DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Il secondo macello mondiale si concluse con la spartizione del mondo fra i ladroni imperialisti vincitori. La celebre foto che ritrae, sorridenti e soddisfatti, Roosevelt, Churchill e Stalin a Yalta nel febbraio 1945 ne è il simbolo più eloquente. Due aree in particolare furono all'attenzione dei tre, per la loro potenziale criticità nei confronti della riapertura “indolore” di un nuovo ciclo di accumulazione: l'Europa centrale (e in particolare la Germania) e il Medio Oriente. La prima sarà divisa in due e occupata dagli eserciti vittoriosi nel timore del possibile ripetersi dei moti rivoluzionari scoppiati nel primo dopoguerra (un'analoga “divisione”, questa volta di tipo più politico-ideologico, fu effettuata in Italia, dove il “partitone” togliattiano di affiliazione moscovita e la novella DC di affiliazione statunitense si spartirono letteralmente il territorio, dentro e fuori il Parlamento); nel secondo, sarà inserito, con funzioni di gendarme locale, il cuneo del nuovo stato d'Israele, legato a filo doppio agli imperialismi occidentali (ma non solo: il primo Stato a riconoscerne formalmente l'esistenza, dopo essersi speso attivamente per la sua nascita e aver finanziato il suo armamento, fu non a caso la Russia staliniana)1.

Questi equilibri hanno retto più o meno (i contrasti e le contraddizioni non sono mai mancati) fino all'altro ieri. Poi, la pressione della crisi di sovrapproduzione di merci e capitali, scoppiata a metà degli anni '70 del '900, li ha fatti saltare, e ora si moltiplicano i focolai di tensione, si accumulano i materiali esplosivi: in Europa, sul piano (per ora) della guerra commerciale; nel Medio Oriente (e in tutta la fascia che va dal Maghreb all'India), su quello di una crisi sociale sempre più acuta. Abbiamo dedicato molto spazio, nell'ultimo anno e mezzo, a quanto sta accadendo in quest'ultima area, così centrale, per motivi energetici e strategici, all'“ordine imperialista mondiale”: le rivolte nei paesi della fascia meridionale del Mediterraneo (proletarie all'origine, e poi incanalate da fazioni borghesi e piccolo-borghesi locali nei vicoli ciechi di pretesi cambi di regime di segno democratico) testimoniano di questa criticità continua, così come la testimoniano l'intervento imperialista in Libia (mirante sia al “castigo del tiranno di turno” sia alla rottura di un potenziale fronte classista in tutta l'area) e la sanguinosa guerra che si continua a combattere in Siria (con effetti devastanti sulle popolazioni civili, sulle masse proletarie e proletarizzate non solo siriane, ma anche libanesi, palestinesi, turche, giordane). Infine, il conflitto israelo-palestinese si trascina sanguinosamente da decenni, con il massacro di intere generazioni di proletari palestinesi, presi dentro il fuoco incrociato di tutti gli Stati (di Israele come di quelli arabi) e paralizzati da ricorrenti e avvelenanti ideologie nazionali.

Quando, all'alba dell'ultimo decennio del '900, sotto i colpi della crisi, crollò il blocco (pienamente capitalista) dei paesi dell'Est, tutti inneggiarono a un futuro di pace e prosperità. Da allora, le guerre guerreggiate si sono fatte più frequenti e distruttive e, di recessione in recessione, la guerra commerciale è divenuta più intensa – la guerra di tutti contro tutti, che altro non è che la condizione normale, anche in tempi di pace, del regime capitalistico, fondato sull'estrazione violenta di pluvalore dal pluslavoro proletario, sulla competizione e sulla concorrenza, sull'inevitabile creazione di monopoli e multinazionali destinati a sbranare i più piccoli, sullo scontro fra Stati per l'egemonia economica e politica.

