DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

 

 

46. Controrivoluzione e rivoluzione

Il 17 ottobre 1905 il famoso manifesto dello zar "concedeva una costituzione" indicendo le elezioni della prima Duma e nominando primo ministro il Witte. Ciò avveniva sotto la pressione della trionfante insurrezione e mentre il soviet di Pietroburgo già assumeva funzioni di governo nazionale. Ma il 19 dicembre l'insurrezione era schiacciata a Mosca, e la legalità trionfava, in maschera costituzionale.

Alla conferenza di Tammerfors nello stesso dicembre i bolscevichi – che in agosto avevano attuato il boicottaggio della precedente Duma di Bulyghin, puramente consultiva – stabiliscono di boicottare anche le elezioni della prima Duma. Intanto i socialisti rivoluzionari si sono scissi in una destra di socialisti nazionali ed una sinistra boicottatrice della Duma, che viene eletta in marzo.

A Stoccolma nell'aprile 1906 il IV congresso (come detto, menscevico in maggioranza) vede schierata la maggioranza della frazione bolscevica nella tattica del boicottaggio attivo della Duma (dove il gruppo è di soli menscevichi) ma dell'intervento a scopo di agitazione e denuncia nelle assemblee connesse alla sua elezione nei distretti periferici dell'Impero, in cui essa non è ancora avvenuta[1].

Lo zar, comunque, scioglie la I Duma indicendo le elezioni per la II, che si riunisce nel febbraio 1907, poco prima del V congresso del Posdr, in cui i bolscevichi risultano in maggioranza e, con Lenin, tenuto conto del riflusso del movimento operaio e contadino, si dichiarano per la partecipazione alle elezioni alla Duma e ai suoi lavori in «funzione critica, propagandistica, di agitazione e organizzativa» e in completa indipendenza da ogni altro partito[2].

Il dissidio tra le due frazioni – bolscevica e menscevica – era infatti evidente anche nella questione parlamentare, e non molto dissimile da quello che allora si agitava in Francia e in Italia. I menscevichi erano per il blocco con i cadetti, liberali borghesi, fino a formare con essi un governo; i bolscevichi denunziavano il partito cadetto come nemico del proletariato e della stessa rivoluzione democratica, e ammettevano intese transitorie solo con populisti e socialrivoluzionari, ferma restando la critica a questi movimenti piccolo-borghesi.

Non questo è il luogo di trattare la questione che poi fu detta del "parlamentarismo". Basti notare che la linea tattica rivendicata allora da Lenin si esplicava prima della caduta effettiva dell'assolutismo, e dopo la fine del periodo di lotta. Rispetto a questa, si aveva una situazione diversa nei parlamenti europei degli Stati pienamente democratici fino al 1914, con situazione pacifica della lotta di classe fra operai e capitalisti. Una situazione ancora molto diversa e ulteriormente avanzata si ebbe nei paesi democratici occidentali dopo l'uragano della grande guerra, quando – come in Italia – il proletariato era tutto in piedi con un potenziale di classe elevatissimo, e questo fu sommerso non dalle legioni delle camicie nere, ma nell'impecorimento del gregge trascinato alle urne dal socialismo schedaiolo.

 

47. La reazione di Stolypin

Lo zar non tardò a sciogliere anche la seconda Duma chiamando al potere Stolypin, mentre parte dei deputati socialdemocratici prendevano la via della Siberia. Seguirono anni di repressione, assai duri per il partito.

Lenin manifestò grande "stima" di Stolypin per la sua riforma agraria, integratrice della falsa emancipazione del 186l. A fini politici reazionari, Stolypin promosse infatti l'evoluzione della campagna verso decise forme borghesi, calcolando che una più ricca agricoltura avrebbe stroncato la rivoluzione affrettando l'involuzione del contadino-padrone, che Lenin prevedeva tanto chiaramente quanto lui. Accelerò la liquidazione delle ultime comuni, favorì il concentrarsi della terra nelle mani di contadini ricchi che la conducevano con mano d'opera salariata; in una parola operò per il dominio dell'economia mercantile e del capitalismo. Nel 1908-9 Lenin scrisse:

«La "Costituzione" di Stolypin e la politica agraria di Stolypin segnano una nuova fase nella disgregazione del vecchio zarismo semi patriarcale e semifeudale, un nuovo passo verso la sua trasformazione in una monarchia borghese… Allora (quando ciò sia avvenuto) i marxisti coscienziosi cancelleranno in modo aperto e franco qualsiasi "programma agrario" […] Ci abbandoneremmo alla vuota e stolida fraseologia democratica se dicessimo che in Russia questa politica "non potrà" avere successo. Potrà averlo! […] E se, nonostante la lotta delle masse, la politica di Stolypin reggerà tanto a lungo da garantire il successo alla via "prussiana"? Allora il regime agrario della Russia diverrà pienamente borghese, i grandi contadini si impadroniranno di quasi tutta la terra dei nadiel', l'agricoltura diventerà capitalistica, e nessuna "soluzione" della questione agraria, sia essa radicale o non radicale, diventerà possibile in regime capitolistico»[3].

Stolypin voleva fare lui la riforma agraria, per evitare che l'urto tra contadini miseri e proprietari feudali e semifeudali prendesse la forma di rivoluzione agraria, che – nella dottrina nostra e di Lenin – è rivoluzione borghese; cosa che allora (avendo ragione al mille per mille) Lenin da marxista sperava.

La faticosa fase che il partito marxista attraversò da allora in poi fu caratterizzata da ulteriore selezione interna.

Sotto il peso della reazione scatenata, l'ala destra, rinnovando i fasti del marxismo "legale", propose la liquidazione del partito come organizzazione illegale e insurrezionale, e perfino la liquidazione della sua autonomia, in quanto i menscevichi volevano discioglierlo in un più grande partito tra laburista e popolare, guazzabuglio di tutte le ideologie. Lenin resistette risolutamente all'onda dei liquidatori di destra e li pose fuori del partito, situazione di cui diede atto definitivo la citata conferenza di Praga del 1912.

Lenin lottò in quel periodo anche contro gli otzovisti che volevano si boicottasse la terza Duma inaugurata il 1° novembre 1907, e successivamente chiesero che se ne richiamassero i deputati. Tale Duma durò fino al 1912; in novembre fu eletta la quarta, ed ultima.

È indiscutibile che – e lo diciamo in quanto disprezziamo freddamente tutto il volgare clamore fatto speculando sugli scritti e le posizioni di Lenin in materia – una possibilità di sterilizzazione del marxismo per vuoto sinistrismo esiste, e sta nel chiudere gli occhi per non vedere oltre l'angusto settore in cui si muovono i soli due personaggi del lavoratore salariato e del padrone capitalista, ignorando il resto della società. Si tratta di un sindacal-laburismo sinistroide che resta al di qua del marxismo. La potenza della visione marxista sta nel porsi davanti in qualunque momento tutta la società, tutto il mondo abitato dalla specie umana, e, di più, tutta la storia.

