DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

L’epoca in cui viviamo è caratterizzata da una montagna di scarti, di merci ideologiche scadute che alimentano quella dotta ignoranza propria di una specie piccolo-borghese in via di decomposizione, che non comprende ciò che legge, ciò che scrive, ciò che tenta di elaborare. Un tempo, gli opportunisti raccoglievano dallo sterco le bandiere dell’ideologia borghese issandole al cielo e facendole proprie; oggi, raccolgono tutta la cacca di un secolo e mezzo di commentatori, di gazzettieri, di furfanti, e rotolandosi in essa gongolano di piacere.

Così, non abbiamo letto e non leggeremo certo lo scritto di tal Ettore Cinnella, L’altro Marx: ci è bastato leggere il commento gongolante di cui un suo portacqua ha fatto pubblico dono. Sembra proprio che ci sia una bastarda continuità, in questo “leggere e rileggere Marx”: è ormai diventato un obbligo morale, quello di portare confusione e sporcare il fiume limpido della prospettiva rivoluzionaria. Dopo aver tentato di “ammazzare” Engels, sono passati a “liquidare” Lenin: adesso è (di nuovo) la volta di Marx. Un tempo (dal 1848 al 1871), a dilagare fu il feroce odio borghese antiproletario; poi venne la becera socialdemocrazia bernsteiana e kautskiana a dare addosso a Marx ed Engels, nascondendo lettere e imponendo visioni riformiste e controrivoluzionarie; quindi, fu il turno dello stalinismo, con il suo “diamat” (il materialismo dialettico riveduto e “corretto” e ridotto in pilloline) e soprattutto con i suoi processi e le fucilazioni dei bolscevichi; adesso, segno di tempi miserabili, dilagano gli sbruffoni, che si pavoneggiano pensando di aver ereditato quell’obbligo e di doverlo portare avanti, dandogli sotto. Ripetono vecchie litanie sentite e risentite, acidi rigurgiti di teoria mai assimilata e digerita, e tanto varrebbe lasciarli annegare nel loro brodo: tutt’al più, li si potrebbe invitare a inghiottire una dose massiccia di Maalox.

Nella critica dell’economia politica, sociale e ideologica, Marx ha già incontrato tante specie di botoli. A noi non resta che metterli a cuccia, spiegando ai nostri lettori che questa mania del nuovo non è nuova. Si è passati dalla scoperta di opere intere di Marx-Engels che hanno riconfermato la “critica dell’economia politica” esposta nel Capitale e il suo carattere rivoluzionario, al vecchio sistema kautskiano e stalinista di inventare “tanti Marx” (adolescente, giovane, maturo, vecchio) per ogni scritto ricomparso e tesserci sopra, caso per caso, una prospettiva rivoluzionaria, riformista, sviluppista, anarchica, operaista, piccoloborghese, etc. Non ci meraviglia il fatto che questo nuovo scopritore abbia individuato un Marx “politicamente populista”, contemporaneamente fatalista e antideterminista etc.

Nella forma più ambigua e distorta, l’entusiasta ammiratore del suddetto Cinnella scrive ad esempio: “Apparentemente [?] Marx operò una vera e propria rottura non solo riguardo ai precedenti e severi, per non dire razzisti, giudizi sugli slavi ma soprattutto rispetto alla centralità del movimento operaio europeo”. Quest’ultimo sarebbe stato, pontifica l’ammiratore, un… dogma hegeliano,che Marx “superò in parte senza mai abbandonare del tutto”, “una concezione teleologica, alimentata dall'ideologia progressista insita nel concetto di sviluppo delle forze produttive di cui il modo di produzione capitalistico sarebbe l'agente”. Dunque, un Marx razzista, un Marx benedicente il movimento operaio europeo, attaccato ad una visione finalista della Storia e a un’ideologia progressista. Vi basta?

Seguono poi altre bestialità, che imputano a Marx una visione hegelo-cristiana.: “il superamento dialettico del modo di produzione capitalistico sul piano sociale, assumeva il significato di una ‘catarsi’, di cui se ne [sic!] sarebbe fatto carico il proletariato, costretto a subire fino in fondo l’inferno capitalistico prima di conoscere le gioie del paradiso socialista. Con l’intermezzo del purgatorio, ovvero la fase di transizione”. Non vi basta ancora?

Finiamo allora in gloria: “Tra le implicazioni della nuova prospettiva di Marx, c’è la rivalutazione del comunismo primitivo che liquida l’ideologia civilizzatrice e sviluppista, consustanziale al capitalismo, alla quale Marx oppone i modi di produzione autosufficienti […], i vantaggi dell’arretratezza economica, l’industrializzazione NON capitalista, la subordinazione della tecnica ai valori comunitari…”.

Ma costoro hanno mai letto Marx. E soprattutto: che ci azzeccano con Marx?

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°05 - 2014)

 

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