DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Il partito non solo non comprende nelle sue file tutti gli individui che compongono la classe proletaria, ma nemmeno la maggioranza, bensì quella minoranza che acquista la preparazione e maturità collettiva teorica e di azione corrispondente alla visione generale e finale del movimento storico, in tutto il mondo e in tutto il corso che va dal formarsi del proletariato alla sua vittoria rivoluzionaria. La questione della coscienza individuale non è la base della formazione del partito: non solo ciascun proletario non può essere cosciente e tanto meno culturalmente padrone della dottrina di classe, ma nemmeno ciascun militante preso a sé, e tale garanzia non è data nemmeno dai capi. Essa consiste solo nella organica unità del partito. Come quindi è respinta ogni concezione di azione individuale o di azione di una massa non legata da preciso tessuto organizzativo, così lo è quella del partito come raggruppamento di sapienti, di illuminati o di coscienti, per essere sostituito da quella di un tessuto e di un sistema che nel seno della classe proletaria ha organicamente la funzione di esplicarne il compito rivoluzionario in tutti i suoi aspetti e in tutte le complesse fasi”.

Dalle “Tesi caratteristiche del partito” (dicembre 1951; Parte II: Compito del partito comunista)

La nostra rivendicazione del lavoro di partito come necessariamente impersonale e anonimo viene spesso confusa (anche da chi si dichiara vicino alla nostra corrente) con una sorta di lavoro e di organizzazione in cui, sotto la direzione di un “capo”, si muovono tanti “soldatini” senz'anima né individualità – una specie di “setta”, con i suoi bravi “guru” più o meno “torvi” e i suoi “adepti” sempre “obbedienti e disciplinati”. Insomma, una trasposizione, nel partito di classe rivoluzionario, delle forme organizzative peggiori che da sempre allignano nella società borghese, nelle sue istituzioni e nei suoi partiti, tramite logge, massonerie, sette segrete, ecc. Così come al comunismo, da sempre, si tenta di attribuire le forme di vita peggiori della società borghese (ultime in ordine di tempo controrivoluzionario le delizie dell'ex “socialismo reale”), altrettanto viene fatto per la stessa forma organizzativa del partito.

Non ce ne scandalizziamo di certo!

In contrapposizione a tali “ripudiabili” forme organizzative, vien poi fatto sfoggio, a destra e a manca, di democrazia, libertà di critica, dibattiti tra maggioranze e opposizioni, varietà di partiti e di personalità in vista ecc. Una spessa copertura democratica, come ha sempre denunciato il comunismo, dietro la quale si nasconde in realtà la cieca obbedienza alle leggi del Capitale – leggi che poi in particolari situazioni di crisi economica e sociale, com’è sempre avvenuto e come vediamo avvenire continuamente, impongono di togliersi quell'imbarazzante maschera liberale e democratica, per mostrare il vero volto della classe borghese dominante: quello totalitario, militaresco, feroce e repressivo.

Nel lavoro di partito, il riferimento costante è alla lotta di classe proletaria e alla realizzazione del programma storico comunista. Nella sua attività, esso non può che attirare elementi istintivamente sensibili a questa lotta e a questa prospettiva. Al suo interno, le capacità di chi si avvicina non vengono “annullate”, ma sono messe a disposizione di un lavoro politico collettivo in funzione di quel programma.

L'organo, lo strumento, l'arma che va preparata e attrezzata non solo per le situazioni rivoluzionarie è l'organo collettivo partito. Scrivevamo nelle “Tesi sulla Tattica del P.C.d’I” (Roma, marzo 1922; Cap. I, “Natura organica del partito comunista”): “La integrazione di tutte le spinte elementari in una azione unitaria si manifesta attraverso due principali fattori: uno di coscienza critica, dal quale il partito trae il suo programma, l'altro di volontà che si esprime nello strumento con cui il partito agisce, la sua disciplinata e centralizzata organizzazione. Questi due fattori di coscienza e volontà sarebbe erroneo considerarli come facoltà che si possono ottenere o si debbano pretendere dai singoli poiché si realizzano solo per la integrazione dell'attività di molti individui in un organismo collettivo unitario.”

E' la necessità e l'esigenza di preparazione di questa organizzazione che va posta sempre evidenza.

I compagni che lavorano per questo non si sentono per niente “sacrificati” nel “subordinare” le propria individualità alle esigenze del lavoro e dell'azione collettiva del partito. Il compagno, nella misura in cui attraverso il lavoro di partito riesce a liberarsi dalla mitizzazione di se stesso (individualismo), dei capi o dello stesso partito formale astratto “già perfetto e infallibile”, non sente dunque sacrificata la propria individualità, ma la inquadra strettamente nel lavoro di partito, contribuendo alla sua estensione o al suo rafforzamento.

Il compito di portare il partito di oggi all'altezza delle grandi realizzazioni indicate nel programma storico è estremamente difficile. Non può essere portato avanti aspettando “grandi capi” o “centri direttivi tuttofare”. Richiede il lavoro politico di ogni compagno, di ognuno secondo le proprie capacità o qualità. Si riesce a essere compatti e centralizzati non in forza di una disciplina calata o peggio imposta dall'alto, ma della capacità e possibilità di lavorare praticamente e collettivamente attorno alla realizzazione del programma storico.