 

48. Marxismo e programma agrario

Dopo l'apporto di tanti materiali, basteranno delle citazioni per dimostrare come Lenin mai si sia allontanato dalla definitiva teoria agraria di Marx e come sia una formulazione sguaiata e inabile quella della "Storia" ufficiale bolscevica: Lenin avrebbe riportato alla luce antiche idee di Marx ed Engels «circa la necessità di combinare il movimento rivoluzionario contadino con la rivoluzione proletaria» in Germania[4]. (Erano idee note e ovvie, in quanto si trattava di lavorare alla rivoluzione borghese in ritardo: 1848-1856. Può darsi che molti socialisti del periodo tra i due secoli non le capissero). Lenin, però, non si sarebbe semplicemente limitato a ripeterle, ma «le sviluppò ulteriormente e le trasformò in una teoria armonica [?] della rivoluzione socialista introducendo un nuovo fattore, come fattore obbligatorio per la rivoluzione socialista, – l'alleanza del proletariato con gli elementi semiproletari della città [?] e delle campagne, come condizione per la vittoria della rivoluzione proletaria».

Lenin ha consumato la vita a smascherare condizioni della rivoluzione che valevano l'eliminazione della rivoluzione. Questa è una delle più liquidatrici!

Abbiamo visto testé che, perfino nell'arretratissima Russia, Stolypin avrebbe potuto riuscire a toglierci "ogni programma agrario": ossia ogni alleato. Secondo la citata dottrina, non solo avrebbe posto remore alla rivoluzione borghese ma avrebbe eliminato la rivoluzione socialista, la quale, se non avesse più un programma agrario, dovrebbe disfarsi anche di un programma industriale e, avendo perduto l'alleato – fattore obbligatorio –, dovrebbe smobilitare l'esercito proprio.

Ed è appunto questo che in Russia hanno fatto.

Non occorre che far parlare Lenin. Quando diciamo, noi poveri fessi, che non abbiamo trasformato un accidente, conta poco. Lo dica lui e tacciano le storiografiche ranocchie.

 

49. Nazionalizzazione

«Anche sotto il profilo rigorosamente scientifico [siamo in nota al passo citato sull'errore di sacrificare la teoria alla pratica], sotto il profilo delle condizioni di sviluppo del capitalismo in generale, dobbiamo assolutamente dichiarare – se non vogliamo dissentire dal III libro del Capitale – che la nazionalizzazione della terra è possibile nella società borghese, favorisce lo sviluppo economico, facilita la concorrenza e l'afflusso di capitali nell'agricoltura […] L'ala destra della socialdemocrazia, nonostante la sua promessa, non porta alla sua "logica" conclusione il rivolgimento democratico borghese nell'agricoltura, perché questa conclusione "logica" (ed economica) non può non essere, in regime capitalistico, la nazionalizzazione della terra, in quanto distruzione della rendita assoluta»[5].

Ricordiamo la trattazione della questione agraria, ricordiamo che i menscevichi erano per la "municipalizzazione", Lenin per la "nazionalizzazione", i populisti per la "spartizione" - tre tipi di programmi agrari diversi, ma (e lo sentite cento volte da Lenin) tutti e tre borghesi e democratici.

Ci serve una rivoluzione borghese spinta alle conseguenze estreme, e siamo per il più avanzato dei tre, il più grande-borghese, la nazionalizzazione. Il secondo è piccolo-borghese, il terzo forcaiolo addirittura.

Infatti – parliamo nel 1907 – per ogni rivoluzione bor-ghe-se un programma agrario è obbligatorio.

Quando si tratti della sola rivoluzione socialista proletaria, dei tre programmi ce ne fregheremo altamente. Soprattutto del primo, che è obbligatoriamente borghese, capitalista e mercantile. "Che cosa è la nazionalizzazione della terra?", Lenin comincia a domandare. Egli rileva che si soleva dire che tutti i gruppi populisti russi davano tale parola. Ma per essi è solo un sinonimo di spartizione:

«Il contadino ha una sola rivendicazione, pienamente matura, forgiata, per così dire, nella sofferenza e temprata da lunghi anni di oppressione, quella di rinnovare, consolidare, stabilizzare, estendere la piccola agricoltura, di renderla dominante, e basta. Il contadino immagina solo il passaggio nelle sue mani dei latifondi dei grandi proprietari; con le parole sulla proprietà popolare della terra, il contadino esprime l'idea confusa dell'unità, in questa lotta, di tutti i contadini come massa. Il contadino è guidato dall'istinto del proprietario, al quale sono di ostacolo l'infinito spezzettamento delle forme attuali di possesso fondiario medievale e l'impossibilità di organizzare la coltivazione della terra in modo del tutto rispondente ai suoi bisogni di "proprietario" […] E nella ideologia populista, che esprime le rivendicazioni e le speranze dei contadini, nel concetto (o idea confusa) di nazionalizzazione prevalgono incontestabilmente questi aspetti negativi»[6].

Ma altra è l'analisi marxista. «Anche se per l'azienda contadina esiste la libertà più completa, anche se esiste la più completa uguaglianza tra i piccoli agricoltori installati sulla terra di tutto il popolo, o di nessuno, o "di Dio", noi ci troviamo sempre di fronte al regime della produzione mercantile»[7], che diviene produzione capitalistica.

«Il concetto di nazionalizzazione della terra, ricondotto sul terreno della realtà economica, è dunque una CATEGORIA DELLA SOCIETA' MERCANTILE E CAPITALISTICA… La nazionalizzazione (nella sua forma pura) presuppone che lo Stato riceva la rendita da imprenditori agricoli che pagano un salario agli operai salariati e ricevono un profitto medio per il loro capitale, medio in rapporto a tutte le imprese, sia agricole che non agricole, di un determinato paese»[8].

A tal punto, Lenin espone tutta la teoria di Marx della rendita differenziale e assoluta, che la classe dei proprietari fondiari ricava. Non ci ripeteremo su tutto questo.

La rendita assoluta si ha da tutti i terreni, anche dal peggiore: essa è un effetto dalla proprietà terriera privata, e la nazionalizzazione la abolisce. Resterebbe, passata allo Stato, la rendita differenziale, data dal fatto che il prodotto di un terreno più fertile si vende, per ragione di mercato, al prezzo del prodotto individuale sul terreno peggiore. Questa rendita dipende dalla forma di distribuzione mercantile: può lo Stato incassarla, non abolirla.

I prezzi del grano scenderebbero, con la nazionalizzazione, solo per quanto contengono di rendita assoluta (il meno). Incassi lo Stato lo stesso basso canone da tutti i fittavoli capitalisti: regalerà ad alcuni di questi un variabile sovraprofitto creando ad arbitrio una nuova classe redditiera, e il pane sarà sempre caro, come la civiltà borghese e mercantile comanda. In compenso costeranno meno gli stuzzicadenti.

