DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Continuano sui media le diatribe su che cosa sia e che significato abbia l’ISIS (o Daesh, che dir si voglia), questa “nuova” forma di “terrorismo” clamorosamente manifestatasi soprattutto con i recenti attentati a Parigi. Proviamo a farci alcune domande – e a darvi risposta.

Cause religiose?

Si parla di cause e fattori religiosi, tutti riconducibili all’Islam. Ma non si è potuto nascondere che quel “soggetto” che in pochi anni ha potuto conquistare interi territori in Siria, Iraq, Libia, Mali, ecc, è nato e cresciuto, per ammissione di alti esponenti USA, grazie a finanziamenti e appoggi di paesi come l’Arabia saudita, il Qatar, lo Yemen, il Kuwait (e gli USA stessi: i “supervisori mondiali” erano forse... distratti? guardavano da un’altra parte?); e che si mantiene grazie soprattutto alle rendite energetiche (petrolio, gas) che tali appoggi le consentono di ricavare. Lo scopo di tali appoggi, sempre per ammissione della stessa grande potenza e dei suoi alleati, era ed è quello di spostare gli equilibri di potenza nella regione mediorientale a favore degli interessi economici (soprattutto petroliferi e in genere energetici) di alcuni Stati (appunto, i Paesi arabi e del Golfo), a scapito di altri (Iran soprattutto), oppure della Turchia nei confronti dei Curdi o della Russia, e così via, in un intreccio sempre più aggrovigliato di interessi, accompagnato da scontri, minacce, ricatti, alleanze, volti a ridisegnare nuove aree di influenza in un’area molto instabile da sempre.

Parlare dunque di cause religiose, di “fondamentalismo islamico”, è come al solito fuorviante. Da sempre nella storia, gli Stati, le “potenze”, ammantano i propri interessi e i conseguenti scontri economici di sembianze religiose. Le Crociate, i grandi massacri in nome di Cristo o di Maometto, le imprese cristiane dei “conquistadores” spagnoli nel nuovo continente americano, per fare solo alcuni esempi, mostrano che le religioni sono state da sempre utilizzate a copertura di interessi economici. Nessuno Stato ha mai ammesso “ufficialmente” motivazioni prevalentemente economiche per le proprie conquiste territoriali coloniali, per le proprie rapine a danno di altri Stati e popolazioni, per i propri conflitti bellici: ognuno li ha sempre coperti o di sembianze religiose (cristiane, musulmane, ecc.), oppure di “valori” come la democrazia, la “superiore” civiltà o identità nazionale ed etnica, la cultura o i “diritti più avanzati”.,. 1 Nessuno stato borghese ammetterà mai, apertamente, che il vero, unico Dio per cui è capace di combattere è il Dio denaro, il Profitto! Le vere radici economiche, anche quando vengano magari inizialmente accennate, poi sono messe da parte e al loro posto sono buttate sulla scena, in prima linea, le lotte tra i fautori del “fanatismo religioso” con le loro interne divisioni, da una parte, e i paladini della democrazia e della “liberta”, dall’altra.

Tali coperture ideologiche, in effetti, sono del tutto ininfluenti negli incontri ufficiali tra gli stessi Stati e potenze. A ogni livello, ad esempio nei vari vertici G8, G20 e via di seguito, ognuno cerca decisamente e direttamente, senza fronzoli religiosi o di altro genere, di far valere i propri interessi economici, tenendo conto dei mutamenti della propria forza e degli equilibri generali, cercando di giocare alla meglio la propria parte sullo scacchiere regionale o mondiale e aspettando il momento giusto per rischiare oppure temporeggiare. La reazione moralistica in seguito a un arretramento o declassamento della propria forza o a un’aggressione subita fa parte dello stesso gioco. Negli incontri, non vengono messi in campo “valori religiosi” o quelli della “civiltà occidentale” (il richiamo, a margine, ai cosiddetti “diritti umani” serve solo a mostrare ai... polli il “bel volto” di coloro che li invocano facendone “sfoggio”), ma investimenti di capitali da realizzare, materie prime o forza lavoro da sfruttare, rotte commerciali da aprire o difendere, alleanze da realizzare… Al di fuori degli incontri ufficiali, poi, attacchi, aggressioni, minacce e avvertimenti si pongono ancora più chiaramente sul terreno economico, anche se, una volta compiuti, non sfuggono a una qualche giustificazione religiosa, laica o moralistica.

