito, e il primo per la ragione supplementare che è frutto di un lavoro di ricerca, di riordinamento e di compilazione collettivo, al quale non si addice nessuna etichetta di persona, e che non solo non comporta ma esclude la borghese e mercantile rivendicazione della peggiore forma di proprietà privata, quella "intellettuale".

Autunno 1963

 

Premessa

 

Nel presente lavoro si vuol seguire la linea della formazione e dell'influenza sugli avvenimenti del partito politico della classe proletaria, lungo un periodo abbastanza lungo per istituire confronti utili tra l'indirizzo che il partito stesso si poneva e gli eventi successivi, traendo gli insegnamenti dalle vicende e dalle stesse crisi del partito nei rapporti con tutta la società in cui esso si muove.

Un simile studio, come tende ad essere esteso il più possibile nel tempo, così dev'essere impostato su una vasta estensione di spazio e contemplare il gioco delle forze internazionali. Non si potrebbero utilmente trarre conclusioni dal movimento italiano, se non considerandolo parte inseparabile del movimento europeo e anche mondiale, nelle varie tappe.

Storie e cronistorie del socialismo italiano ne esistono anche recenti e trattate con vari metodi; il rimandare ad esse senza citarle ci basta per avvertire che la nostra narrazione non deve essere analitica e particolare, né pervenire ad una cronaca di accadimenti di dettaglio sia interni che esterni al partito, ma vorrà seguire una linea a grandi tratti essenziali e giungere ad una grande sintesi senza riferire di tutto il materiale di fatti utilizzato e compulsato, e meglio direttamente acquisito, dall'opera del gruppo collettivo che a questo lavoro ha provveduto.

Nel primo tratto di vita di un movimento socialista in Italia, seguiremo le vicende del contrasto tra due forme che si pongono come obiettivo al movimento; una è quella del partito politico aperto, cui accedono quanti decidono di operare sulla linea del suo programma; l'altra è quella operaista nel senso che il movimento, con formule varie, aderisce strettamente alla qualità operaia dei suoi membri, ed anche esclusivista - per secondario che sia un tale carattere nel senso che respinge l'adesione di chi quella caratteristica sociale esattamente non possieda.

Poiché di tale dualismo dovremo occuparci, è bene stabilire, per imboccare subito la rotta precisa che ci condurrà fino alla fine, che questo fenomeno è proprio di tutti i paesi e domina la storia di tutti i partiti socialisti d'Europa nel corso di più di un secolo; non sarà quindi mai sull'esperienza concreta di un solo paese che se ne potrà fare un bilancio che sorregga conclusioni generali. Per noi, è evidente avanti lettera, che la forma storica propria del partito proletario rivoluzionario è quella aperta, nella quale un legame unico ed uniforme lega al partito ciascuno dei suoi aderenti, senza stratificazioni e discriminazioni, come il corso ulteriore porrà in risalto. Ogni marxista e dialettico comincia la sua esposizione coi dati di fatto mediante i quali deve convincere, avendo già davanti ben formata e precisa la propria conclusione.

È banale osservare che la forma di associazione politica per opinioni e per milizia di azione è quella stessa derivata dalla grande rivoluzione borghese coi suoi famosi club, e che l'originalità del nuovo movimento socialista starebbe nel sottolineare che il discorso è rivolto non al generico componente della società umana, ma ai membri di una data classe. Sarebbe questa una versione fredda e non dialettica della funzione delle classi nella storia, che la nostra dottrina ha in effetti posto come suo cardine.

 

1. Origini del movimento proletario internazionale

 