 

50. Municipalizzazione

A questo proposito una strigliata teorica cade sul groppone del menscevico Pëtr Maslov che, al fine di sostenere la sua versione del programma agrario – prevalsa a Stoccolma – sulla municipalizzazione, ricalca tutte le vecchie confusioni per denegare la teoria della rendita di Marx.

Se, come Maslov vuole, la rendita assoluta è una veduta errata di Marx, e si dà solo rendita differenziale, allora non ha alcun effetto statizzare la proprietà fondiaria. Secondo Maslov, quale che sia la rendita, importa solo vedere se conviene passarla allo Stato, o ai comuni periferici.

Lenin demolisce qui la risoluzione di Stoccolma, che mirava a dare ai comuni la terra dei latifondisti perché la affittassero a imprenditori, e a lasciare altra metà delle terre alla piccola proprietà ove già ne era in possesso. Si sarebbe così divisa la popolazione agraria in due parti: proprietari e affittuari di più o meno grandi estensioni di terra comunale, con la zona di residenza obbligatoria nella circoscrizione comunale.

Ciò dà occasione a Lenin di ribadire tutte le tesi critiche della proprietà privata, stabilite dal marxismo.

Ci riduciamo sempre per brevità a citare formule che confermano tesi già a fondo illustrate:

«Il populista pensa che la negazione della proprietà privata della terra sia la negazione del capitalismo. Ciò è sbagliato. La negazione della proprietà privata della terra è l'espressione delle esigenze del più puro sviluppo capitalistico […] Marx rivolgeva la sua critica non solo contro la grande, ma anche contro la piccola proprietà fondiaria. In determinate condizioni storiche, la libera proprietà della terra del piccolo contadino accompagna necessariamente la piccola produzione nell'agricoltura»[9].

E qui Lenin dice che contro Maslov ha ragione Finn, fautore della ripartizione ai contadini diretti. Ma non va dimenticato che ogni liberazione della terra la rende anche di libera compravendita. E Lenin cita il passo di Marx su cui abbiamo tanto lavorato:

«Uno dei mali specifici della piccola agricoltura, quando è combinata con la libera proprietà della terra, deriva dal fatto che il coltivatore anticipa un capitale nell'acquisto della terra. L'esborso di questo capitale per l'acquisto della terra sottrae questo capitale alla coltura»[10].

Né ripeteremo l'analisi dell'usura e dell'ipoteca che rovinano ferocemente la piccola conduzione proprietaria, sicché il coltivatore sta peggio del piccolo fittuario; del vecchio servo forse.

Ma il progetto menscevico diceva che lo stato deve con sussidi e mutui aiutare le minime aziende. Qui Lenin con un rilievo poderoso distrugge tutta la sporca politica dei pestiferi riformatori agrari, che non hanno cessato di imperversare rovinando terra, agricoltura e popolazioni rurali:

«Lo Stato può essere solo un intermediario nella trasmissione del denaro dei capitalisti; esso stesso, però, può avere del denaro solamente rivolgendosi ai capitalisti. Quindi, pur con la migliore organizzazione possibile dell'aiuto statale, il dominio del capitale non viene in alcun modo eliminato, e la questione resta sempre la stessa: quali forme di capitale possono essere applicate all'agricoltura?»[11].

Tutto il mondo modernissimo è pieno di questioni risolte col sussidio dello stato! La grande formula qui data richiama la nostra quasi seria per la "questione meridionale" cara ai (sedicenti in questo) gramscisti. Tre rivendicazioni: Non esigete tasse, non date aiuti statali, non fate elezioni. Il Mezzogiorno d'Italia si sdepresserà. E ciò a proposito delle Leggi Speciali e Casse del Mezzogiorno, vampiri di profitto a capitali extraregionali[12].

 

51. Spartizione

Lenin domanda ancora se la nazionalizzazione non condurrà sic et sempliciter alla spartizione bruta. Egli ha detto che la rivoluzione borghese russa si trova in condizioni particolarmente favorevoli, dopo aver citato altro passo di Marx, anche da noi a suo luogo invocato: "Il borghese radicale giunge in teoria alla negazione della proprietà privata della terra. In pratica, tuttavia, gli manca l'ardire, giacché l'attacco a una forma di proprietà – una forma della proprietà privata delle condizioni del lavoro [Marx vuol dire utensili, macchine, materie prime] – sarebbe molto pericolosa anche per l'altra. Inoltre, il borghese si è egli stesso territorializzato». E Lenin aveva commentato: "Da noi, in Russia c'è un 'borghese radicale' che non si è ancora 'territorializzato', che non può temere, oggi, un 'attacco' proletario. Questo borghese radicale è il contadino russo»[13].

Ranocchi, a voi. L'alleanza col contadino è tanto obbligatoria quanto quella col borghese radicale. Stanno sullo stesso piano storico, sociale.

Ora la nazionalizzazione può ben condurre alla spartizione; del resto, in astratto, sono entrambe antisocialiste. Teoria al sicuro, e avanti. Vi può contingentemente condurre, e tre sono i punti da esaminare: 1) Conviene la spartizione al contadino? Già detto sì; egli non brama altr'esca che il padronato. 2) In quali condizioni? Difficile per Lenin dire se prevarrà la "fame di terra" su ogni altra opposta influenza. 3) Come si riflette il fatto sul programma agrario del proletariato? Qui, per Lenin, non vi è dubbio. Il proletariato, nella rivoluzione borghese, «può e deve sostenere la borghesia combattente, quando essa è impegnata in una lotta realmente rivoluzionaria contro il feudalesimo. Ma non è compito del proletariato sostenere una borghesia che torna alla calma»[14].

La nazionalizzazione, ossia l'esproprio di baroni e latifondisti da parte del potere centrale rivoluzionario, sarà un fatto positivo, un colpo ad una forma della proprietà. La tendenza a ritornare in nuove forme di proprietà privata sarà il fatto di forze reazionarie che rialzano la testa; il proletariato vi si opporrà con ogni forza[15].

 

52. Ribattute del 1913

Quando studieremo gli atti della rivoluzione, vedremo se è vero che Lenin rubò il programma ai populisti. Se questa tesi filistea vincesse, saremmo sempre pronti a dire che, per i rivoluzionari che hanno avuto tante fasi e date di attività, non sempre siamo entusiasti della più recente. Lo siamo ad esempio di un Plechanov '800, non del posteriore. Che con ciò?

Nel 1913, come da quattro suoi articoli, Lenin non aveva, per intanto, nulla cambiato, né trasformato.

Né vivo né morto, non sentimmo il bisogno di santificarlo. Ma lo difendiamo contro i batraci che lo santificano come trasformista.

«Nei giornali e nelle riviste populiste [e oggi, cominformiste] leggiamo spesso l'affermazione che gli operai e i contadini "lavoratori" formano una sola classe […] Il cosiddetto contadino "lavoratore" è in realtà un piccolo padrone, o un piccolo borghese, che quasi sempre o vende la propria forza lavoro, o assume egli stesso dei salariati. Essendo un piccolo padrone, egli oscilla anche in politica tra i padroni e gli operai, tra la borghesia e il proletariato […] In tutti i paesi capitalistici, i contadini, nel loro complesso, sono perciò restati finora lontani dal movimento socialista degli operai e aderiscono a diversi partiti reazionari e borghesi»[16].