Il travestimento deve assumere invece grande rilevanza quando è rivolto alle popolazioni e soprattutto ai proletari. E’ qui che risalta la funzione sociale reazionaria delle religioni e degli appelli quotidiani e martellanti ai cosidetti “valori” della civiltà democratica e occidentale. Il gioco degli interessi economici è quasi fatto sparire, dinanzi alle Sacre “unità nazionali e patriottiche” da mettere in primo piano, da difendere, sostenere e rafforzare: il nome di Allah, di Cristo, di Santa Democrazia deve risuonare alto e forte. Qui, nella propaganda quotidiana tra le popolazioni, non serve indicare il gioco degli interessi economici contrastanti, ma proporre un bersaglio, dare un volto e un’identità, “personificare” il nemico, raccontandone la “cattiveria” con motivazioni non più economiche ma da cercare invece nelle “teste deviate, oscure e malvagie” di certi gruppi e individui... Così, nelle diatribe attorno agli attentati di Parigi, si sprecano i tentativi, nei paesi occidentali, di cercare le vere cause degli attentati o nel “terrorismo islamico” (magari nella sua più ampia accezione), o in certe sue frange estremiste, nel suo “oscurantismo”; oppure, specularmente, come nella stessa rilevante propaganda dell’ISIS, nella “civiltà occidentale”, nelle sue “libertà”, nei suoi “lussi degenerati”. Nell’uno e nell’altro caso, tutto risulta praticamente slegato dalle radici economiche, dagli intrecci di interessi, che vanno invece mascherati e nascosti.

Quale terrorismo?

Ma da dove spunta questa nuova versione, “islamica”, del “terrorismo”? Da una “vera o falsa” lettura e interpretazione del Corano e dell’Islam, da una sua “forzatura”, come si fa intendere più o meno apertamente nei paesi occidentali (a partire dagli USA, fin dall’attacco alle Torri Gemelle nel 2001, per finire agli Stati europei attuali)? Bisogna essere dementi (o più o meno colti ipocriti prezzolati, del tipo di quelli che affollano i dibattiti televisivi) per non vedere che questo “terrorismo” non ha niente a che vedere con le “interpretazioni” del Corano, ma è solo l’ennesima creatura degli stessi Stati, dei loro giochi criminali, sempre più pericolosi man mano che procede la crisi regionale e mondiale. E’ il Dio Profitto, che da quando è in piedi il sistema capitalistico, non può fare altro, per salvare se stesso, che alimentare e scatenare, in qualunque tempo e latitudine, le furie della guerra, gli odi, le divisioni nazionali, religiose, tribali e di qualunque altro tipo. Puntare il dito contro il Corano, contro la “matrice islamica”, oppure insistere sulla “caccia al terrorista” quale “personificatore” quasi assoluto del “Male” (quest’entità metafisica) o sulla salvaguardia della “civiltà e cultura occidentale” (idem!), non è altro che il lurido gioco ipocrita praticato da sempre dagli Stati borghesi, per difendere, sostenere e rafforzare il terrorismo congenito del sistema capitalistico che, con tutti i suoi orrori infiniti, a ogni livello, per lor Signori resta intangibile: “il migliore dei mondi possibili”.

