DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Come ovunque, chiusure, fallimenti, licenziamenti, “esuberi”, “ricollocamenti”: anche in Piemonte si snocciola il triste rosario della crisi, sulla pelle dei lavoratori.

La principale vertenza aperta negli ultimi due mesi riguarda la Michelin. All’inizio del mese di novembre l’azienda rendeva nota la decisione di chiudere tre siti produttivi in Europa nel giro di tre anni: a Fossano (400 operai), in Germania e in Inghilterra, per un totale di circa 1500 posti di lavoro (in Italia, altri “esuberi” sono a Alessandria:30; Torino: 120; e Tribano, nel Padovano: 28). La ragione, ha spiegato l’azienda, sta nella “situazione di cronica non saturazione degli impianti”. In particolare, i cavi metallici costruiti a Fossano sono oggi acquistabili sul mercato mondiale a costi decisamente inferiori. L’azienda ha naturalmente assicurato di aver messo a punto un piano strategico di vasta portata, per continuare a essere “una solida realtà industriale, commerciale e logistica in Italia”. Di questo “piano”, a quanto sembra, “beneficerebbero” i siti di Cuneo (più di 2000 dipendenti) e Alessandria (800). All’annuncio faceva seguito uno sciopero unitario (13 novembre) di tutti gli stabilimenti italiani della Michelin; e poi, a Fossano, due altri (17 e 20 novembre) di quattro ore, con corteo e incontro con sindaco e consiglio comunale. Successivamente (3 dicembre), l’azienda precisava il piano strategico: ricollocare 362 lavoratori (sulle circa 580 “eccedenze”) e procedere a nuovi investimenti; la ricollocazione verrebbe effettuata in siti piemontesi, ma anche (per 30 operai) in Francia e Romania; per altri 280 lavoratori interinali si prospetta nei prossimi mesi la trasformazione del contratto a tempo indeterminato. Si promuoveranno, da parte dell’azienda, “incentivi all’autoimprenditorialità, prepensionamenti e riqualificazione professionale esterna”.Veniva quindi proclamato un grande sciopero per il 4 dicembre: che veniva però sospeso, perché, nella notte del 3, azienda e sindacati trovavano (provvidenzialmente!) l’accordo. Accordo che, secondo la nota congiunta sindacale, “è il risultatodella lotta, della partecipazione, dell'intelligenza dei lavoratori, dei rappresentanti sindacali di fabbrica e delle organizzazioni sindacali dei diversi settori coinvolti, che hanno saputo darsi obiettivi condivisi e agire con coerenza e spirito unitario. Con queste qualità si potranno affrontare e superare le sfide che ci attendono e dalle quali dipendono la continuità produttiva, occupazionale e il futuro stesso della Michelin”. “Coerenza e spirito unitario”, e tutti… contenti!

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Di minore rilevanza, ma localmente importanti, sono alcuni altri episodi di cui si è occupata la cronaca.

A Grugliasco, alle porte di Torino, l’Abit ha spedito lettere di licenziamento a 29 lavoratori, per i quali scadeva la cassa integrazione a zero ore di due anni: l’azienda passa così dai 105 lavoratori del 2013 a 50.

A Leini, periferia di Torino, la ditta Defonseca (“Ogni anno produciamo e vendiamo in tutto il mondo più di 14 milioni di calzature, in una gamma che non ha rivali, composta da oltre 500 modelli nuovi per ogni collezione, pensati per offrire comfort e praticità in ogni occasione, in casa e nella vita all'aperto”) ha ipotizzato il trasferimento della produzione a Casalecchio di Reno (Bologna) e la chiusura dello stabilimento, con conseguente licenziamento dei 60 dipendenti. Vengono proclamati tre giorni di sciopero: “È la prima volta in 44 anni di storia aziendale che siamo costretti a scioperare”, secondo le dispiaciute dichiarazioni dei bonzi della CGIL. Delle trattative per risolvere la questione per via amministrativa non si è più saputo nulla.

Ad Alpignano (bassa Valsusa), la Dr Fischer (ex Philips), storica fabbrica di lampadine, ha annunciato la chiusura. Qui non si discute su come “salvare” azienda e posti di lavoro, ma sull’entità della buonuscita (20mila euro per i 62 dipendenti). I sindacati vorrebbero un ritocco senza troppo agitare le acque (anche se da 40 giorni si svolge un’assemblea permanente). Ma “sembra che non ci siano margini” (Giovanni Milesi, bonzo CGIL). E infatti a metà dicembre resta in fabbrica solo più una quindicina di operai, incaricati dello sgombero dei materiali e della chiusura dei locali.

Ad Avigliana (città metropolitana di Torino), l’Azimut Yachts propone un piano di ristrutturazione a fronte della crisi che ha colpito il mercato nautico (ma i sindacati rispondono che “in questo momento assistiamo a una lieve ripresa” nella vendita di imbarcazioni oltre i 24 metri, di cui la Azimut Yachts sarebbe “leader mondiale”). La ristrutturazione consiste nell’annunciare 95 “esuberi” , con conseguente proclamazione di cinque ore di sciopero per ogni turno (19 novembre).

Ha poi fatto parlare molto di sé il caso avvenuto alla Bienne vernici di Moncalieri, dove venti lavoratori del settore metalmeccanico, non lavorando da due anni, sono in cassa integrazione straordinaria che non viene pagata da dieci mesi. La protesta ha avuto un risvolto inatteso, quando un gruppo di operai ha chiuso per un’ora, in una stanza dell’azienda, un dirigente; ne è seguita una irruzione delle “forze dell’ordine” e una denuncia per sequestro – dipendenti e RSU parlano piuttosto di una goliardata. Sembra che, di recente, sia stato trovato l’accordo ministeriale per la corresponsione di almeno una parte degli ammortizzatori (sei mesi anziché dieci).

A fronte di questi pochi episodi, che parlano di un continuo stillicidio di licenziamenti e chiusure, vi è l’ostinato e condiviso ottimismo di industriali e sindacalisti sulla “ripresa”. Per gli uni, le assunzioni in Piemonte sono cresciute oltre il 12% e i contratti a tempo indeterminato sono 20mila in più dello scorso anno. Anche per i secondi sarebbe “davvero il momento giusto per la ripresa”; però questi segnalano anche che i disoccupati registrati nelle liste di collocamento sono ben oltre 100mila, che moltissimi giovani non studiano e non lavorano e che gli ammortizzatori sociali sono agli sgoccioli: “In Piemonte il tessuto produttivo si è indebolito, pensiamo alla situazione dell’edilizia che è molto lontana dalla ripresa”.

A contrastare le tranquillizzanti parole degli uni e degli altri, tutti impegnati a rassicurare che “le cose cambieranno”, manca ancora la voce delle vittime del capitale. Ma essa, ne siamo sicuri, non si farà attendere.

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista)

INTERNATIONAL COMMUNIST PARTY PRESS
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