«Il contadino si ammazza di fatica più del lavoratore salariato. Il capitalismo condanna i contadini alla massima oppressione e alla rovina. Non c'è [per loro] altra via di salvezza se non nell'unione con gli operai salariati nella lotta di classe. [Ossia la via che passa per la rovina padronale]. Ma per comprendere questa conclusione, il contadino deve perdere, nel corso di lunghi anni, ogni illusione sulle ingannatrici parole d'ordine borghesi»[17].

«L'economia politica borghese e i suoi seguaci non sempre consapevoli, populisti e opportunisti, si sforzano al contrario di dimostrare che la piccola produzione è vitale e più vantaggiosa della grande»[18].

«I marxisti difendono gli interessi delle masse, spiegando ai contadini: non c'è altra salvezza per voi all'infuori della vostra adesione alla lotta proletaria. I professori borghesi e i populisti ingannano le masse con favole sulla piccola azienda agricola "dei lavoratori" in regime capitalistico»[19].

E infine:

«L'utopia dei populisti […] è il sogno del proprietario che sta fra il capitalista e l'operaio salariato e pensa sia possibile sopprimere la schiavitù salariata senza lotta di classe […] La dialettica della storia è tale, che i populisti e i trudovikí propongono e attuano, quale rimedio anticapitalista per risolvere la questione agraria in Russia, un provvedimento decisamente e conseguentemente capitalistico. L’”egualitarismo” nella nuova ripartizione della terra è un'utopia; ma la completa rottura con tutte le vecchie forme di proprietà terriera […], necessaria per ogni nuova ripartizione, è, per un paese come la Russia, un provvedimento economicamente progressivo, il più necessario, il più imperioso dal punto di vista democratico borghese»[20].

Lenin spiega in qual senso noi attendiamo la sollevazione contadina e, nel tempo stesso, demoliamo la sua portata sociale nella Russia tra due rivoluzioni democratico-borghesi, combattendo tuttavia in entrambe operai e partito socialista. Lo spiega con parole di Engels, che chiudano qui questa difficile sistemazione del programma agrario. E vadano, con tutto il ricordato materiale, anche queste altamente meditate:

«Una cosa che è formalmente falsa dal punto di vista economico può essere esatta dal punto di vista della storia universale»[21].

Semplicità e semplicismo, magari di sinistra, non sono per noi. Lenin, morto in tempo, ha tutte le carte in regola di gran combattente e grande maestro.

L'attesa della duplice rivoluzione, che è pure una tappa dell'attesa della rivoluzione comunista mondiale, va condotta come lui la condusse.

 

53. La questione politica

Portiamoci ora sul lucente binario dello scritto: Due tattiche[22]. Esso ci conduce senza altre fermate alla stazione di arrivo.

Quando ripartiremo da questa, studieremo[23] come il fatto rispose alla laboriosa attesa, come le due rivoluzioni ribollirono nella fase acuta, che cosa il periodo post-rivoluzionario significò, che cosa significa oggi.

I personaggi sono saldamente schierati. Stato dispotico zarista e partiti che lo sostengono. Partiti contadini. Partiti demoborghesi. Partito socialriformista. Partito marxista rivoluzionario. Scegliamo l'opuscolo Due tattiche anche perché esso, scritto dopo due congressi separati ed avversi, differenzia proprio due partiti storici, sta al di sopra della contesa all'interno di una stessa organizzazione che – nella sua indiscutibile importanza – talvolta costringe a polemica personalistica e rimpicciolisce anche i Trotsky, i Lenin, tutti i veri rivoluzionari. Male tuttavia tollerabile, mentre il perdono dell'opportunismo è disastroso.

Lenin scrive quando la rivoluzione del 1905 sta per divampare, e nella previsione che nel suo ciclo avvenga la fine dello zarismo. Il bolscevismo è fin da allora il partito della classe operaia che decisamente, contro ogni opportunismo revisionista russo ed europeo, si schiera nella dottrina e nel programma politico di classe per la via rivoluzionaria dell'avvento del socialismo, dell'abbattimento del capitalismo borghese.

Ma qui non si tratta ancora di rovesciare la borghesia capitalista, bensì lo stato dispotico-feudale, e si dibatte la questione del compito del partito nella rivoluzione democratica, borghese, popolare, che richiede si abbia una tattica e un programma immediati. Tutto questo deciso, si intende, ponendo a base gli interessi e i fini della classe proletaria e della rivoluzione socialista successiva, vicina o lontana che sia, e nei suoi rapporti europei e internazionali.

Con la lotta contro populisti, economisti, marxisti legali, ogni prospettiva di disinteressamento del proletariato e del partito dalla rivoluzione, in quanto e perché borghese, è stata buttata da parte come antistorica e reazionaria.

Si tratta ora, sempre nel raggio di una lotta già apertasi, di stabilire la condanna del metodo menscevico, riformista, di entrare nella lotta.

 

54. Termini del contrasto

La storia di tutti i paesi ha distrutto l'ipotesi di un proletariato assente dalle rivoluzioni borghesi. La questione è così posta da Lenin nella premessa allo studio di cui si tratta: "Avrà la classe operaia la funzione di un ausiliario della borghesia, potente per la forza del suo assalto contro l'autocrazia, ma impotente politicamente; oppure avrà la funzione di egemone nella rivoluzione popolare?”[24].

Si intenda dunque che non si tratta della rivoluzione socialista: nessuno si chiederebbe se, in questa, non debba il proletariato essere politicamente potente, egemone assoluto, e a tal fine, per noi marxisti e leninisti non di corte, protagonista, con la dittatura del suo partito contro tutte le altre classi e partiti.

L’Iskra di destra, coerente al revisionismo di Occidente, sminuisce «l'importanza di parole d'ordine tattiche strettamente conformi ai princìpi»[25]. Per costoro la tattica la impone il movimento reale, non la stabilisce il partito; questo è aperto a qualunque tattica.

Per Lenin: «Al contrario, l'elaborazione di decisioni tattiche giuste ha una grandissima importanza per un partito che voglia dirigere il proletariato in uno spirito rigorosamente conforme ai princìpi del marxismo, e non semplicemente trascinarsi a rimorchio degli avvenimenti»[26].

Il tema è dunque chiaramente definito: rendersi ben conto dei compiti del proletariato socialista nella rivoluzione democratica.

Ogni rivoluzione borghese si presenta con la rivendicazione della convocazione di un'assemblea popolare elettiva. In tutte le rivoluzioni questa prende diverse forme sempre più radicali, dall'assemblea nazionale convocata dal monarca fino alla assemblea costituente, alla convenzione rivoluzionaria, alla dittatura di un direttorio.