I venti di guerra potranno solo soffiare con maggiore intensità nel prossimo futuro. E' vano illudersi di poter tornare a un passato idilliaco di pace fra gli uomini di buona volontà: quel passato non c'è mai stato. I proletari debbono rendersene conto, mentre la crisi si abbatte con furore sulle loro vite e distrugge, una dopo l'altra, le illusioni create ad arte nel secondo dopoguerra per paralizzare o deviare ogni tentazione antagonista: stabilità, progresso, migliori condizioni di vita, una “pace duratura”, un “futuro per i figli”, il welfare state, il “paradiso in terra” (prima di quello in cielo: politici, preti e poliziotti van sempre a braccetto – quando non bastano i primi due, entrano in scena gli ultimi).

Ciò che invece si prepara è un futuro di guerra. Il modo di produzione capitalistico non conosce altra via per tentare di risolvere le proprie contraddizioni, quando esse raggiungano un punto di non ritorno. I due conflitti mondiali, nei loro prodromi e nelle loro dinamiche, ce lo mostrano con agghiacciante chiarezza, se solo riusciamo a scrollarci di dosso ideologie bastarde e ingannevoli, luoghi comuni e illusioni metafisiche. L'incessante criticità di aree come il Medio Oriente può fungere da miccia per l'esplosione: troppi sono gli interessi annodati insieme in quelle terre martoriate da oltre un secolo e mezzo di colonialismo e imperialismo 2. E l'esplosione, quando verrà, non si trascinerà dietro l'ennesima guerra locale, ma sarà lo squillo di tromba dell'inizio di un terzo macello mondiale – se prima non sarà sceso in campo, armato delle sue armi teoriche e pratiche e deciso a farla finita una volta per sempre con il regime della morte e dell'oppressione, il proletariato.

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La preparazione di questo futuro (di guerra e sofferenza) passa oggi, sul piano materiale, attraverso uno sfruttamento intensificato e un peggioramento continuo nella vita di larghi settori di masse proletarie e proletarizzate e, sul piano ideologico, attraverso i miti del riformismo, del pacifismo, del democratismo, destinati a convergere e a manifestarsi nei veleni del nazionalismo, che si faranno sempre più diffusi, sottili e mortali.

Le masse strangolate e massacrate di Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Palestina, Siria, Giordania, Libano, Iraq, Iran (senza dimenticare i proletari multietnici d'Israele, ancora ammorbati o controllati dall'ideologia dominante di uno Stato teocratico, ma pur sempre schiacciati sotto il tallone di ferro capitalista), nella loro costante, ammirevole quanto disperata, volontà di lottare contro l'oppressione hanno bisogno della discesa in campo (decisa, aperta, insofferente di ogni “concertazione”, indifferente alle “necessità dell'economia nazionale”) del proletariato delle metropoli capitalistiche sviluppate, da troppo tempo ingabbiato da partiti e sindacati schierati a difesa dello status quo. E, a loro volta, hanno tutti bisogno della presenza, al loro fianco e alla loro testa, nelle loro lotte quotidiane oggi, come nell'insurrezione domani, del partito comunista internazionale, loro guida e loro organizzatore – senza il quale ogni rivolta è vana, ogni sussulto è destinato infine alla paralisi.

Nelle loro menti e nei loro cuori deve imprimersi la consapevolezza che, finché ci sarà il capitale, non c'è pace che sia desiderabile, non c'è guerra che non sia infame.

1 Ricordiamo d’altra parte che anche il Giappone rimase “sotto tutela” per parecchi anni, dopo la conclusione del conflitto.

2Naturalmente, il panorama delle aree critiche non si ferma qui: non dimentichiamo la fascia che va dall'India al Giappone, con le eterne contese costiere e insulari; o zone intere dell'Africa, dove si confrontano (e già si scontrano per interposta persona) le principali potenze imperialiste, Stati Uniti, Francia, Germania, Cina... Oltre ad acuire i contrasti già esistenti, l'approfondirsi della crisi non potrà non moltiplicare il numero e la topografia delle aree critiche.   

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°01 - 2013)

 

INTERNATIONAL COMMUNIST PARTY PRESS
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