Se riandiamo la storia della Internazionale operaia quale si preparò nella prima metà del secolo diciannovesimo, vedremo che la prima forma a delinearsi è quella appunto delle società di propaganda, in genere segrete a imitazione delle carbonerie, sorte in varie nazioni e tra loro collegate, che avevano come programma quello di spingere ai limiti estremi i principi ideologici della rivoluzione liberale; eguaglianza, giustizia, fratellanza. Prima di arrivare alla Lega dei Comunisti fondata verso il 1847 a Parigi da militanti di vari paesi, in gran parte operai, ma anche intellettuali, cui aderirono Marx ed Engels, attraversiamo forme spurie da cui i due fondatori del socialismo scientifico ben presto si staccarono, come le Leghe dei Proscritti, dei Giusti, dei Diritti dell'Uomo, e così via. Ben presto si scavò l'abisso tra quelle ideologie umanitarie, filantropiche, illuministiche ed anche cristianeggianti, e la nuova teoria atta a investire di sé il moto proletario anticapitalista; e il primo esempio di partito proletario si ebbe non in Inghilterra, prima nazione capitalistica sviluppata (il cartismo, malgrado i suoi innegabili legami col proletariato già numeroso, teneva ancora di quei caratteri aclassisti), ma in Francia col concorso di profughi di vari paesi. Esso fu appunto la Lega dei Comunisti, che per prima si imbevve del principio che non vi può essere moto sociale rivoluzionario senza un'autonoma teoria rivoluzionaria, e tenne un primo congresso nell'estate 1847, poi in novembre-dicembre un secondo, a cui vennero presentati vari progetti: dopo dieci giorni di dibattiti quello di Marx ed Engels, che fu Il Manifesto del Partito Comunista, risultò adottato all'unanimità, e ad esso ancor oggi noi ci colleghiamo, fermo restando che si parte da una storia non di prodotti letterari, ma di movimenti collettivi e sociali, per embrionale che ne fosse la prima organizzazione.

Tale documento contiene e una teoria completa della storia sociale umana, e un programma definito della lotta per la trasformazione sociale, e ne indica in modo positivo i mezzi e le vie. Esso non suppone un autore o un pensatore a cui il futuro debba attingere lumi, ma già dichiara di emanare da un ente collettivo, dichiarato partito politico, nato per la storica necessità degli eventi; non si lega alla storia e al compito di una sola nazionalità e di una lingua sola, ma dichiaratamente si pone su una base internazionale di battaglie e di conquiste.

Poiché teniamo ugualmente ad affermare che sappiamo in anticipo dove ci condurrà la rotaia continua su cui poniamo ora il piede, e che il risultato della vasta dimostrazione che intraprendiamo non è originale o frutto di speculazioni senza età, ma esisteva integralmente nelle nozioni proprie della nostra scuola politica internazionale, prenderemo, ad esempio di questa sintesi e di questa concomitanza, nazione per nazione, del carattere con cui si forma dovunque il moto rivoluzionario antiborghese, il capitoletto introduttivo della classica Storia della Socialdemocrazia tedesca di Franz Mehring, traducendola qua e là, per maggior sicurezza, dall'edizione originale tedesca del 1897.

La storia del Mehring è stata sempre considerata un testo ortodosso del marxismo, è stata progettata durante la vita di Marx e seguita da Engels fin che visse come opera di stretto discepolo, e negli ultimi anni della sua vita l'autore lottò contro la degenerazione del partito tedesco nella prima guerra mondiale.

Quest'opera fra l'altro contiene un brillante riassunto del primo Libro del Capitale di Marx nel quale si congiungono, cosa non facile, una presentazione concentrata e suggestiva, e una rigorosa fedeltà teoretica: il capitolo VII della sezione III, intitolato: "L'opera fondamentale del comunismo scientifico" (1).

Stiamo però ora ricorrendo al Mehring solo per quanto dice nell'introduzione alla sua Storia. Egli avverte subito che il movimento tedesco ebbe fin da principio carattere internazionale, e mette in evidenza la derivazione dei primi socialisti tedeschi dalle lotte dell'Ovest e dalla letteratura socialista d'Inghilterra e di Francia. Marx ed Engels, quando scrissero il Manifesto, chiamarono a raccolta i proletari di tutto il mondo. Essi erano passati attraverso la scuola "della filosofia tedesca, della rivoluzione francese, dell'industria inglese" una formula cardinale per i marxisti.

Il comunismo scientifico moderno che essi avevano fondato "fu però nuovamente travolto dall'ascesa economica e dalla decadenza politica degli anni '50".

Si parla (è ben chiaro) del XIX secolo; ma non va forse bene anche per il XX?

Allora subentrò l'agitazione "concreta" (diremmo noi) di Lassalle, che non poté che copiare, ancora, il contemporaneo socialismo francese. I borghesi sofisticano sulle differenze tra socialismo e comunismo. Nella lingua del decennio 1840-1850 il socialismo era un movimento borghese, il comunismo un movimento proletario. Anche Mehring dice che una traccia di tutto questo il partito la conservava nel suo nome di "socialdemocrazia". Ma in Francia si trattava di un socialismo fatto con l'aiuto delle classi possidenti e di un'alleanza con la sinistra democratica borghese; in Germania, in quanto il partito si inspirò a Marx e non a Lassalle, si fece appello alla forza del proletariato, indipendente da tutte le altre classi, sulla base dottrinale del Manifesto "o vivere lavorando o morire combattendo".