I travisamenti della realtà storica sono continui e l’elenco sarebbe infinito. Gli stessi storici e politici borghesi non mancano ogni tanto (bontà loro!) di “rivelarceli”, se non addirittura “denunciarli”… ma solo quando è il momento, e soprattutto “quando cambia il vento”. La storia, poi, è stata ed è oggi più che mai piena di “terroristi”: basta la minaccia ostentata o dichiarata da parte di uno Stato contro un altro per guadagnarsi il titolo di “Stato canaglia”, di “Stato del Male” e così via. Chi minaccia gli interessi economici di un altro Stato non è solamente un nemico, ma diventa anche un “terrorista”; e ciò sia nei rapporti con gli altri Stati, sia e soprattutto nei rapporti e conflitti sociali. Insomma, chi minaccia il Profitto di qualche Stato a favore di altri Stati non può essere che un terrorista, magari... potenziale.

Ed è vero. Che cosa c’è di più importante e sacro, per le grandi multinazionali, per i grandi banchieri e speculatori, della salvaguardia e dell’aumento dei loro Profitti? e di più terribile della minaccia o dell’attacco contro di essi? La società capitalistica è fondata sulla concorrenza, che da stimolo allo sviluppo economico in alcune fasi (specie dopo i generali bagni di sangue e la distruzione di forze produttive operati dalle guerre mondali), diventa, in altre fasi, di crisi generalizzata, fattore di conflitti continui sia all’interno della stessa classe capitalista con le sue divisioni statali sia contro la classe storicamente nemica: la classe proletaria. In tale situazione, i motivi per lanciare o subire l’accusa di “terrorismo” non mancano di certo!

Alcuni Stati borghesi (quelli cosiddetti confessionali) fanno appello apertamente alle tradizioni religiose, mostrano di legare strettamente i propri interessi economici a quelle tradizioni, per poterli meglio difendere e salvaguardare. Ma le norme religiose imposte non sono mai state il “fondamento” di tali Stati: ne sono piuttosto il grande sostegno e supporto. All’ombra delle norme più “oscurantiste” del Corano, sono emerse, in Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi, ecc., civilissime megalopoli, il grande affarismo finanziario con la sua rete internazionale di interessi. Le norme del Corano non hanno mai frenato, o condizionato in qualche modo, il forsennato sviluppo di tali “civiltà”, la grande corsa al Profitto: piuttosto, è stato sempre il Profitto a servirsi del Corano, delle sue norme “oscurantiste”, per imporre sviluppo, insieme a pacificazione e ordine sociale. La stessa rivoluzione islamica iraniana khomeinista del 1979, con il suo iniziale ostentato anti-occidentalismo, diede allora a molti, compresi settori del cosiddetto estremismo di sinistra occidentale, l’illusione che, “finalmente!”, le “regole confessionali del Corano” potessero costituire la base della “nuova società” che doveva nascere (o comunque condizionarla). Invece, la copertura religiosa servì molto bene alla difesa degli interessi economici borghesi nazionali, sia nell’immediata, decennale guerra contro l’Irak, sia per sedare i numerosi, sanguinosi conflitti sociali che vi si produssero. La recente fine del lungo embargo occidentale e l’accordo sul nucleare siglato per volere degli USA (che paiono aver ora riscoperto nell’Iran una pedina da usare per i propri giochi strategici in Medioriente) hanno ora cambiato il suo status: e così, fra le alte proteste israeliane, l’Iran adesso non è più “canaglia” o “terrorista”...

Anche nella sanguinosa guerra nei Balcani dei primi anni ’90 del secolo scorso è stata l’insaziabile sete di profitto degli USA e della Germania a scatenare e alimentare ferocissimi odi etnici e religiosi, facendoli apparire come “vera causa” del conflitto. Si trattava invece, soprattutto, di sottrarre all’influenza serba e del suo antico alleato russo il più prospero mercato di Slovenia e Croazia, già da anni orbitante attorno all’economia e al marco tedeschi. Gli odi nazionali e religiosi allora suscitati per realizzare l’obiettivo mostravano ancora una volta, e in modo plateale, che per il grande Capitale le cosiddette “questioni etniche e religiose” sono solo semplici pretesti e strumenti da utilizzare per i suoi interessi, senza tanti scrupoli per le “paci nazionali” o le “libertà religiose” sempre tanto ipocritamente invocati. Nel 2003, in Irak, gli USA non hanno esitato a servirsi dell’islamismo sciita, scatenato contro quello sunnita, per mettere fuori combattimento l’ex amico Saddam Hussein, divenuto “canaglia” per le sue mire territoriali ed economiche nel Kuwait in funzione anti-USA (oltre che per la detenzione, risultata poi falsa come da ufficiale ammissione, di “armi di distruzione di massa”).

