DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

 

 

31. Scaffali della libreria di Carlo

La prima sorta è il socialismo "reazionario", ossia che ha il senso storico di combattere la rivoluzione borghese difendendo soluzioni anticapitaliste in quanto precapitaliste. La seconda è il socialismo che si ferma alla società borghese e vuole perfezionarla, per conservarla. La terza è il socialismo che vuole in effetti uscire dalla forma borghese e andare ad una economia collettiva, ma non sa trovare la via del trapasso e la chiede al senno o alla bontà umana.

Nella prima sorta (moto all'indietro) abbiamo: a) il socialismo feudale: vuole provare agli operai che devono combattere il capitalismo perché stanno meglio nella forma feudale. Marx indica una variante di tale scuola nel socialismo "clericale". Esempio russo (questo schema che passiamo sulla carta sta certamente in Lenin, ma dove, ora, non lo sappiamo dire) il pope Gapon, che nel 1904 fondò un'organizzazione "degli operai di fabbrica e di officina". La sua tesi che lo zar avrebbe fatto proprie le rivendicazioni dei lavoratori contro i padroni era parallela a quella delle organizzazioni operaie zubatoviste (dal nome di un ufficiale di polizia), ma il pope che trascinò la massa al macello era forse un illuso, non un provocatore come vuole la storia "bolscevica" ufficiale, tessuta di denunzie di provocazioni retroattive di mezzi secoli. (Il rovescio del determinismo marxista è questa esosa "concezione provocazionista della storia").

Sempre alla prima sorta appartiene: b) il socialismo piccolo-borghese, che al capitalismo vuoi sostituire altri modi di produzione più arretrati: "le corporazioni nella manifattura e l'economia patriarcale nell'agricoltura". Capo di questa letteratura è Sismondi, poderoso tuttavia nella critica delle contraddizioni economiche capitalistiche. Equivalente russo? Lo domandate? Tutto il populismo! Lottando contro un simile avversario, avrebbe finito Lenin per accoglierne una qualche tesi, a rettifica del marxismo classico? Andiamo! O il Manifesto è fuso in inattaccabile bronzo, o è plasmabile comepasta frolla, se ai suoi seguaci è permesso dimenticare che, anziché prevalere un secolo dopo, queste aspirazioni finiscono "in un vile piagnisteo". O piagnucolano quelli, o noi, con Marx, ragliamo.

Vi è poi, terza sottospecie: c) il socialismo tedesco, scuola oggi dimenticata, che parodiò le critiche francesi alla società borghese prima che questa sorgesse in Germania, e contrappose un "operaismo" economico ed imperiale al nascente capitalismo e liberalismo tedesco, sempre dalla parte di dietro. Fu spazzato via dal '48, come il socialismo feudale francese lo era stato dal '93 e quello russo doveva esserlo dal '905.

Vive ovunque il socialismo piccolo-borghese, scaffale I, raggio b), ed è quello che, in tutto il mondo, dal cominformismo è mantenuto. Esso non sta tra capitalismo e comunismo, sta addirittura al di là del primo.

La seconda sorta è il socialismo conservatore o borghese. Esso non vuole tornare indietro, ma nemmeno andare avanti, vuole fermare la storia al modo mercantile, ottenendo giustizia per i salariati. Il suo profeta è Proudhon, e il suo gran sacerdote, come nel Dialogato mostrammo, è stato Stalin[1].

«Poiché questo socialismo borghese ha cercato di distogliere la classe operaia da ogni moto rivoluzionario, dimostrando che ciò che le può giovare non è questo o quel cambiamento politico, ma soltanto un cambiamento delle condizioni materiali di vita, dei rapporti economici»[2], esso ha trovato il suo equivalente nell'economismo russo, contro cui Lenin inferocì.

La teoria base di Stalin: costruzione del socialismo in un solo paese, compatibile con la pacifica convivenza coi regimi capitalistici in altri paesi, che cosa è dunque, se non puro "economismo", portato dalla scala nazionale a quella mondiale; socialismo identico a quello che a turno avrebbe perdonato a Luigi XVI, a Guglielmo I, a Nicola II, dato che oggi perdona a Elisabetta II e al generale Eisenhower?

Se esso è socialismo bestia in storia e politica, non lo è meno – e come lo potrebbe? – in economia, giusta il più potente dei colpi di maglio avventato nella sua fucina da Vulcano-Marx[3]. Come il capostipite Proudhon, esso illude le masse che si possa uscire dai limiti del capitalismo senza spezzare il suo involucro mercantile.

La terza sorta è da Marx rispettata, perché va in avanti. È il socialismo critico-utopistico. Qui sono dei veri nemici del capitalismo, specie nella prima fase dei moti proletari istintivi di Inghilterra e Francia agli albori del secolo scorso, e non manca l'elemento critico: grandeggiano i nomi di Saint-Simon, di Owen, di Fourier, di Cabet. Se non prevedono l'azione di classe e si limitano a piani sociali, la società che essi descrivono è però la vera negazione del capitalismo. Le loro affermazioni sulla società futura «hanno ancora un senso puramente utopistico», perché essi «conoscono appena nella sua prima indeterminatezza il contrasto fra le classi, che comincia appena a svilupparsi proprio in quel momento»[4]. Ma noi marxisti moderni, che tutto fondiamo sui contrasti di classe, di cui abbiamo dato la completa dottrina e di cui viviamo la pratica, teniamo per nostre queste affermazioni, perché definiscono la sola società socialista. Meditiamo questo passo essenziale, e ripetiamolo, quando descriviamo (come ci prepariamo in breve a fare) l'odierna non socialista Russia: «Abolizione del contrasto fra città e campagna della famiglia del guadagno privato del lavoro salariato [E, in positivo: Annuncio dell'armonia sociale Trasformazione dello Stato in una semplice amministrazione della produzione»][5]. Questa è dialetticamente la posizione: gli utopisti desideravano e proponevano che tutte quelle forme fossero abolite: noi marxisti dimostriamo che saranno abolite, da forze sociali che il capitalismo ha già destate.

Saluto all'utopismo. Forse in Russia lo stalinismo reggerà più a lungo, perché, saldandosi le due rivoluzioni, il moto russo ha bensì percorso tutta la gamma dei socialismi retrogradi estatici, flagellandoli, ma gli è mancata la terza forma, insufficiente teoricamente, protesa tuttavia verso una società socialista non adulterata, non venale, non filistea; la vigorosa, generosa utopia.