Il loro moto prescindeva da fedi politiche o religiose.

Prima di dire che in Italia - non ci occupiamo qui di pensatori che meritano il nome di precursori, come i grandi Filippo Buonarroti, eroe della congiura di Babeuf, e Carlo Pisacane - all'epoca del 1848 e fino al compimento della unità nazionale nel 1861 non si possono riconoscere moti operai autonomi, vogliamo tornare all'analogia tedesca, e riferire la descrizione di Mehring della società germanica dopo il 1860.

Questa breve descrizione si trova nel capitolo I della sezione III intitolato: "Il proletariato tedesco intorno al 1863". Un grande progresso dell'industria tedesca era seguito agli avvenimenti del 1848-49: ma nel 1863 il proletariato rurale era sempre in grande maggioranza. In Prussia, di fronte a 3,5 milioni di persone attive nell'agricoltura stavano soltanto 750 mila circa persone attive nelle fabbriche; ma in tali cifre non è ben chiara la distinzione tra salariati e contadini nell'agricoltura, e fra salariati e artigiani nell'industria. Comunque, sommando alle cifre della Prussia quelle dell'Assia, della Sassonia, della Baviera, del Baden e del Württemberg, si può arrivare per la Germania ad oltre 2 milioni di artigiani contro meno di 1,5 milioni di operai "puri" di fabbrica. Lo stesso autore avverte che non si tratta di cifre sicure e che molti "artigiani" erano in realtà lavoratori a domicilio sfruttati dal padrone capitalista: tuttavia, è certo che nella Germania del 1863 gli artigiani superavano gli operai industriali, e che le due classi riunite erano meno numerose dei lavoratori della terra. In due soli paesi vi era già una predominante economia industriale, la Sassonia e il distretto di Düsseldorf, completamente urbanizzati con una parte minore di territorio agricolo.

Il giudizio finale è che la Germania del 1863 non poteva ancora definirsi un paese industriale. In questo quadro, in cui i proletari industriali sono in numero inferiore agli artigiani, con l'agitazione di Lassalle non sorge ancora un vero partito politico di classe ma la grande Associazione Generale Operaia Tedesca, che solo successivamente diventerà un autentico partito e farà propria, attraverso non poche crisi, la dottrina del marxismo.

 

2. Origini del movimento proletario italiano

 

Una via non diversa seguirà il movimento italiano, tenuto conto di notevoli differenze nella situazione interna ed estera.

L'Italia aveva, sulla Germania, il vantaggio di una soluzione più completa della grande rivoluzione liberale, anche se si era in monarchia e non in repubblica. Ogni forma di potere delle vecchie classi feudali era scomparsa statalmente e legalmente; inoltre, stava contro l'influenza del clero cattolico la violenta rivendicazione della Roma papale. Per contro, la Germania era tuttora dominata da forme statali di tipo feudale che nemmeno gli effetti della guerra franco-prussiana e della rivoluzione nazionale dall'alto contro l'Austria dovevano radicalmente eliminare.

La situazione economica italiana nel 1861 era invece di gran lunga più arretrata di quella tedesca. Nel 1861 la produzione di ghisa acciaio e ferro non superava le 125.000 tonnellate mentre nel 1914 se ne ebbero del solo acciaio 846.000 e nel 1957 6 milioni e 800.000. Nel 1870 le aziende industriali erano 9.000 con meno di 400 mila addetti laddove nel 1900 gli addetti salirono a 1.275.000, nel 1914 a 2.300.000 e nel 1951 a 4.257.000 contro circa 864.000 artigiani. È evidente che nel 1860 e nel 1870 non solo la proporzione della popolazione contadina sul totale era più forte della tedesca, ma anche quella degli artigiani in rapporto ai proletari industriali.

Senza addentrarci in questa sede nel confronto delle cifre, riportiamoci al quadro sociale tedesco descritto dal Mehring per il 1863 ed anni successivi, e che servì di base all'organizzazione e agitazione di Lassalle, mezzo economica e mezzo politica, in cui la forma del partito socialista di classe non era ancora ben delineata.