In Russia nel 1905 vi sono tre programmi. Il potere zarista predispone un'assemblea consultiva eletta con sistemi di casta (che fu la ricordata Duma di Bulyghin). La borghesia liberale (il partito cadetto, rappresentato dalla rivista illegale Osvoboždenie, "Liberazione") chiede un suffragio libero ed esteso perché l'assemblea sia veramente espressione popolare e possa dettare la nuova costituzione dello stato. Lenin definisce ciò «una transazione, la più pacifica possibile, fra lo zar e il popolo rivoluzionario»[27]. Infine i socialisti e il proletariato rivoluzionario sono per l'abbattimento rivoluzionario del potere zarista, la formazione di un governo provvisorio e la convocazione di un'assemblea costituente con pieni poteri.

I vari partiti piccolo-borghesi non sono decisamente orientati, ma oscillano tra la posizione dei cadetti e quella rivoluzionaria, non escludono una totale alleanza con i primi e una costituzione elargita dall'alto: lo scopo di Lenin è qui di dimostrare che la posizione dei menscevichi tende a quella dei cadetti radicali, e in certo senso è meno coerente di essa.

 

55. Il governo provvisorio

La risoluzione del III congresso (bolscevico) ferma questi punti: 1) Il proletariato lotterà per sostituire la dinastia autocratica con una repubblica democratica. 2) Ciò si otterrà solo da una vittoriosa insurrezione popolare. 3) Solo un governo rivoluzionario provvisorio potrà convocare un'assemblea costituente a suffragio universale. Inoltre, si considera ammissibile la partecipazione del partito al governo provvisorio, soprattutto se necessaria per evitare un ritorno controrivoluzionario. Partecipante o meno al governo, il partito «salvaguarderà» però «la sua assoluta indipendenza», in quanto «aspira ad una completa rivoluzione socialista e, appunto perciò, è irriducibilmente ostile a tutti i partiti borghesi»[28].

Lenin delinea una politica di possibile intesa anche nel potere con i partiti socialcontadini, ma mai coi cadetti borghesi, e va sviluppando questa sua fondamentale idea nella formula famosa "dittatura democratica rivoluzionaria del proletariato e dei contadini" come forma del potere che svolgerà la rivoluzione borghese[29].

L'equivoco gigante è che Lenin abbia mai proposto che con tale formula si potesse o dovesse condurre una rivoluzione socialista, né allora, né mai, né in Russia, né in Occidente.

Nel concetto di Lenin il governo provvisorio, oltre ad aver diretto l'insurrezione armata e a preparare l'elezione dell'assemblea costituente, deve subito attuare il programma minimo della rivoluzione, quale visto del partito (otto ore, suffragio universale, nazionalizzazione della terra).

«Assegnando al governo rivoluzionario provvisorio il compito di applicare il programma minimo, la risoluzione elimina con ciò stesso le idee assurde e semianarchiche sulla attuazione immediata del programma massimo, sulla conquista del potere per la rivoluzione socialista»[30]. Questa è dichiarata incompatibile col grado di sviluppo economico della Russia. «Solo uomini ignorantissimi possono misconoscere il carattere borghese della rivoluzione democratica in corso»[31].

Prima di vedere in quale senso la rivoluzione del 1917 superò queste prospettive del 1905, noi siamo certi che i compagni intendano perché tanto insistiamo su questo assoluto fatto; che il piano di Lenin era allora per una rivoluzione soltanto borghese. A distanza di mezzo secolo quello che non ha ceduto alla controrivoluzione è appunto il risultato storico di una rivoluzione capitalista[32]. La formula della dittatura democratica spartita in pari con la classe contadina proprietaria, anche e appunto per questo, non può essere invocata per la rivoluzione proletaria nei paesi capitalistici sviluppati. Il disfattismo stalinista consiste nell'imprigionare il proletariato moderno, di città e di campagna, nelle pastoie di un'alleanza con classi semiborghesi, storicamente retrive rispetto alla stessa borghesia.

Poiché si bara sulla formula di Lenin, interessa al marxismo rivoluzionario stabilire che quella formula storica fu forgiata al solo servizio della rivoluzione borghese, e la storia confermò che a tal fine rispose.

 

56. La tattica opportunista

I menscevichi di Ginevra contrapposero una loro risoluzione di cui Lenin fa l'analisi. Atteggiandosi ad intransigenti essi condannavano la formula dell'eventuale entrata nel governo provvisorio, paragonandola al possibilismo di Occidente, al millerandismo, ossia all'entrata di socialisti nei ministeri in regime borghese stabilizzato. Ma Lenin scarnifica la tattica equivoca dei menscevichi provando che essi finiscono coll'ammettere una soluzione non repubblicana della formazione del nuovo governo. «È questo il fatto incontestabile, di cui, ne siamo certi, si servirà come pietra angolare il futuro storico della socialdemocrazia russa. Una conferenza dei socialdemocratici nel maggio 1905 approva una risoluzione che contiene belle parole sulla necessità di far avanzare la rivoluzione democratica, ma che di fatto la fa marciare all'indietro, e non va in realtà al di là delle parole d'ordine democratiche della borghesia monarchica»[33].

Indiscutibilmente lo storico del 1917 ha annotato il comune parlamentare schiamazzo di cadetti borghesi e socialisti menscevichi contro il partito di Lenin che, messili fuori a pedate, fece cadere le teste dinastiche. Allora egli apostrofa così i menscevichi, sempre basandosi su fatti acquisiti: «La differenza tra noi e voi è, in questo caso, che noi marciamo a fianco della borghesia rivoluzionaria e repubblicana senza fonderci con essa, mentre voi marciate, sia pure senza fondervi nemmeno voi con essa [i conti, sembra dire Lenin, li farà la storia], a fianco della borghesia liberale e monarchica»[34].

«Ecco come stanno le cose» egli chiude sottolineando. Forse piccole cose!? Tanto grandi che è oggi, e sarà vitale per molti anni quando il partito risorgerà in ogni dove, acquisire questa nostra dimostrazione: che Lenin non ha inteso assegnare a nessun paese del moderno capitalismo l'obbligo miserabile di affidare la rivoluzione comunista ad un'alleanza democratica e interclassista.

Per chiudere questo risultato apparentemente modesto sarà bene, lunga essendo stata l'esposizione, fare ancora il più possibile parlare lui.

«I marxisti sono assolutamente convinti del carattere borghese della rivoluzione russa… Le trasformazioni nel campo sociale ed economico, diventate per la Russia una necessità, non significheranno di per sé il crollo del capitalismo… ma al contrario sbarazzeranno effettivamente per la prima volta il terreno ad uno sviluppo largo e rapido, europeo e non asiatico, del capitalismo… »[35].

Questa, nel senso in cui dialettica e prospettiva convergono, è una profezia lettera a lettera.