I nostri compagni riconobbero questa funzione di partito fin da quando opposero questo metodo di lavoro e di organizzazione a quello vigente nella Internazionale Comunista già nei suoi primi congressi. Al tipo di organizzazione internazionale, in cui, purtroppo e nonostante tutto, il partito era ancora espressione del lavoro e delle decisioni di un “centro russo”, il P.C.d'I., fin dal documento “La tattica dell'Internazionale Comunista nel progetto di tesi presentato dal P.C.d'I. al IV Congresso mondiale (Mosca, novembre 1922)”, oppose quella di un “centro” che può essere veramente funzionale e svolgere al meglio la sua azione di direzione politica solo in quanto espressione di un partito con compiti sovranazionali, dunque mondiale e antifederativo. Nell’introdurre le “Tesi dopo il 1945”, scrivevamo dunque: “In verità, la questione del centralismo organico in quanto contrapposto al centralismo democratico è tutt'altro che... terminologica. Nella sua contraddittorietà, la seconda formula riflette bensì nel sostantivo l'aspirazione al partito mondiale unico come noi l'abbiamo sempre auspicato, ma rispecchia nell'aggettivo la realtà di partiti ancora eterogenei per formazione storica e base dottrinaria, fra cui siede come arbitro supremo (anziché come vertice di una piramide, unito alla base da un filo unico ed omogeneo svolgentesi dall'uno all'altro e viceversa senza soluzioni di continuità) un Comitato Esecutivo o un ente omonimo, il quale, non essendo a sua volta vincolato da quell'unico filo ma libero di prendere decisioni alterne e fluttuanti a seconda delle vicissitudini, delle ‘situazioni’ e degli alti e bassi del conflitto sociale, periodicamente ricorre – come nella tradizione per nulla contraddittoria della democrazia – ora alla farsa della ‘consultazione’ della periferia (certo di potersene assicurare l'appoggio plebiscitario o quasi), ora dell'arma della intimidazione e del ‘terrore ideologico’, nel caso [della fu] Internazionale Comunista spalleggiato dalla forza fisica e dal ‘braccio secolare’ dello Stato. Nella nostra visione, per contro, il partito si presenta con caratteri di centralità organica perché non è una ‘parte’, sia pure la più avanzata, della classe proletaria, ma il suo organo, sintetizzatore di tutte le spinte elementari come di tutti i suoi militanti, da qualunque direzione provengano, e tale è in forza del possesso di una teoria, di un insieme di principi, di un programma, che scavalcano i limiti di tempo dell'oggi per esprimere la tendenza storica, l'obiettivo finale e il modo di operare delle generazioni proletarie e comuniste del passato, del presente e del futuro, e che superano i confini di nazionalità e di stato per incarnare gli interessi dei salariati rivoluzionari del mondo intero; tale è, aggiungiamo, anche in forza di una previsione, almeno nelle grandi linee, dello svolgersi delle situazioni storiche, e quindi della capacità di fissare un corpo di direttive e norme tattiche.”

L'elaborazione teorica in rapporto ai nuovi fenomeni e avvenimenti, la migliore precisazione della tattica, la previsione delle situazioni, l'intervento nelle lotte proletarie, sono e non possono che essere compiti e funzioni di tutto il partito, di tutti i compagni. Il partito combatte nelle sue file la presenza di “soldatini” da caserma o di “fraticelli” da conventicola. Né servono nomi di militanti da mettere in mostra come se il partito fosse una sommatoria di individui. E' necessario un lavoro collettivo continuo attorno ai compiti da portare avanti sulla linea del programma storico sviluppato fin dal 1848 – un lavoro che dovrà impegnare le capacità e qualità diverse di ogni compagno e durante il quale si potranno commettere “errori” che si supereranno e correggeranno solo rafforzando il lavoro collettivo. Per questo lavoro non esistono ricette organizzative di tipo autoritario né di stampo democratico.

Sempre nell’introduzione alle “Tesi dopo il 1945”, scrivevamo ancora: “Se il partito è in possesso di tale omogeneità teorica e pratica (possesso che non è un dato di fatto garantito per sempre, ma una realtà da difendere con le unghie e coi denti e, se del caso, riconquistare ogni volta), la sua organizzazione, che è nello stesso tempo la sua disciplina, nasce e si sviluppa organicamente sul ceppo unitario del programma e dell'azione pratica, ed esprime nelle sue diverse forme di esplicazione, nella gerarchia dei suoi organi, la perfetta aderenza del partito al complesso delle sue funzioni, nessuna esclusa.” 1

1 Tutti i brani citati, da “Tesi” o da “Premesse” alle stesse, provengono dal volume In difesa della continuità del programma comunista, Edizioni Il programma comunista, Milano 1989.

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°05 - 2014)

 

 

 
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