Nell'epoca dunque in cui si formò la prima Associazione Internazionale dei Lavoratori (1864) - nella quale tuttavia gli elementi operai veri e propri, meno che per l'Inghilterra e in parte per la Francia, non erano ancora proletari d'industria ma per lo più piccoli artigiani - la composizione della società italiana era molto più arretrata anche di quanto corrisponda allo "schema" di classi del Manifesto del 1848. L'unità nazionale si era formata accozzando fra loro staterelli che politicamente non erano da definirsi totalmente feudali, ma erano stati ben centralizzati per tradizione da secoli, con limitata influenza della aristocrazia terriera, laddove sotto il riguardo economico per la loro stessa piccola estensione avevano struttura ibrida, non erano in possesso di un vero mercato nazionale, e, mentre gran parte della popolazione sparsa viveva di una economia ad isole appena uscita dalla economia diretta e naturale, era all'inverso non già il libero commercio borghese ma un'economia interventista di Stato che portava alle città, da lunghi secoli molto addensate e popolose (specie nelle regioni che la cultura banale dichiara feudali, come Puglia, Sicilia, ecc.), i generi alimentari.

L'imposizione dall'alto di una legislazione copiata su quelle borghesi, e adatta forse solo al Piemonte, alla Liguria e alle province ex austriache, ebbe per le classi inferiori, non proletarie ma piccolo-borghesi, l'effetto di un incremento di miseria che provocò reazioni informi e non certo socialiste nella Romagna, nella Toscana, e poi nel Sud.

Tale il quadro che non possiamo qui stendere della società italiana nel momento in cui a Londra la rappresentava fra i proletari del mondo Luigi Wolff, segretario di Mazzini, il cui testo fu scartato a fronte di quello di Marx. I mazziniani erano stati i primi a scendere fra contadini ed operai, ma la loro ideologia era pietistica e associazionistica - in senso economico - e l'antitesi tra il sistema di Mazzini e quello di Marx è addirittura stridente, sebbene tardi se ne abbia consapevolezza in Italia.

Nel primo decennio di vita dell'Internazionale, tuttavia, non sono i marxisti che compaiono e conducono la lotta contro i mazziniani, bensì i seguaci dell'anarchico Michele Bakunin, che visse in Italia e vi ebbe largo seguito. Chi fa la storia del movimento italiano, è solo di bakuniniani che ha da parlare per i primi decenni, durante i quali il marxismo non è praticamente rappresentato e lo è solo da qualche studioso e non da moti delle masse, che invece i bakuniniani conducono con vigore anche in quanto la loro ideologia meglio rispecchia il primitivismo sociale dell'ambiente.

Quando, dopo la Comune di Parigi e la sua caduta, alle gloriose manifestazioni rivoluzionarie dell'Internazionale di Londra, condensate nei famosi Indirizzi scritti da Marx per il Consiglio Generale, succede una crisi non meno grave di quella del 1848 in seguito alla sconfitta di classe del proletariato, e si va dopo lotte violente verso la scissione tra marxisti e bakuniniani, le forze italiane sono tutte dalla seconda parte. La Federazione italiana, che anni prima aveva messo fuori dall'Internazionale i mazziniani, con tutte le sue forze decide, al congresso di Rimini dell'agosto 1872, di boicottare il congresso dell'Aja indetto dal Consiglio Generale per il 2 settembre.

Qui non interessa la cronaca e la ridda dei nomi, delle persone e delle accuse personali e scandalistiche, ma la portata del dissenso di allora (nel tempo successivo tanto mal compreso) che vale a stabilire che i marxisti, detti autoritari (e più tendenziosamente legalitari), erano a sinistra e rappresentavano il potenziale della rivoluzione proletaria, mentre i libertari erano a destra e rappresentavano un confuso moto piccolo borghese, non classista e non rivoluzionario, ma solo a volte insurrezionista e terrorista nel senso individuale, non nel senso storico che il marxismo condivide.

Poiché ci interessa non meno il mostrare che non si tratta di una versione postuma delle lotte di allora, ma che la nostra valutazione è quella classica di tutta la grande, continua scuola marxista, ricorreremo ancora a una pagina del Mehring sulle lotte al congresso dell'Aja, contenuta nel capitolo XII della III sezione.