La storia è piena di odi nazionali, tribali, religiosi, creati e rinfocolati ad arte dall’imperialismo e dai suoi interessi economici – odi spacciati come le vere cause e motivazioni dei conflitti. Nella sua stessa morfologia geopolitica, l’Africa porta ancora i segni delle divisioni nazionali, tribali, religiose, create e imposte dalle grandi potenze allo scopo di sfruttarne le immense risorse. In Asia, gli USA sostennero (come fanno ancora oggi) il nazionalismo separatista di Formosa o quello coreano, in funzione anticinese. In Vietnam, tentarono, senza alla fine riuscirvi, di dividere in due parti il paese, come avevano fatto in Corea. Tutti i continenti sono stati (e sono) fortemente segnati dalle divisioni nazionali e religiose imposte dall’imperialismo capitalista. Il detto “divide et impera”, insieme al suo compare “mors tua vita mea”, si adatta da sempre alla logica di sviluppo del Capitale. I conflitti mondiali, prodotti dalle crisi ineliminabili del sistema capitalistico e scoppiati per ristabilire nuove sfere di influenza economici e territoriali, sono stati spacciati, dagli Stati vincitori come da quelli vinti, come conflitti di carattere nazionale, religioso, di civiltà, tra “sistemi economici diversi”, e altre gigantesche, ipocrite falsificazioni.

Ritornando all’ISIS, il compito che si pone non è solo di mettere in luce e ristabilire come alla base della sua nascita e sviluppo stiano cause economiche e geostrategiche, e non religiose, ma di seguire anche l’intreccio degli interessi economici dei vari Stati, grandi, medi o piccoli, che si nasconde sotto tale travestimento: sia di quelli che per coprire i propri interessi e ambizioni da potenza regionale o mondiale hanno contribuito a creare e mettere in piedi questa ennesima “creatura terrorista”, sia di quelli che se ne servono in qualche modo per i propri fini (si veda la recente polemica russo-turca) – oppure ne subiscono gli effetti, dopo essersene magari serviti.

Il groviglio d’interessi, la fluidità della situazione a livello mondiale e nella regione mediorientale in particolare, impediscono ancora ai vari Stati di agire più apertamente e direttamente, mostrando con chiarezza il proprio volto e la propria identità. Ognuno d’essi dichiara, più o meno solennemente, di voler debellare quella “creatura”: ma questa “creatura” o è ancora necessaria a coloro che l’hanno messa in piedi, oppure è utilizzata da alcuni (la Turchia, per esempio) contro altri (i Curdi, per esempio) o viene addirittura valutata come elemento di equilibrio regionale in una situazione estremamente complicata, aggravata dalla guerra siriana. I bombardamenti della “coalizione a direzione USA” hanno dimostrato infatti che essa non vuole affatto debellare il “mostro” (come fece, per esempio, con i bombardamenti ben più consistenti e mirati contro la Serbia), ma servirsene per ora, in qualche modo, nella stessa guerra siriana e nella complicata situazione regionale, come strumento di equilibrio. I russi sono poi intervenuti contro l’ISIS, ma, in maniera esplicita, soprattutto in funzione di difesa del regime siriano di Assad e per affermare, sfruttando le debolezze decisioniste altrui, le proprie mire da potenza regionale.