 

32. Prima crisi interna: marxismo legale

La grande caratteristica del comunismo russo è che, sebbene circondato da una selva di feroci nemici non ha esitato a battersi con essi tutti, e al tempo stesso sui fronti di dissenso interni. Come ne sarebbe figliato l'odierno sporco unitarismo per uso non solo interno ma anche esterno (Lenin delimitava con una cortina, quella sì di acciaio, i confini del partito; gli squallidi untori di oggi si esibiscono da tutti i lati ad aperture nuove e a slabbrature ulteriori di quelle di una lunga carriera) non si intende; o si intende bene che allora si andava alla rivoluzione, oggi le si volgon le terga.

Se in Russia, come dicevamo, non vi fu utopismo proletario, gli è perché, quando il movimento si svolse fino alle premesse di un partito, la teoria di questo partito era internazionalmente bell'e fatta, e giungeva da fuori. A chi con essa prendeva contatti soltanto libreschi, era possibile equivocare fino al punto di supporre – fraintendendo il fondo della dottrina – che essa dovesse, sì, sorgere da un difficile e tormentato succedersi di lotte sociali, ma che, una volta possedutala, il moto potesse abbreviarsi.

Ora ben fece il partito a "importare" la già disponibile arma strumentale che è la teoria di partito. Nulla vi è, in questo, di idealismo. Il marxismo non poteva formarsi, le scoperte che lo costituiscono non potevano raggiungersi, prima che si fosse diffuso il modo di produzione borghese e formata in esso la classe proletaria, in grandi e sviluppate società nazionali; ma, una volta formato, esso è valido per le zone, i campi, che arrivano con ritardo, e vale a stabilire quale sarà il processo che li attende e che nello stesso modo si determina. Questo è vero per l'ideologia quanto per ogni altra tecnica ed attrezzatura: la nozione di come si fa una nave o una macchina utensile diviene subito generale e mondiale, e sempre più nel mondo moderno: se oggi in Cina
costruiscono una fabbrica, vi metteranno le stesse motrici esistenti nella migliore fabbrica americana; e, analogamente, non avrebbero ragione di ristudiare la struttura dell'economia del capitale per trovarne ex novo le leggi senza andarle a leggere in Marx…

Solo che appunto queste leggi provano che il capitalismo arriva in modi penosi ed esosi, eppure lo si deve attraversare se si vuole andar oltre; non insegnano certo un segreto "politico" per farlo più comodamente.

I primi entusiastici lettori delle poderose opere di Marx non si resero conto – è difficile diventare marxisti solo leggendo – che la maturità del movimento non si raggiunge con la sola divulgazione di testi, come non la si raggiunge lasciando fare alla "spontaneità" delle masse. Si tratta di due diversi momenti: la conoscenza dottrinale non è fatto singolo anche del più colto seguace o capo, e nemmeno è condizione per la massa in moto: essa ha persoggetto un organo proprio, il partito. Nemmeno questo si forma per comunicazione di freddi dati scientifici: si forma nel moto storico e da tutte le diverse vicende delle lotte di classe.

Questo processo fu ricapitolato da Lenin nel Che fare?, come è ben noto.

Citiamo il passo, rifacendoci ai cenni già dati sugli albori del movimento marxista in Russia: esso è nella conclusione dello scritto[6]. Decennio 1884-1894: nascono e si rafforzano la teoria e il programma della socialdemocrazia. La nuova corrente non ha in Russia che alcuni seguaci: la socialdemocrazia esiste senza movimento operaio; si trova, come partito politico, nella fase intrauterina.

1894-1898: la socialdemocrazia viene alla luce come movimento sociale, come ascesa delle masse, come partito politico. Gli intellettuali – per lo più ex populisti – che avevano abbracciato la dottrina marxista entrano nel movimento operaio in questa fase; in sostanza essi intendono che bisogna al tempo stesso combattere l'informe politica populista – seguire la teoria socialista marxista – aderire al moto sociale delle masse – non dimenticare l'esigenza, appresa in fase populista, di rovesciare l'ordine esistente, lo zarismo autocratico.

1898-1902 (data in cui l'autore scrive): mentre il moto operaio cresce ancora in vigore e combattività, il partito si impegna in una crisi di assestamento caratterizzata da incertezze e oscillazioni, e da abbandono, da parte di taluni, dei punti fondamentali. La corrente più pericolosa che per prima richiese in questa fase l'opera di Lenin è quella dei marxisti "legali".

 

33. Contro lo struvismo

I marxisti legali continuano la polemica ideologica contro gli errori dei populisti (Lenin non esclude in questo campo una certa collaborazione con essi) e fanno la giusta critica della prassi dell'azione individuale terrorista, ma si spingono fino a negare la necessità di una lotta politica diretta ad abbattere il potere zarista, e propongono di limitare l'attività alla diffusione della dottrina marxista con mezzi tollerati come legali dal regime vigente. Il loro principale esponente è Pëtr Struve, fieramente battuto da Lenin nelle sue direttive che giungono fino alla neutralità verso lo zarismo e all'apologia del capitalismo, imboccando la via che poi sfocerà in un liberalismo di tipo borghese, con l'abbandono e il tradimento anche dottrinale del comunismo rivoluzionario.

In effetti a Minsk nel 1898 non si era fondato un vero partito, ma tenuto un poco numeroso congresso, disperso dalla polizia. Lenin, assente in Siberia, fu designato redattore dell'Iskra: da questo punto decisivo nasce l'impianto del duro lavoro per costituire il partito, superando le oscillazioni, "liquidando il terzo periodo".

La fine dei marxisti legali, «questo suo precoce successo come profeta, servì a confermare la profonda fiducia in sé» del giovane Lenin. Lo dice Wolfe nel suo noto libro di non ortodossa linea marxista[7]. Indignò Lenin la famosa conclusione di un libro di Struve: «Confessiamo la nostra mancanza di cultura e chiediamo al capitalismo di istruirci». Wolfe pretende che Lenin, capo della Russia rivoluzionaria, «nel combattere l'inesperienza economica, l'incapacità e il caos» abbia un giorno ripetuto le stesse parole[8]. Ma allora si trattava di importare l'attrezzatura tecnica capitalistica d'Occidente, mentre con Struve si trattava di stabilire la teoria rivoluzionaria, e questa non la si andrà certo ad imparare dai grandi industriali!