 

3. Crisi della prima Internazionale: la deviazione libertaria

 

La prima Internazionale fondata da Marx nel 1864, era nel 1872, quando si riunì all'Aja il suo quinto congresso, in piena crisi. La sezione francese era stata schiantata dalla reazione che seguì la Comune del 1871 e in Inghilterra le pesanti Trade Unions ne uscivano perché il Consiglio Generale, con gli storici Indirizzi di Marx, aveva sostenuto gli eroici comunardi parigini. Intanto un'opposizione si formava in paesi che, come la Spagna, l'Italia, il Belgio, l'Olanda, e una parte della Svizzera, erano allora tanto poco evoluti socialmente quanto la Francia e l'Inghilterra di prima del 1848. In questa situazione trova radici un socialismo "che non vuole saperne di politica, perché nelle lotte politiche delle classi possidenti gli ingannati furono sempre gli operai".

Questo socialismo è una forma arretrata rispetto alla posizione dialettica che presenta al proletariato la sua via nello sviluppo storico della società capitalistica come una lotta politica avente quale pegno il potere politico rivoluzionario.

Nella formazione dell'Internazionale, quest'ingenuo socialismo aveva potuto essere ammesso per condurlo a superare la sua posizione insufficiente. Ma esso divenne un pericolo mortale quando se ne pose alla testa Bakunin, che lo raccolse sotto il nome di anarchismo.

Il testo del Mehring, in accordo con tanti del marxismo, svela la falsa considerazione che il movimento anarchico prese come moto attivista e insurrezionale, seducendo gli elementi "blanquisti" del movimento socialista malgrado la contraddizione che gli anarchici non vogliono nessun potere politico mentre i seguaci del francese Blanqui, pur dando importanza errata al metodo dei colpi di mano di una minoranza cospiratrice, erano per l'istituzione di una vera dittatura politica rivoluzionaria.

Tuttavia questo testo spiega come Marx (negli ultimi anni abbiamo raccolto innumerevoli documenti che illustrano questo concetto) prevedendo un lungo periodo di ristagno dopo la sconfitta della Comune volle evitare che l'Internazionale si trasformasse in una rete di cenacoli di stile piccolo-borghese, e ne fece decidere il trasporto in America pur potendo ancora all'Aja disporre della maggioranza. La situazione europea del tempo esigeva che si trasferissero le energie sul terreno del lavoro teorico, per la lotta, ininterrotta ed assidua, contro le deformazioni dovute a quello che poi dicemmo opportunismo, e di cui l'anarchismo è una delle prime edizioni.

In sostanza diamo con questi testi una prova che la linea della sinistra marxista comprende e fa tesoro di tutte le vigorose sconfessioni di Marx e di Engels contro i bakuniniani e i libertari del 1872.

Quasi contemporaneamente, i bakuniniani si riunivano in congresso separato a Saint-Imier rifiutando esplicitamente di riconoscere l'autorità del Consiglio Generale, che, dal canto suo, li espulse. Da questo momento avremo due Internazionali, quella influenzata da Marx e quella di indirizzo "anti-autoritario", la quale ultima rappresentava, in forma mutata e con l'apporto di forze nuove, la prosecuzione dell'Alleanza della democrazia socialista fondata anni avanti da Bakunin, e che questi aveva simulato (favorito in ciò dal carattere di tipo massonico, segreto o quasi) di sciogliere onde poter entrare nell'Internazionale controllata da Marx. I convenuti a Saint-Imier caratteristicamente proclamano:

1) La distruzione di ogni specie di potere politico è il primo compito del proletariato;

2) L'organizzazione di un potere politico, anche se di nome temporaneo e rivoluzionario, allo scopo di promuovere tale distruzione, non potrebbe recare altro che delusione.

Prima di tornare al movimento italiano che era tutto a Saint-Imier e contro Marx e il Consiglio Generale, fermiamoci brevemente sul contenuto del dissenso. E, prima di ricordare quanto esso fu profondo in dottrina, autorizzandoci a classificare questo primo (storicamente) nostro avversario nella serie lunghissima degli opportunismi e immediatismi, fenomeni patologici della lotta di classe proletaria, rammentiamo che, come sempre avverrà, esso prese un primo carattere di disaccordo organizzativo. Qui si vede che noi marxisti ortodossi, come non abbiamo nulla di comune col termine di libertari (o con quello di liberisti o liberali di cui esso è una variante), così non possiamo che combattere ogni federalismo e autonomismo. Vedremo nel lungo corso la corruzione e il disfacimento opportunista avanzare sempre nella forma delle autonomie locali regionali o nazionali e delle regole di organizzazione "centrifughe"; mentre sotto tutti i cieli e le intemperie noi marxisti radicali ci atteniamo al centralismo e alle organizzazioni anche internazionalmente "centripete".