«I socialrivoluzionari non possono comprendere questa idea perché ignorano l'abbiccì delle leggi dello sviluppo della produzione mercantile capitalistica e non vedono che persino il trionfo completo dell'insurrezione contadina, persino una nuova ripartizione di tutte le terre conforme agli interessi e al desiderio dei contadini [...] non sopprimeranno affatto il capitalismo, ma al contrario daranno un nuovo impulso al suo sviluppo…

«I neo-iskristi comprendono in modo radicalmente errato il senso, il significato della categoria rivoluzione borghese. Nei loro ragionamenti, si affaccia costantemente l'idea che essa sia una rivoluzione che possa dare soltanto ciò che è vantaggioso alla borghesia. Eppure nulla è più errato di Una siffatta idea» [36]. E Lenin riscrive le tesi del marxismo, che sono state «dimostrate e spiegate con minute analisi [sic!] sia in generale, sia, in modo particolare, per quanto concerne la Russia [altro che trasformista!] dimostrando come la rivoluzione borghese e capitalista contiene i più grandi vantaggi per il proletariato. «Non possiamo uscire dal quadro democratico borghese della rivoluzione russa. ma possiamo allargarlo a proporzioni immense»[37]. Questo è stato. Ma, ci griderà il filisteo, il 1917 è ben altro che il 1905. Questo è vero. Ma nel senso storico universale il 1955 sta all'altezza del programma di vittoria del 1905.

E quando denunziamo la falsificazione cremliniana del leninismo e del marxismo non dimentichiamo mai che il Cremlino lavora tuttora in senso rivoluzionario, allargando il quadro capitalista fino all'Himalaya e ai mari gialli.

 

57. Dittatura democratica borghese

Perché una dittatura? Chiedono a Lenin (forse oggi ancora).

Perché dovrà necessariamente poggiare sulla forza armata, non «su questi o quegli organismi costituiti per vie legali, pacifiche»[38]. Perché tremende resistenze si leveranno contro l'espropriazione delle terre, la repubblica, lo sradicamento anche dalle fabbriche di forme asiatico-dispotiche. Perché essa sola potrà – last but not least – «estendere l'incendio rivoluzionario all'Europa. Questa vittoria non farà ancora affatto della nostra rivoluzione borghese una rivoluzione socialista; la rivoluzione democratica non uscirà direttamente dal quadro dei rapporti sociali ed economici borghesi; ma nondimeno questa vittoria avrà una importanza immensa per lo sviluppo futuro della Russia e di tutto il mondo. Nulla aumenterà maggiormente l'energia rivoluzionaria del proletariato mondiale; nulla accorcerà tanto il suo cammino verso la vittoria completa, quanto questa vittoria decisiva della rivoluzione cominciata in Russia»[39]. Cominciata, non imbottigliata in Russia degradandola a parodia.

In ogni momento questo legame internazionale è presente in Lenin. Ma restiamo un poco ancora sull'idea di dittatura.

«Se la rivoluzione riuscirà ad avere una vittoria decisiva, regoleremo i conti con lo zarismo alla giacobina, o se volete "alla plebea"», secondo una frase di Marx. "Tutto il terrore francese – egli scriveva nel 1848 – non fu altro che un mezzo plebeo per regolare i conti con i nemici della borghesia, con l'assolutismo, il feudalesimo e lo spirito piccolo-borghese»[40]. Qui Lenin si compiace del confronto tra il dissidio dei giacobini coi girondini nella rivoluzione francese e quello suo coi menscevichi. Più oltre infatti ritorna su questo tema utilizzando le notizie date da Franz Mehring sugli scritti di Marx nel 1848. La Nuova Gazzetta Renana rivendicava «l'istituzione immediata della dittatura come unico mezzo per realizzare la democrazia». Il borghese, nota Lenin, intende per dittatura l'abolizione di tutte le libertà e le garanzie della democrazia, l'arbitrio generalizzato, l'abuso sistematico del potere nel personale interesse del dittatore. L'ultrariformista Martynov aveva scritto che la predilizione per la parola d'ordine della dittatura si spiegava col fatto che Lenin "desiderava ardentemente tentare la sua sorte". E Lenin, che in questi casi sorrideva bonario invece di ruggire, gli spiega "la differenza che esiste tra il concetto di dittatura di una classe e quello di dittatura di un individuo, tra i compiti della dittatura democratica e quelli della dittatura socialista»[41] con le concezioni della Nuova Gazzetta Renana:

«Ogni organizzazione provvisoria dello Stato [N.R.Z., 14 settembre 1848] dopo la rivoluzione esige la dittatura, e una dittatura energica. Noi abbiamo sin dall'inizio rimproverato a Camphausen [presidente del consiglio dei ministri dopo il marzo 1848] di non agire in modo dittatoriale, di non spezzare ed estirpare immediatamente i resti delle vecchie istituzioni. E mentre egli si cullava nelle sue illusioni costituzionali, il partito vinto, ossia il partito della reazione, rafforzava le sue posizioni nella burocrazia e nell'esercito, e qua e là si arrischiava persino a riprendere apertamente la lotta»[42]. E in un altro articolo sul bamboleggiare dell'assemblea costituente Marx diceva: «A che varranno il migliore ordine del giorno e la migliore costituzione, se nel frattempo i governi tedeschi avranno già messo all'ordine del giorno la baionetta?"»[43]. Ecco, dice Lenin, il senso della parola dittatura: «I grandi problemi della vita dei popoli vengono risolti esclusivamente con la forza»!

Marx, sviluppando il tema della debolezza e della mancanza di volontà repubblicana della rivoluzione tedesca del 1848, fa un paragone suggestivo con la Francia. «La rivoluzione tedesca del 1848 non è che una parodia della Rivoluzione Francese del 1789. Il 4 agosto 1789, tre settimane dopo la presa della Bastiglia, il popolo francese in una sola giornata ebbe ragione di tutti gli obblighi feudali. L'11 luglio del 1848, quattro mesi dopo le barricate del marzo, gli obblighi feudali hanno avuto ragione del popolo tedesco […] La borghesia francese del 1789 non abbandonò neanche per un istante i suoi alleati, i contadini. Essa sapeva che la base del suo dominio era l'abolizione del feudalesimo nei villaggi e il sorgere di una classe libera di contadini proprietari […] La borghesia tedesca del 1848 tradisce senza alcuno scrupolo i suoi alleati più naturali, i contadini, che sono carne della sua carne, e senza i quali è impotente di fronte alla nobiltà. Il mantenimento dei diritti feudali, la loro consacrazione sotto l'apparenza (illusoria) di un riscatto: tale il risultato della rivoluzione tedesca del 1848. La montagna ha partorito un topo»[44].

Altro che trasformare! Dal 1789 al 1848 al 1905 al 1955 il nostro "filo" non è interrotto. I CONTADINI SONO I NATURALI ALLEATI DELLA BORGHESIA. Lenin ripete: «Il successo dell'insurrezione contadina, la vittoria della rivoluzione democratica, sbarazzeranno semplicemente il cammino per la lotta vera e decisiva per il socialismo, sul terreno della repubblica democratica. I contadini, come classe di proprietari fondiari, avranno in questa lotta la stessa funzione di tradimento e di incostanza, che la borghesia ha oggi in Russia nella lotta per la democrazia»[45].