Restano in tutto il loro valore le parole dello stesso Lenin nel 1907, ivi riportate da Wolfe: «La vecchia polemica con Struve fornisce un esempio istruttivo del valore pratico del non scendere a compromessi nelle controversie teoriche […] Era utile considerare la situazione com'era dieci anni fa, da quali minori divergenze teoriche con lo struvismo allora visibili – minori a prima vista – si sia giunti alla completa delimitazione politica del partito»[9]. Dunque il preteso praticone e spregiudicato Lenin considerò sempre i contrasti dottrinali sostenuti fino in fondo come la vera via dello sviluppo delle future forze rivoluzionarie; la storia lo ha confermato.

 

34.  Lotta contro l'"economismo''

La prima forma in cui l'ala destra del marxismo russo si presentò nel partito socialdemocratico fu quella della tendenza economista, che Lenin combattè a fondo con l'Iskra e nella laboriosa preparazione del famoso congresso del 1903 (Bruxelles-Londra) che dette luogo alla distinzione, ma non ancora formale scissione organizzativa, tra bolscevichi e menscevichi.

Un manifesto degli economisti fu lanciato fin dal 1899, e Lenin subito contrappose ad essi una riunione di diciassette militanti deportati in Siberia, che si pronunziarono per la condanna ed eliminazione di quel gruppo dal partito[10].

Gli economisti sostenevano che dovesse darsi importanza solo all’organizzazione economica e alle conquiste materiali degli operai nella lotta contro i capitalisti per il miglioramento delle condizioni di lavoro. Essi svalutavano la lotta politica nei suoi obiettivi, nei suoi organismi. Ritenevano secondaria, e infine inutile, la formazione del partito politico operaio.

Possiamo paragonare l'economismo russo a tutti i movimenti occidentali che hanno svalutato il compito del partito, rilevando però che vi è una grande differenza storica: questi ultimi movimenti si ponevano il problema nei paesi di prevalso capitalismo, e negavano il partito e la lotta per il potere ai fini degli interessi di classe del proletariato. Ne abbiamo vari esempi. Nel paese classico del capitale, l'Inghilterra, il partito politico è un agglomerato di organizzazioni economiche, le Trade Unions, ossia i sindacati di mestiere, e se è vero che esso partecipa alle elezioni e agisce in parlamento, manca d'altra parte di ogni programma classista e rivoluzionario e di ogni delimitazione teorica, e la sua non è politica di lotta di classe, ma di costituzionale collaborazione. Si ha quindi il laburismo o operaismo, o sindacalismo di destra: l'Inghilterra non ha mai avuto un grande partito politico marxista, di opposizione istituzionale e sociale.

La svalutazione del partito politico come organizzazione massima della classe lavoratrice e come organo della futura conquista rivoluzionaria del potere politico, costituì il fondo della deviazione dei libertari bakuninisti nella scissione della I Internazionale: invero costoro si spingevano a considerare troppo autoritari perfino le organizzazioni sindacali e il metodo degli scioperi; erano, più che economisti, prepopulisti, opponevano al partito di classe l'individuo ribelle o la massa anonima sollevantesi – concezione non avanzata, ma retrograda, popolaristica.

In epoca più recente la diffamazione del partito politico fu svolta dal sindacalismo, che si diceva rivoluzionario e di sinistra[11]. Partendo dalla degenerazione legalitaria e parlamentare dei partiti socialisti della fine del secolo, questo movimento, forte in Francia e in Italia, poneva il compito dell'emancipazione proletaria, anche insurrezionale, nelle mani dei sindacati economici e di un non ben definito loro sistema. Cadde tutto ciò con la prima guerra mondiale. Non deve tacersi che un certo "economismo" operaista, nutrito di diffidenza verso il partito, e negatore della tesi (in cui il nostro gruppo della sinistra italiana è ortodossamente con Marx e Lenin) che il partito comunista è l'organo della guerra rivoluzionaria e della dittatura di classe (e questa è, sia detto senza riserve, dittatura del partito), si ripresentò in correnti della III Internazionale (olandesi, ungheresi, americane, scozzesi, tedesche). Una versione di tale operaismo è l'ammissione al partito politico di soli operai, altra veduta distorta del problema di organizzazione.

 

35. La rivoluzione, privativa borghese!

Ma gli economisti russi non volevano il partito di classe già prima che la rivoluzione borghese rovesciasse politicamente l'assolutismo. Essi affermavano che la lotta economica interessava il proletariato, la lotta politica invece la borghesia, che doveva compiere la rivoluzione democratica, compito non spettante agli operai dato che i loro interessi sono in contrasto con quelli dei loro padroni borghesi… tesi insidiosa perché apparentemente classista, in realtà controrivoluzionaria e assolutamente al di fuori della posizione dialettica di Marx. In ogni luogo e tempo, ogni "compromesso teoretico" tra borghesi e proletari (tra proletari e piccoli borghesi peggio ancora) va scongiurato e condannato. Ma la concomitanza e, sia pure detto chiaramente, l'alleanza nei moti rivoluzionari tra borghesia e proletariato (e altre classi finché antifeudali), è un problema che va risolto secondo i campi geografici e storici giusta la linea dorsale che qui strettamente applichiamo.

L'economismo, che sembrava detestare le alleanze con la borghesia, apriva la via all'opportunismo antirivoluzionario: riluttante a entrare nella rivoluzione antizarista, a sua volta sarebbe finito nella riluttanza a entrare in ogni moto rivoluzionario e in ogni dittatura rivoluzionaria: non voleva toccare la mano della borghesia in un moto insurrezionale; avrebbe finito col farlo quando essa fosse giunta al potere democratico.

Qui un'altra tappa possente della costruzione bolscevica, che non è la semplice lotta contro tanti scaglioni di opportunismo in Russia, ma è settore della lotta storica e mondiale del marxismo contro tutti i revisionismi, ad ogni latitudine, longitudine e data di passaggio sul quadrante universale.

Nel Che fare? Lenin mette per sempre a fuoco queste tre questioni: 1) Carattere e contenuto essenziale della nostra agitazione politica. 2) Lavoro per l'organizzazione di classe del proletariato. 3) Creazione di un partito politico proletario unico per tutta la Russia e diretto centralmente. Sul primo punto la risposta è crudamente: non disinteresse, ma sostegno alla rivoluzione borghese, democratica, con carattere antifeudale e antidinastico, anche se si fermerà a questo.