Dopo gli attentati di Parigi, lo Stato francese è intervenuto militarmente in modo più pesante di quanto non abbia fatto prima: ma il suo vero scopo non è solo di combattere i terroristi prevenendone possibili attacchi in futuro, ma piuttosto di mostrare i muscoli alle potenze che vorrebbero ridimensionare la sua forza nella regione mediorientale. Dietro le lacrime degli attentati, la borghesia francese non può vedere altro che uno “smacco” da parte dalle potenze regionali della regione. La “Marsigliese” non è certo risuonata per piangere le vittime: è stata un “inno di guerra”, non semplicemente contro la manovalanza terrorista, bensì contro le potenze che stanno dietro gli attentati e che si coprono con la maschera di Allah. Pure il Regno Unito e la Germania sono dovuti intervenire e aggregarsi militarmente, ma dietro la copertura della lotta ai “terroristi” vi è soprattutto il contrasto con il decisionismo militare russo e francese, con il loro “patto militare”.

La lunga instabilità dell’area mediorientale, aggravata fortemente dalla guerra siriana (una guerra che si trascina “troppo per le lunghe” a causa dei grossi e delicati equilibri tra le potenze e della debolezza dello Stato irakeno, travolto in poco tempo e tanto facilmente dall’offensiva dell’ISIS), è alla base della nascita e dello sviluppo di quest’ultimo, un soggetto visto da alcuni Stati come utile a spostare equilibri altrimenti immobili, e che non doveva apparire apertamente come espressione degli stessi Stati e dei loro giochi economici e strategici nell’area, ma come un qualcosa di autonomo, a sé stante, con i tratti criminali non delle stesse potenze economiche ispiratrici, ma con quelli, “feroci”, islamici e antioccidentali. Dietro l’attacco al terrorismo, dietro i terroristi (molti dei quali di nazionalità europea), non vi è che la solita guerra camuffata tra le stesse potenze, per le loro ambizioni sulla regione e nel mondo. Il problema non è dunque l’ISIS, ma il groviglio di interessi e ambizioni tra le varie potenze che vi sta dietro.

I nostri compiti

Scopo delle analisi del nostro partito sulle vicende politiche ed economiche degli Stati borghesi non è certo di tipo “culturale” o “storiografico”, né tanto meno quello di “potersi meglio schierare” a fianco di questo o quello Stato in conflitto. Si tratta invece di seguire l’aggravarsi, l’avvicinarsi o meno a situazioni di più forte instabilità, nella convinzione, formata da tutta l’esperienza storica di lotta del nostro partito sulla linea del marxismo rivoluzionario, che tali dinamiche, con tutti i loro orrori, non ci daranno mai, da sole, una situazione rivoluzionaria se non quando si sarà riusciti a rimettere in piedi un solido e consistente partito comunista mondiale. Nessun appoggio, dunque, a Stati borghesi (che vanno tutti decisamente denunciati e combattuti come nemici del proletariato) potrà facilitare tale processo, ma solo la solidarietà crescente del proletariato, sviluppata attraverso la lotta intransigente in difesa delle proprie condizioni economiche e a stretto contatto con il partito. Solo il lavoro di partito alla testa di un proletariato divenuto vera “classe per sé” attraverso quella lotta intransigente potrà porre le condizioni di una vera lotta politica per l’abbattimento degli Stati borghesi. Compito gigantesco, come gigantesche saranno le prove e le sofferenze che il proletariato dovrà ancora affrontare e subire sotto un regime capitalistico sempre più violento e in distruttive convulsioni.

 

1 L’inno “Onwards, Christian Soldiers!” (“Avanti, soldati cristiani!”), scritto in Inghilterra nella seconda metà dell’800 e presto adottato dall’Esercito della Salvezza, fu ripetutamente usato nelle cerimonie militari della Prima e della Seconda guerra mondiale.

 

 

Partito comunista internazionale

                                                                           (il programma comunista)

INTERNATIONAL COMMUNIST PARTY PRESS
We use cookies

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.