 

58. Un raffronto storico

Qui Lenin rileva che la Nuova Gazzetta Renana era un organo della democrazia, non della classe operaia; eppure dalle sue colonne Marx ed Engels condussero la lotta per il radicalismo rivoluzionario borghese, sebbene già uscisse un giornale operaio redatto da seguaci delle dottrine del Manifesto (ma di linea forse insufficiente). Tuttavia solo nell'aprile 1849 Marx ed Engels si pronunziarono per una organizzazione proletaria distinta. Occorse dunque a Marx un anno di esperienza nella lotta democratica per passare oltre e tracciare il limite tra politica democratica e politica operaia nell'organizzazione. Noi, dice Lenin, siamo più avanti in Russia nel 1905; i compiti proletari nella lotta sono più delineati che allora. E ricorda come Engels fosse scontento dell'indirizzo della Fratellanza Operaia che, formalmente classista, aveva impronta corporativa, trascurando il movimento politico generale. E Lenin ne trae il parallelo tra la considerazione di Engels e la sua sulle "due tattiche" e sull'opportunismo operaistico e "codista"[46].

Noi ci domandiamo perché Lenin, formulando così bene come, in Germania nel 1849, fosse ancora buona tattica per Marx ed Engels stare in società e giornali demoborghesi, e non lo fosse più per la Russia ove già organizzazioni di giornali e partiti erano indipendenti, non abbia, quando ancora fisicamente lo poteva, lottato di più contro il metodo stolto di applicare nel primo dopoguerra in Occidente le tattiche adatte alla prerivoluzione borghese, l'offerta di unità e di accordo politico in fronti comuni ai partiti opportunisti.

 

59. Internazionalismo

Altrove Lenin, come in moltissimi dei suoi scritti anche molto più moderni, ritorna sul punto dal quale, con Marx, abbiamo cominciato questo nostro cammino. Egli critica la fredda enunciazione data dai menscevichi nella loro risoluzione, nella quale è detto che i socialdemocratici potrebbero prendere il potere nel solo caso che la rivoluzione si estenda ai paesi dell'Europa occidentale, nei quali le condizioni per la realizzazione del socialismo sono giunte a una certa maturità (piena maturità, Lenin dice). In questo caso diventerebbe possibile in Russia, diceva la risoluzione, entrare nella via delle trasformazioni socialiste. E Lenin:

«L'idea principale è qui quella enunciata più volte dal Vperiod ["Avanti!" – organo bolscevico di Lenin] il quale affermava che non dobbiamo temere […] la vittoria completa della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica, cioè la dittatura democratica rivoluzionaria del proletariato e dei contadini, poiché questa vittoria ci permetterà di sollevare l'Europa; e il proletariato socialista europeo, dopo aver abbattuto il giogo della borghesia, ci aiuterà a sua volta a fare la rivoluzione socialista […]. Il Vperiod assegnava al proletariato rivoluzionario della Russia un compito attivo: vincere nella lotta per la democrazia, e approfittare di questa vittoria per estendere la rivoluzione all'Europa»[47]. L'idea menscevica era invece di rifiutare il potere nella vittoria borghese contro lo zarismo, e accettarlo solo se la rivoluzione proletaria avesse invaso l'Europa. Ma altro era il concetto di Lenin: la borghesia democratica russa, prendendo il potere parlamentare, non sarebbe stata all'altezza di resistere agli assalti della controrivoluzione; occorreva porla da parte e gestire per procura la rivoluzione democratica borghese con la dittatura operaia e contadina.

Comunque, non si presentava nemmeno il proposito di attuare il socialismo economico in Russia senza la rivoluzione proletaria all'Ovest.

Un interessante riferimento di Trotsky[48] mostra che la veduta di Lenin era ancor più geniale. Non solo in mancanza della direzione proletaria (a questo solo storico fine, con l'alleanza contadina) sarebbe stato impossibile impedire allo zarismo reazionario di rialzare la testa, ma per averne la sicurezza – ossia per solamente salvare in Russia la rivoluzione borghese – era necessaria la sollevazione del proletariato europeo! Un concetto che chiude il ciclo con la dottrina di Marx sulla riserva della controrivoluzione europea formata dalla Russia, mostruoso potere che jugula ribellioni borghesi e ribellioni operaie.

A Stoccolma così egli rispondeva a Plechanov, contrario alla presa del potere, in base al punto comune che la rivoluzione non sarebbe stata che borghese. O prendiamo il potere noi, diceva, o cadrà anche la rivoluzione borghese, e mai la nostra verrà.

«Se si parla delle garanzie economiche attuali e pienamente reali contro la restaurazione[49], cioè delle garanzie che creerebbero le premesse economiche per prevenire la restaurazione, si deve dichiarare che l'unica garanzia consiste nella rivoluzione socialista in Occidente; non può esservi oggi altra garanzia, nel pieno senso della parola. Al di fuori di questa condizione, con ogni altra soluzione del problema (municipalizzazione, spartizione, ecc.), la restaurazione non è soltanto possibile, ma addirittura inevitabile. Formulerei questa tesi nei seguenti termini: la rivoluzione russa può vincere con le proprie forze, ma non può in nessun caso mantenere e consolidare le sue conquiste con le sue sole forze. Non potrà farlo, se non vi sarà in Occidente la rivoluzione socialista; senza questa condizione, la restaurazione è inevitabile, con la municipalizzazione, con la nazionalizzazione e con la spartizione, perché il piccolo proprietario costituirà, in tutte le possibili forme di proprietà e di possesso, il sostegno della restaurazione. Dopo la completa vittoria della rivoluzione democratica, il piccolo proprietario si rivolgerà inevitabilmente contro il proletario, e lo farà tanto più presto, quanto più rapidamente saranno stati sgominati tutti i nemici comuni del proletariato e dei piccoli proprietari, cioè i capitalisti, i grandi proprietari terrieri, la borghesia finanziaria, ecc.

«La nostra repubblica democratica non ha altre riserve oltre il proletariato socialista di Occidente» [50].

Ancora una volta in forma simbolica, Lenin non è mancato al suo tremendo appuntamento con la Storia. Abbiamo mancato noi, comunisti di Europa, della III Internazionale, e l'Opportunismo ci guarda oggi col suo ghigno di Bestia Trionfante.

[1] Cfr. Lenin, Piattaforma tattica per il Congresso di Unificazione del Posdr, in Opere, ed. cit., vol. X, p. 156-157.

[2] Cfr. Lenin, Progetti di risoluzione per il V Congresso del Posdr, in Opere, ed. cit., vol. XII, p. 126.

[3] La citazione è formata da due brani di scritti distinti di Lenin: il primo è contenuto nell’articolo In cammino (gennaio 1909), cfr. Opere, ed. cit., vol. XV, p. 333; gli altri due appartengono, sebbene in ordine diverso dall'originale, a Per un sentiero battuto (aprile 1908), cfr. ibidem, p. 39.