 

36. Questione di organizzazione

Avviandoci a richiamare le linee essenziali della divisione dei marxisti tra menscevichi e bolscevichi, su cui tanto si è scritto ma così poco si è chiarito, facciamo notare che la cosa ci interessa soprattutto ai fini del problema della "tattica", e meglio ai fini del problema storico circa l'azione del partito di classe nella situazione di "attesa di rivoluzione borghese". Urge tale questione al fine sia di intendere il processo rivoluzionario russo spiegando il suo sbocco attuale e la presente struttura sociale in Russia (ne trarremo la prova che la duplice attesa è stata soddisfatta solo per la costruzione, in corso, di una società capitalista, e non per quella di una società socialista, pur essendosi svolta la duplice battaglia rivoluzionaria), sia all'altro fine (che in altro tempo formerà un obiettivo del nostro lavoro) di fare il bilancio sul trasporto nel campo internazionale, e nei campi di sviluppato capitalismo, delle lezioni di quello sviluppo russo. È in questo campo che il leninismo, e Lenin stesso, nei limiti da ben precisare, sono incorsi in insuccessi e ostacoli, che lo stile oggi di moda chiamerebbe errori.

Per il metodo marxista l'errore e ... l'imbroccata sono due cose che dovevano entrambe accadere per necessità. Molte battaglie, guerre statali e guerre sociali, sono state vinte "sbagliando". È il rimbambito piccolo borghese che ha una sola misura per spiattellare le sue lodi: il successo.

Prima di venire alle divergenze sulla tattica tra le due ali del partito russo che Lenin in partenza chiama esattamente rivoluzionaria e opportunista (noto essendo anche che tutte le personalità dei cui nomi si imbottisce la storia cambiarono più volte ala, e che i due famosi termini bolscevichi e menscevichi vogliono solo dire: quelli che sono di più e quelli che sono di meno, mentre anche il rapporto numerico mutò più volte di senso) non possiamo tuttavia non ricordare che le prime divergenze furono sul problema di organizzazione del partito. Il Che fare? è dedicato in massima parte a questa questione (1902). Sulla questione politico-storica si diffondono Un passo avanti, due indietro, pubblicato nel 1904, che fa il bilancio del congresso 1903, in cui i bolscevichi vinsero sulle sole elezioni delle cariche, perdendo su altri punti, e Due tattiche, scritto nel 1905 in pieno moto rivoluzionario.

La questione di organizzazione, a parte i caratteri propri di un periodo di illegalità e feroce reazione poliziesca (che ben può aversi anche in paesi e tempi di pieno capitalismo) vale a mettere a fuoco il problema della natura del partito, dei rapporti tra partito e classe, e ad esso abbiamo dedicato altri scritti[12], mostrando la perfetta ortodossia marxista di quella posizione e di quelle della sinistra italiana. Non vi ritorniamo in esteso.

 

37. Condanna di "autonomie"

Va tuttavia rilevato come un'assoluta analogia, che Lenin in molti passi rende evidente, corra qui con l'opportunismo occidentale. Il famoso articolo 1 dello statuto su cui si svolse la battaglia massima[13], stabiliva che per aderire al partito fosse necessario far parte di una delle organizzazioni di periferia. Apparentemente sembra che Lenin distinguesse tra i semplici militanti del partito e i "rivoluzionari professionali", i cui più ristretti gruppi formavano l'ossatura dirigente. Mostrammo più volte che qui si tratta della rete illegale, e non della sovrapposizione al partito di una apparecchiatura burocratica di gente pagata. Professionale non significa necessariamente stipendiato, ma dedicato alla lotta del partito per volontaria adesione, svincolata ormai da ogni associazione per motivi di difesa di interessi collettivi, anche se questa rimane la base determinista del sorgere del partito. Tutta la portata della dialettica marxista è in questo doppio rapporto. L'operaio è rivoluzionario per interesse di classe, il comunista è rivoluzionario per lo stesso fine, ma elevato oltre l'interesse soggettivo. Era Martov che pretendeva si potesse essere membri del partito SENZA far parte di una delle organizzazioni di base, in modo che capi politici e intellettuali – cosa diversa dagli agenti illegali – potessero stabilire un legame diretto fra la loro persona e il partito come centro; il che Lenin vietò.

Va notato che proprio in quegli anni si dibatteva la stessa questione nei partiti europei. In Italia, mentre nelle sezioni periferiche gli elementi di sinistra lavoravano ad epurare elementi intellettuali, o intellettualoidi, politicanti e opportunisti per superelezionismo, lo statuto tollerava ancora la iscrizione "presso la Direzione del Partito" la quale ripescava tali relitti al di sopra del parere dei compagni e della maggioranza di lavoratori che ben li avevano conosciuti. Ciò si faceva a volgari fini parlamentari, ammettendo che un deputato, eletto non come candidato del partito, potesse tuttavia "iscriversi al gruppo parlamentare", il quale pretendeva di godere di una sua autonomia e di deliberare nel proprio seno la condotta da tenere. La sinistra finì prima della guerra con l'ottenere che queste autonomie fossero abolite e che tutta l'azione del partito e del singolo membro fossero guidate dalla direzione eletta, dai congressi, o comitato centrale.

Queste tesi sono le stessissime che troviamo in Lenin e nelle sue sferzanti demolizioni della "libertà di critica", dell'autonomismo, delle vane proteste degli opportunisti palesi o in incubazione contro la disciplina, contro il "dogmatismo teorico" e simili.

 

38. Spontaneità e coscienza

Poiché serve di passaggio alla questione tattica, ricordiamo le tesi di quell'aureo capitoletto intitolato "La spontaneità delle masse e la coscienza della socialdemocrazia''[14], dove sarebbe ormai meglio stampare non più socialdemocrazia ma partito comunista, non essendo le parole che transeunti simboli comodi.

La questione è grave. Nel nostro tempo borghese l'azione del partito di classe è lineare, e se volete monolineare: va contro l'ordine capitalista e con le sole forze del proletariato. Al tempo di Lenin era bilineare, ossia muoveva contro l'ordine feudale dispotico e contro il capitalismo, presente come rapporto economico-sociale, ma non ancora come potere statale. La fase storica delle alleanze interclassiste non era chiusa, ed era anzi il primo problema. Non solo malgrado questo, ma tanto più per questo, il partito doveva avere non una frontiera elastica e indistinta, facile da varcare e rivarcare, ma ferrei limiti di dottrina e di organizzazione opposti allo stesso titolo ai nemici dichiarati e ai famosi transitori compagni di viaggio. Questi possono essere affiancati nella lotta per le strade, ma tanto più vanno severamente diffidati e criticati nelle loro posizioni ideologiche e nei loro organi associativi. Ecco la posizione di Lenin; ecco, strettamente identica, quella di Marx quando spinge innanzi a sferzate le rivoluzioni borghesi, quella russa soprattutto, e quando insieme scarnifica le false teorie e le basse manovre dei partiti che le conducono e dei loro capi borghesi o piccolo-borghesi.