Qual'era la pretesa dei dissidenti? Che il Consiglio Generale di Londra non avesse facoltà di dirigere l'azione delle federazioni nazionali, che si dovevano governare da sé, anzi non dovevano nemmeno pretendere di dirigere tutte le loro sezioni provinciali o urbane, che erano autonome anche nell'azione insurrezionale. Il Consiglio Generale non doveva essere, come Marx disse col suo tremendo vigore sarcastico, che una "cassetta per le lettere", chiamandosi "ufficio di corrispondenza". Chi non vede che la storia dell'opportunismo copia senza posa se stessa, e che il terribile rivoluzionarismo dei libertari non fa che precorrere i russi da essi aborriti nelle loro ultime formule di diverse vie nazionali al socialismo; come su questa lunga via troveremo il cretinismo parlamentare quando chiederà che in ogni "collegio" l'organizzazione locale sia autonoma nello stringere blocchi coi partiti borghesi, e poi, nel parlamento, autonoma nella sua condotta la frazione, o gruppo, parlamentare?

Il Consiglio Generale, che con i grandi atti storici degli "Indirizzi" alla Comune di Parigi aveva già mostrato l'importanza primaria di un centro unico della strategia rivoluzionaria mondiale, conquista che sopravvisse di gran lunga alla sconfitta come per la III Internazionale è sopravvissuta ai suoi turpi liquidatori cominformisti, respinse le pretese degli autonomisti e rivendicò il concetto irrevocabile del centralismo di organizzazione, punto cardinale che resta in piedi malgrado la lunga opera demolitrice dei libertari.

Per quanto riguarda l'inconciliabilità della nostra dottrina con quella degli anarchici, si dicano essi individualisti o comunisti, ammettano l'associazione economica dei lavoratori e gli scioperi, o neghino come nel primo bakuninismo anche questi, basta riportarsi fra l'altro agli appunti luminosi di Marx sul libro di Bakunin Stato e Anarchia. Bakunin protesta perché i marxisti dicono che il proletariato avrà bisogno di uno Stato "nuovo" che sorgerà dalla rivoluzione. Egli vuole che questa ponga fine ad ogni forma di Stato. Marx, il quale scriverà infine che l'espressione libero Stato popolare non è che "una insulsaggine" del suo seguace G. Liebknecht, spiega che il proletariato, abbattuto il potere borghese, "deve adoperare mezzi violenti, cioè governativi" perché rimane esso stesso ancora una classe (dominante come nel Manifesto dopo il primo stadio della sua organizzazione in partito - che governa, governa con un partito) e perché, per sopprimere tutte le classi, quelle non proletarie devono essere "violentemente eliminate o trasformate e il processo della trasformazione violentemente accelerato".

Si legge qui che la borghesia e la classe terriera si eliminano con la violenza, le piccolo-borghesi si trasformano parimenti con la violenza e non con la persuasione. Gli anarchici sono sempre stati profondamente educazionisti, e si vede qui quanto fossero falsi pastori nella pretesa che Marx fosse ripudiato da Bakunin perché non credeva nella violenza e nel terrore; lui, il red terror doctor degli inglesi!

Altro non servirebbe citare; basti dire che è fatta giustizia della formula, populista e dei moderni comunisti russofili, di passare la grande proprietà alle famiglie contadine, chiodo di Bakunin.

Mentre Marx è determinista, Bakunin è volontarista; egli vede nello Stato il male supremo, il metafisico principio del male a cui non pure gli idealisti borghesi ma addirittura i fideisti tutto riducono. La polemica di Marx nella Prima Internazionale è un atto della stessa lotta contro l'opportunismo controrivoluzionario, che nella Terza Internazionale, a mezzo secolo di distanza, condurrà il Lenin di Stato e Rivoluzione. L'antidialettica di Bakunin è la stessa di tutti i diffamatori del bolscevismo russo, che non mancheranno di servirsene. Marx ed Engels gli dicono: tu vedi nello Stato, base di tutti i mali ab aeterno, la causa del capitale e del padronato capitalista; non capirai quindi mai che è il capitale la causa dello Stato moderno; pertanto, stai storicamente al di qua del vero moto rivoluzionario, e con te, che tieni di Proudhon e di Stirner, tutti gli immediatisti.

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