[4] Cfr. Storia del Partito comunista (bolscevico) dell'URSS, ed. cit., p. 98.

[5] Cfr. Lenin, Il programma agrario della socialdemocrazia nella prima rivoluzione russa del 1905-1907, in Opere, vol. XIII, ed. cit., p. 278, nota (corsivi di A.B.).

[6] Ibidem, pp. 278-279 (corsivi di AB.).

[7] Ibidem, p. 279 (corsivi di A.B.).

[8] Ibidem, p. 280 (corsivi di A.B.).

[9] Ibidem, p. 297 (corsivi di A.B.).

[10] Ibidem, p. 297-298. Cfr. Marx, Il capitale, Editori Riuniti, Roma 1952, vol. III, 3, pp. 217-218.

[11] Lenin, Il programma agrario della socialdemocrazia, cit., p. 299.

[12] S i veda in particolare, su questo tema, Il rancido problema del Sud italiano, apparso nel nr. 1/II serie, nov, 1950, della rivista «Prometeo».

[13] Lenin, ibidem, p. 305. Il brano citato di Marx è in K. Marx, Storia delle teorie economiche, vol. II, Einaudi, Torino 1955, p. 192 dove però, invece di "territorializzato", si usa l'aggetivo "ruralizzato".

[14] Cfr. Lenin, Il programma agrario della socialdemocrazia, ed. cit., p. 307.

[15] Cfr. Ibidem, p. 307.

[16] Cfr. Lenin, I contadini e la classe operaia, 1913, in Opere, vol. XIX, ed. cit., pp. 186 e 188.

[17] Cfr. Lenin, Il lavoro dei fanciulli nelle aziende contadine, 1913, in Opere, vol. XIX, ed. cit., p. 192.

[18] Cfr. Lenin, La piccola produzione nella agricoltura in Opere, 1913, vol. XIX, ed. cit., p. 254.

[19] Cfr. Lenin, I signori borghesi e l'agricoltura, 1913, in O pere, vol. XIX, ed. cit., p. 339.

[20] Cfr. Lenin, Due utopie, 1912, in Opere, voI. XVIII, ed. cit., pp. 341-342 (corsivo di A.B.).

[21] Cfr. la prefazione di Engels alla prima edizione tedesca della Miseria della filosofia (vedi K. Marx, Miseria della filosofia, Roma, Editori Riuniti 1969, p. 13). Lenin cita il brano in Due utopie, p. 342.

[22] Lenin, Due tattiche della socialdemocrazia russa nella rivoluzione democratica, luglio 1905, in Opere, ed. cit., vol. IX, pp. 9-126.

[23] Si allude in particolare alla più volte citata Struttura economica e sociale della Russia d'oggi, ma anche a Le grandi questioni storiche della rivoluzione in Russia e La Russia nella Grande Rivoluzione e nella società contemporanea, riprodotte all'inizio e al termine dello stesso volume.

[24] Due tattiche… , ed. cit., p. 13 (corsivi di AB.).

[25] Ibidem, p. 13 (corsivi di A.B.).

[26] Ibidem, p. 13 (corsivi di A.B.).

[27] Ibidem, p. 15.

[28] Ibidem, p. 18.

[29] Per comprendere tutto il senso di questa formula, è utile il richiamo alla relazione di Lenin «sull'atteggiamento verso i partiti borghesi» al V congresso del Posdr, maggio 1907, dove si ribadisce: 1) che «la nostra rivoluzione è borghese per il suo contenuto economico e sociale»; 2) che ciononostante la borghesia non può esserne né «la principale forza motrice», né il capo, perché «è (e non lo è per caso, ma per necessità, per i suoi interessi) un elemento che tentenna tra la rivoluzione e la reazione». 3) Ne segue che «solo il proletariato può condurla sino in fondo, cioè sino alla completa vittoria». Ma, 4) «questa si può conseguire soltanto alla condizione che il proletariato riesca a trascinare dietro di sé la più gran parte delle masse contadine. La vittoria dell'attuale rivoluzione in Russia è possibile solo come dittatura democratica rivoluzionaria del proletariato e dei contadini». Dittatura, dunque, del proletariato che "si trascina dietro" i contadini, non delle due forze sociali su un piede di parità politica, programmatica, organizzativa. Cfr. Lenin, Opere, ed. cit., vol. XII, pp. 421-422.

[30] Lenin, Due tattiche ecc., cit., p. 22 (corsivo nostro).

[31] Ibidem, p. 22.

[32] Corsivi nostri per le ragioni già dette.

[33] Ibidem, p. 38.

[34] Ibidem, p. 38.

[35] Ibidem, p. 40.

[36] Ibidem, p. 40-41 (corsivo di A.B.).

[37] Ibidem, p. 44 (corsivi nostri).

[38] Ibidem, p. 48.

[39] Ibidem, p. 48.

[40] Ibidem, p. 50 (corsivi di A.B.).

[41] Ibidem, p. 117.

[42] Ibidem, p. 117-118.

[43] Ibidem, p. 118.

[44] Ibidem, p. 121 (corsivo di A.B).

[45] Ibidem, p. 122 (corsivo di A.B.). E qui calza a pennello la frase lapidaria della nostra La questione agraria e la teoria della rendita fondiaria secondo Marx: «La rivoluzione è compito della classe dei proletari salariati dell'industria e della terra; e storica funzione di essa sola è la dittatura rivoluzionaria» (cfr. il cap. XV; nel volume in ed. Iskra, cit., p. 305).

[46] Cfr. Lenin, ibidem, pp. 122-126.

[47] Ibidem, p. 73 (corsivo di A.B.).

[48] Nel capitoletto "Tre concezioni della rivoluzione russa" in appendice oltre che alla citata edizione inglese, anche a quella francese dello Stalin (cfr. Trotsky, Staline, Parigi 1948, p. 606); assente invece dall'edizione italiana.

[49] La restaurazione, cioè, del regime prerivoluzionario, qualora la rivoluzione democratico-borghese: condotta dal proletariato con l'appoggio, almeno in un primo tempo, dei contadini, sia schiacciata.

[50] Da Lenin, Congresso di Unificazione del POSDR. Discorso di chiusura sulla questione agraria, 1906, in Opere, ed. cit., vol. X, p. 266. Il brano è citato anche, ma non letteralmente, nello Stalin di Trotsky, ed. Garzanti, pp. 81-82. Si veda anche, sullo stesso tema, Lenin, Relazione sul Congresso di Unificazione del POSDR, in Opere, ed. cit., vol. X, pp. 317-319, dove si ribadisce che il piccolo produttore è, in tutte le possibili forme di proprietà e possesso, il punto d'appoggio inevitabile della restaurazione, in ,quanto «la municipalizzazione [come la nazionalizzazione o la spartizione] è solo una forma di proprietà fondiaria, ma non è forse evidente che i tratti fondamentali di una classe non sono modificati dalla forma della proprietà fondiaria?», Di qui la necessità della «rivoluzione socialista in Occidente» come «garanzia piena dalla restaurazione in Russia».

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