Le tesi dei marxisti radicali sono su questo punto precise. Esse non si riducono al facile caso lineare della moderna lotta proletariato-borghesia. In questa è indiscutibile che il limite teorico e quello organizzativo non vannoinfranti, e nemmeno va infranto quello tattico: si viaggia soli, si rifiutano alleati come regola generale (non è un principio filosofico: è solo una regola storica). Ma nel periodo vissuto fra tremende difficoltà dai bolscevichi nel periodo bilineare, non si ha la facile difesa del rigido limite tattico, ossia di pratica politica, di azione materiale; bisogna varcarlo più volte, e in vari sensi (esempio: boicottare una Duma, entrare in un'altra; ammettere al governo il partito S.R., poi metterlo fuori legge, ecc.). Allora diventa veramente arduo afferrare, e difendere solidamente per un ventennio, la posizione secondo cui, nonostante tutto il manovrare che la storia impone, il limite teorico, il limite organizzativo, vanno ferocissimamente difesi da ogni rottura.

 

39. Masse e partito

Quindi spontaneità della massa, coscienza del partito. Oltre alla parola socialdemocrazia, Lenin accetterebbe di togliere anche l'abusata parola coscienza, contro la quale si batté da leone più volte. Al congresso 1903 poco parlò sul progetto di programma di Plechanov, con cui concordava contro gli innumeri emendamenti proposti dal destrissimo Akimov, che sbraitava: Qui i concetti di Partito e Proletariato stanno sempre in opposizione! Il primo come collettività attiva, causativa, il secondo come mezzo passivo sul quale e attraverso il quale opera il Partito! Si usa il nome del partito come soggetto, al nominativo, quello del proletariato come complemento al genitivo, o come interpreta Wolfe, all’accusativo (Wolfe scrive in inglese, lingua che non ha casi, e osserva che, in russo, genitivo e accusativo hanno la stessa desinenza)! Wolfe ha un credo non marxista (in effetti, crede sul serio di essere marxista) ma tra l'idealista storico e il libertario, e séguita ad ogni passo a vedere contraddizioni fra tempi lontani dell'opera complessiva di Lenin, laddove non esistono affatto. Egli qui nota: fece ridere questa critica grammaticale, ma tra quelli che ridevano molti vissero abbastanza per vedere che si trattava di un senso profondo non simbolico. E pretende dire che, in effetti, il bolscevismo realizzò la pressione del partito sul proletariato[15].

Dunque Lenin in questo primo dibattito lasciò combattere Plechanov da par suo, ma citammo già [vedi nota 79] come saltò su alla parola coscienza. Si proponeva che, in un passaggio in cui si allineava tra le contraddizioni del capitalismo "il crescere della insoddisfazione, della solidarietà e del numero dei proletari", si aggiungesse "e della coscienza". È un peggioramento, disse Lenin, e fa sorgere l'idea che lo sviluppo della coscienza sia cosa spontanea. «Ora, al di fuori della influenza del partito non vi è "cosciente" attività dei lavoratori»[16]. È pesante, ma è così.

Quindi l'azione dei proletari è spontanea in quanto sorge dalle determinanti economiche, ma non ha per condizione la "coscienza", né nel singolo, né nella classe. La fisica lotta di classe è fatto spontaneo, non cosciente.

La classe raggiunge la sua coscienza solo quando nel suo seno si è formato il partito rivoluzionario, che possiede la conoscenza teorica poggiata sul reale rapporto di classe, proprio, in fatto, di tutti i proletari. Questi però non potranno mai possederne la vera conoscenza – ossia la teoria – né come singoli, né come totalità, né come maggioranza, finché il proletariato sarà soggetto all'educazione e alla cultura borghesi, ossia alla fabbricazione borghese della sua ideologia e, in buoni termini, finché il proletariato non vincerà e… cesserà di esistere[17].

Quindi, in termini esatti, la coscienza proletaria non vi sarà mai. Vi è la dottrina, la conoscenza comunista, e questa è nel partito del proletariato, non nella classe.

Diremmo volentieri conoscenza, dottrina, teoria, al posto di coscienza, perché per coscienza si suole intendere un'attività soggettiva della persona, e tale accezione porta a concludere falsamente che, come il partito è cosciente di un'azione che nel proletariato è incosciente (spontanea, non preceduta da deliberazione), così il Capo del partito è quello che inietta in esso la coscienza, il che sarebbe fesseria gigante, di cui i Wolfe si spaventano per le conseguenze autocratiche ed inseguono lungo le pagine di un racconto sentito e brillantissimo la chimera dei "Tre che fecero una rivoluzione"[18] – Lenin, Trotsky, Stalin.

 

40. Lotta per la democrazia, e proletariato

Già tuttavia in Che fare? vari passi e tutto un paragrafo[19] ci servono a chiarire la posizione sul problema storico "contingente" dell'appoggio alla democrazia. A Wolfe sembra che quel gruppo di persone, chiuso in una sala a Londra e disputante accanitamente su sfumature di parole e frasi, fosse paurosamente lontano dalla realtà della lotta in Russia, che andava divampando[20]. Eppure Lenin ha dedicato tutto un altro lavoro analitico (Due passi…) alla ulteriore anatomizzazione degli episodi, in apparenza bizantini, di quel lungo congresso. Sarebbe stato tempo perduto, girata a vuoto?

In verità, in tutto il dipanare la via rivoluzionaria dalle oscillazioni opportuniste, ogni tanto lampeggia luminosamente la viva potenza dell'evento futuro, di dieci, di venti, di trenta anni dopo. La questione dell'appoggio alla democrazia è vista in modi diametralmente opposti dalle ali, dalle "anime" del congresso.

Ad esempio Lenin riferirà che il compagno Posadovskij (un sinistro) a un certo punto solleva il problema di una "seria divergenza" nella questione fondamentale del "valore assoluto dei princìpi democratici". Con Plechanov, egli ne nega il valore assoluto. Subito i destri, gli antiskristi, i capi, come Lenin dice alla sua maniera poco cerimoniosa, del centro del pantano, violentemente protestano contro l’oratore[21]. È uno degli esempi di come Lenin con la sua potente analisi elabori, da tanto fluttuare di pareri e cambiare capriccioso di posto, e perfino di spinto nervosismo (come si verifica in certe sedute segrete di partito, per chi ne ha qualche viva esperienza), la sintesi luminosa della scissione in due termini inconciliabili, tra quelli che qui coloritamente chiama i giacobini e i girondini del partito: lui, si capisce, giacobino! Sono le sedute in cui si racconta che Plechanov, ammirato, sussurri ad Axelrod durante un intervento aspro di Lenin: è di questa stoffa che si fanno i Robespierre[22].

Ebbene quella formula del poi dimenticato compagno Posadovskij vive ancora dopo mezzo secolo, e separa ad esempio il simpatico Wolfe – che pone nel suo Credo in epigrafe al libro passi di sapore storico-idealistico[23] e insegue per tante pagine l'alternarsi di un Lenin feroce e cinico ad uno che crede che il socialismo stia tutto nel "sacro limite" della libertà; che quindi si schiera, lui, Wolfe, tra quelli che ammettono "il valore assoluto del principio democratico", assoluto, ossia sopra i tempi e le classi – e noi, che vediamo il socialismo come la negazione del principio democratico, il cui valore non è eterno ed assoluto, ma borghese e individualista soltanto[24]: mentre storicamente difendiamo la tesi che il partito russo e Lenin dovevano appoggiare la lotta per la democrazia, che in sostanza è la lotta per il capitalismo e null'altro.

In quel frangente storico il comunista può, anzi deve dare per la democrazia fino all'ultimo lembo della sua stessa pelle. Tradisce se le accorda di ripiegare un solo minimo lembo della Dottrina del Partito. Nel primo caso, al giusto momento storico andrà oltre la democrazia e la calpesterà con lo stesso entusiasmo con cui la sostenne. Nel secondo si troverà, a quel momento, entro il limite – inconsciamente postosi – più controrivoluzionario che vi sia, legandosi le mani e sciogliendole alla reazione borghese, per non violare la mistica imbecillità del valore assoluto del principio di libertà.

 

41. Magiche formule di Lenin

Non si legge senza "chiave" e si deve sfuggire l'insidia delle citazioni staccate a sorpresa, non infilzate, come noi usiamo sistematicamente, sul filo del tempo. Bisogna intendere quale parte di ogni passo, e quasi di ogni proposizione, stia a far salva la nostra dialettica impostazione delle pomposità metafisiche degli assoluti, e quale miri all'appoggio pratico, di azione, che bisogna al giusto punto e col giusto effetto accordare al moto, al fine, che nostro non è, ma che preme di veder procedere, di veder raggiungere.

Prendiamo dunque il paragrafo di Lenin[25], come tappa della prova che mai quel movimento, che noi stessi chiamiamo col suo nome, esitò e ondeggiò tra la suggestione di un "valore assoluto" filosofico, e la volgare tentazione di farci uno sbrego, solo per vincere più presto, per la gioia del "potere".

Formule difficili da leggere, intendere e applicare perché, nel periodo della storia biforcuta, e della lotta su due fronti, si leggono in due modi e con due suoni che contrastano e insieme armonizzano, sicché civettando con Marx le diciamo magiche, a rischio di sentir qualche fesso dire, come tante volte, che siamo per un partito di iniziati, o di apprentis sorciers, apprendisti stregoni.

Loro, i beffatori e truffatori del proletariato, sembrano sempre piani, facili, scorrevoli e di una sorridente banalità. Concediamo loro che Lenin formulatore era l'asso della chiarezza saldata alla profondità, facciamo un po' anche noi la corte all'esemplare umano di eccezione, purché resti stampato lo schifo per la livida trasparenza raggiunta adottando la disossatura gelatinosa del mollusco.

Gli economisti avevano detto, ipocritamente: Dando "parole" di agitazione politica antizarista, e quindi democratica, non si sviluppa la coscienza socialista degli operai, perché «i limiti» entro i quali così ci si muove «sono troppo ristretti»: la lotta contro la borghesia ne resta fuori. Dalla lotta solo economica col padrone, essa coscienza invece viene fuori.

Lenin «adopera volontariamente una formula rozza, recisa, semplificata»: «la coscienza di classe può essere portata all'operaio solo dall'esterno, cioè dall'esterno della lotta economica, dall'esterno della lotta tra operai e padroni [lo avevi mai letto, Antonio Gramsci?]. Il solo campo dal quale è possibile attingere questa coscienza è il campo dei rapporti di tutte le classi e di tutti gli strati della popolazione [osiamo aggiungere: in tutte le epoche] con lo Stato e con il governo, il campo dei rapporti reciproci di tutte le classi…  Per dare agli operai cognizioni politiche non ci si può limitare a dare una sola risposta, a dare quella risposta che nella maggior parte dei casi accontenta i militanti, soprattutto quando pencolano verso l'economismo, e cioè: andare fra gli operai. I comunisti devono andare fra tutte le classi della popolazione»[26].

Questo, dice Lenin, fa stabilire la differenza tra il volgare tradunionismo e la politica comunista (al solito: socialdemocratica). Qui è ovvio che si può incappare nel leggere alla rovescia, specie se non ci si collega a tutte le ulteriori formulazioni dei successivi scritti circa la lotta contro il potere zarista, per una democrazia elettiva, per una repubblica borghese, anche.

 

42. Il difficile varco

Fino a che la stessa borghesia, con la sua costellazione di popolo fatta di artigiani, contadini, magari bottegai, e così via, ha un ponte storico rivoluzionario da attraversare nella lotta contro il potere feudalistico e dinastico, i socialisti non esiteranno a lavorare tra borghesi e piccoli-borghesi, al fine di inasprire quel contrasto, di affrettare il passaggio su quel ponte, armata manu.

Solo dal complesso di queste esigenze storiche, nella fase composita, si può attingere un orientamento per la classe operaia tale da avviarla alla successiva lotta non solo contro gli attuali alleati capitalisti, ma, al giusto momento, anche contro il loro corteggio di medie classi.

Il senso meno immediato, e valido in tutto il corso storico, è che il solo far leva sul rapporto sindacale, tra operaio e padrone, non condurrà mai alla forza politica di classe che solo nel partito si attua, in quanto esso giunge a dominare nella sua visione tutta la linea della storia. Illusione è quella che immediatamente, spontaneamente, divenga un milite della rivoluzione il lavoratore resosi conto del contrasto d'interesse particolare col datore di lavoro: lo sarà solo quando, in un campo non ristretto, riceverà nel partito e dal partito la visione di un grande corso che milioni di uomini attraversano e che conduce tutti i paesi di vasti continenti allo sbocco nel socialismo.

Non bastano a una tale coscienza i dati del duetto di due personaggi e di una sola rivoluzione. In Lenin le rivoluzioni sono due e i personaggi tre, principalmente, perché così era nella Russia del suo tempo, e così in sostanza in tutto il campo in cui la rivoluzione si muove e che oggi ancora comprende, e sarebbe insensato ignorarlo, le immense popolazioni di Oriente.

A questa scuola formidabile il proletariato russo, per aver combattuto decisamente nella rivoluzione borghese-democratica, e anzi per essersene messo direttamente sulle spalle il peso immenso, capitanando lui stesso ai fini borghesi le sottoclassi popolari, nate a far da soldati ma non da capitani della storia, giunse a non subire "i valori assoluti del principio democratico" quando si trattò di erigere la sua dittatura come forza "pura".

Sarebbe stato un miracolo se non lo avesse fermato il pauroso imborghesimento dei lavoratori dei paesi capitalistici, che lottavano nella situazione unilineare; che cioè avevano dinnanzi una democrazia che non occorreva aiutare a nascere.

Il proletariato russo ha camminato sempre in avanti. Il suo esempio, impiegato a rovescio del tempo, è stato mal trasferito nella lotta dell'Occidente, ove purtroppo il movimento opportunista ha trascinato le masse a camminare all'indietro, le ha di nuovo immerse nella superstizione dell'assoluto democratico.

Lungo sarà il tutto rifare.

 

43. La prospettiva storica

Con il ricorso alle opere di Lenin del periodo iniziale, il problema storico di cui stiamo per completare l'inquadratura – l'arrivo della rivoluzione borghese visto dal partito della rivoluzione proletaria – è stato svolto per una situazione (come Lenin stesso rileva) originale nella storia, anche rispetto all'altro classico esempio della Germania prima del 1848, del quale Marx ed Engels ebbero già a dare tracciato e inquadratura completi.

Prima infatti che il moto rivoluzionario antifeudale sia maturo, abbiamo già il partito con una teoria propria originale che da tutti lo distingue, e con una organizzazione anche del tutto indipendente.

Nei lavori del periodo 1898-1904 Lenin (sulla ferma linea della sistemazione teorica già data da Plechanov nel precedente decennio) consolida le questioni del rapporto tra classe e partito, dell'organizzazione del partito; ed opera, come anche in seguito, alla "delimitazione", ossia alla incessante epurazione, del partito stesso, rigettandone insufficienze e opportunismi.

Con l'avanzare dell'ondata del 1905 e di un periodo di incandescente lotta politica, alle esigenze della saldezza teorica e organizzativa si aggiunge quella della strategia rivoluzionaria, che inevitabilmente dà luogo non solo a dissensi, ma a due opposte posizioni. Non turbato dall'urgere dell'azione, Lenin, lungi dal velare il contrasto, si adopera a sviscerarne il contenuto profondo e a dimostrarne l'insanabilità.

Due sono le questioni che dividono il campo dei "socialdemocratici", ossia dei marxisti russi; o meglio a due principali si riducono le varie questioni tattiche: la linea da tenere nei confronti del movimento antizarista borghese; la linea da tenere verso il movimento contadino.

Immenso è il materiale che il movimento russo pone a nostra disposizione, ma altrettanto grave la difficoltà di fame uso, specie se si dimentica di riferire sempre le soluzioni dei bolscevichi, in opposto a quelle degli opportunisti delle varie rive, al dato momento storico e al quadro delle forze sociali e delle forme economiche, che in quanto precede abbiamo cercato di tracciare. Per non dimenticare mai i punti di orientamento: regime dispotico feudale ancora in piedi; formazione avanzata di capitalismo e proletariato industriale; esistenza del partito proletario ferrato in dottrina e distinto in organizzazione; e per quindi scongiurare i dilaganti falsi riferimenti a situazioni radicalmente diverse, noi (come il lettore ha ben compreso) sfuggiamo al metodo obliquo delle citazioni "spigolate" senza criterio e ordine di fatti e di scritti, e proseguiamo con l'analisi sistematica di organiche esposizioni, organicamente riferite a svolti determinati del processo.

Come abbiamo fatto nella prima parte per il lavoro di Engels sulle cose sociali di Russia, così faremo in questa parte finale per altre due operette di Lenin, relative alla rivoluzione del 1905. Una la precede ed è Due tattiche della socialdemocrazia russa; l'altra la segue ed è Il programma agrario della socialdemocrazia russa [1907]. Non occorre dire come le due questioni strettamente si intreccino.

 

44. Lenin e la questione agraria

Nel nostro recente studio sulla questione agraria, che ripresentò a fondo la teoria di Marx, ci riservammo di svolgere la parte relativa alla Russia utilizzando in modo organico le opere di Lenin, come avevamo fatto per il terzo volume del Capitale e per la Storia delle dottrine economiche. In questa esposizione abbiamo già recato materiali notevoli di Lenin che ne comprovano l'assoluta ortodossia marxista, utilizzando gli scritti del 1900 "contro i critici di Marx". Ed abbiamo altresì già largamente impiegato gli scritti fondamentali contro le idee e la pratica dei populisti, che vertono sempre sul problema agrario[27].

Nell'opera del 1907[28] si tratta non più soltanto della teoria – più volte richiamata e ribadita con le citazioni di Marx ­ ma anche del "programma immediato" dei bolscevichi circa le rivendicazioni agrarie della Prima Rivoluzione.

Non poca confusione regnava allora su questo punto essenziale, e altra volta citammo come Lenin riferisca che "il difetto delle discussioni al congresso di Stoccolma [1904] sta nel fatto che le considerazioni pratiche hanno il sopravvento su quelle teoriche, le considerazioni politiche su quelle economiche[29]", Dicemmo pure come Lenin giustificasse la cosa per il coincidere delle adunate congressuali e dei violenti moti di massa.

 

45. Breve parentesi storica

Ricordiamo che il II congresso del partito fu quello del 1903 a Bruxelles e Londra, ove si contrapposero le due frazioni bolscevica e menscevica: le elezioni del comitato centrale le vinsero i primi, ma il famoso giornale Iskra di Lenin passò ai secondi (Nuova Iskra, neo-iskristi). Nell'aprile 1905 il III congresso del partito, ufficialmente unico (P.O.S.D.R.), fu dai bolscevichi tenuto a Londra, mentre i menscevichi riunivano una conferenza a Ginevra. Il IV congresso del partito si ebbe nell'aprile 1906 a Stoccolma. Fra tali date, come sappiamo, si collocarono le lotte gigantesche della prima rivoluzione russa.

Poiché con l'esame delle questioni centrali il nostro tema attuale si chiude, completeremo quella che non ha voluto essere una vera cronologia, ricordando che il periodo infrarivoluzionario (dalla guerra perduta col Giappone e Prima Rivoluzione, alla guerra mondiale e Seconda Rivoluzione) presenta nella vita del partito, che conviene chiamare di Lenin, queste tappe: al IV congresso di Stoccolma, il partito si riunifica, e i menscevichi sono in maggioranza; il V Congresso si riunisce a Londra nel maggio 1907, e i bolscevichi vi risultano in maggioranza. È questo l'ultimo congresso del partito fino al 1917.

Tuttavia fece epoca nella vita del partito la conferenza di Praga del gennaio 1912, dove convennero i bolscevichi, i quali in effetti, constatando che le divergenze erano divenute insanabili, esclusero i menscevichi dal partito. Tutte le altre frazioni, compreso il gruppo di Trotsky, sconfessarono tale conferenza nelle riunioni a Parigi in marzo e a Vienna in agosto.

Non interessa qui seguire la danza dei nomi e la lunga polemica postuma su meriti e demeriti, che più forse si collega all'altro tema dei dissensi tattici nella III Internazionale: un'organizzata falsificazione ha gettato su tutto questo fitte ombre artificiali.

Secondo Trotsky, ferratissimo in tale ricostruzione, ma messo con la morte a tacere, con l'agosto del 1914 la guerra, spazzando tutto e gettando tutto nel calderone, determinava uno schieramento nuovo e originale di tendenze e tracciava una barriera fra le "cernite" di gruppi e di nomi a seconda che avvenissero prima o dopo tale svolto cruciale.

Questo non ha molta importanza, e a noi basta indicare che in sostanza la situazione storica della vigilia del 1905 si riporta con le stesse linee essenziali alla vigilia del 1917: classi e partiti sono quelli, e la stessa situazione di guerra e di sconfitta si ripete.

Giusto quindi l'impianto della questione costituzionale e di quella agraria nella possente continuità teorica che, per consenso di tutti, Lenin personifica, ma che è patrimonio impersonale del marxismo, del movimento comunista, quale fin dagli anni di lotta 1905-1907 delineò le due letture, prima e dopo i fatti, della questione della rivoluzione.

[1] Cfr. Dialogato con Stalin, nr. 1-4/1952 de «Il Programma Comunista» (poi in vol umetto Ediz. Prometeo, Milano 1953), cfr. pp. 12, 54 e segg. e Capitalismo classico e socialismo romantico, nr. 2/1953 del suddetto quindicinale, entrambi in polemica diretta con i Problemi economici del socialismo nell' Urss, 1952, di Stalin.

[2] Manifesto del Partito Comunista, ed. cit., p. 321.

[3] La Miseria della filosofia, risposta alla "Filosofia della miseria" del signor Proudhon, 1847.

[4] Ancora dal Manifesto, ed. cit., p. 324.

[5] Ibidem, pp. 323-324.

[6] Cfr. Lenin, Che fare?, in Opere, ed. cit., vol. V, pp. 478-479.

[7] B.D. Wolfe, I tre artefici della rivoluzione di Ottobre, ed. La Nuova Italia, Firenze 1953, p. 156.

[8] Ibidem, p. 157.

[9] Ibidem, p. 156.

[10] Lenin, Protesta dei socialdemocratici russi, in Opere, ed. cit., vol. IV, pp. 167-181.

[11] Cfr., una volta di più, il già ricordato I fondamenti del comunismo rivoluzionario, ed. cit., pp. 36-37, 46 e 49-50.

[12] Cfr., oltre al citato I fondamenti ecc., i volumetti Partito e classe, ed. Il Programma Comunista, Milano 1972. reprint 1978. e "L'estremismo, malattia infantile del comunismo", condanna dei futuri rinnegati, idem, 1973.

[13] Al Congresso del 1903 (BruxellesLondra).

[14] Cfr. Lenin, Che fare?, ed. cit., vol. V, pp. 344-439.

[15] Cfr. B.D. Wolfe, op. cit., p. 310. Per Akimov e la sua battuta cfr. Dagli "Atti del secondo congresso del POSDR", in Lenin, Che fare?, ed. Einaudi, Torino 1971, pp. 280 e 270.

[16] Cfr. B.D. Wolfe, op. cit., p. 315. Si vedano i nostri commenti all'episodio nell'articolo Chioccia russa e cuculo capitalista apparso nel nr. 19/1951 di «Battaglia Comunista» (serie «Sul filo del tempo»).

[17] Per tutto questo tema, cfr. il già citato Partito e classe, e, in particolare, le pp. 126-135.

[18] Tale è infatti il titolo originario del libro di Wolfe: Three Who Made a Revolution.

[19] Il paragrafo e) del capit. III, intitolato La classe operaia, combattente d'avanguardia per la democrazia: cfr. Opere, ed. cit., val. V, pp. 389-403.

[20] Cfr. B.D. Wolfe, op. cit., p. 316.

[21] Cfr. Lenin, Un passo avanti, due indietro, in Opere, ed. cit., val. VII, pp. 221-222.

[22] Cfr. B.D. Wolfe, op. cit., p. 323.

[23] Ibidem, p. 2.

[24] Cfr. in particolare A. Bordiga, Il principio democratico, 1922, riprodotto nel volume Partito e classe, cit., pp. 49-63.

[25] Vedi sopra, nota 82.

[26] Cfr. Che fare?, in Opere, ed. cit., vol. V, pp. 389-390. Il riferimento a Gramsci, fra parentesi quadre, è un'allusione alla teorizzazione da parte di quest'ultimo, nel 1925-26, della cellula di fabbrica come base del Partito in linea del resto con tutta la tradizione ordinovista.

[27] Per quanto detto sopra, cfr. A. Bordiga La questione agraria e la teoria della rendita fondiaria secondo Marx, nel già citato Mai la merce sfamerà l’uomo, ed. Iskra, pp. 192, e 20-21, 29.

[28] Il programma agrario della socialdemocrazia nella prima rivoluzione russa del 1905-1907, in Opere, ed. cit., vol. XIII, pp. 203-409.

[29] Ibid., p. 277 (corsivi di AB.).

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