DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Ci sono due modi di porsi di fronte alla crisi devastante del modo di produzione capitalistico. Uno consiste nel guardare indietro, nell’avere – come scrisse qualcuno – “gli occhi infissi nella nuca”. Ciò vuol dire considerare lo stato attuale delle cose come eterno e intoccabile, le istituzioni che lo caratterizzano e che lo reggono come gli unici referenti, la prassi che da decenni domina (e castra) il movimento operaio come l’unica possibile.

 Così, è al sindacato ufficiale (attivo protagonista per tutto il secondo dopoguerra dei più schifosi tradimenti ai danni della classe proletaria) che ci si affida, delegando a esso ogni strategia, ogni azione che ci riguarda; si demanda ai “tavoli di trattativa” qualunque decisione relativa alle nostre condizioni di vita e di lavoro; ci si appoggia di volta in volta a questo o quel partito o raggruppamento parlamentare nella speranza che (interrompendo per qualche secondo la propria unica attività: la decennale spartizione della torta) “si faccia carico” delle nostre necessità; si guarda al governo e allo Stato (espressioni dirette della classe dominante, suoi strumenti politici, militari, ideologici) come ad altrettanti enti al di sopra delle parti, cui rivolgersi perché ci facciano il favore di intervenire a moderare la spietatezza di questo o quel padrone insensibile (o magari “straniero”); e il più delle volte si finisce per funzionare come pedine inconsapevoli di strategie ben più ampie, giocate sulla pelle altrui (guerre commerciali, competizioni di settore, compravendita di aziende più o meno decotte, richieste di fondi europei, ecc. ecc.). Gli “occhi infissi nella nuca” sono peggio di una totale cecità. Quel “guardare indietro” consegna i proletari, legati mani e piedi, alle esigenze superiori del capitale nazionale e internazionale: li rinchiude dentro il recinto destinato agli animali da macello.

L’altro modo consiste nel guardare in avanti, ben oltre il miserabile orizzonte della condizione attuale. Ciò vuol dire comprendere, anche solo a livello elementare e istintivo, la necessità di uscire da un vicolo cieco, di far sentire di nuovo la propria presenza rifiutando di delegare ad altri prassi e decisioni, ma imponendole, con un processo di organizzazione, estensione, centralizzazione delle lotte: mettendo cioè in campo una forza che deriva dai numeri e dalla nostra centralità, in quanto proletari, nei processi lavorativi. Ciò vuol dire, soprattutto, rifiutare la disperazione autolesionista che, con i buoni uffici sindacali, induce a tagliarsi i polsi, ad arrampicarsi sulle torri, a immergersi nelle viscere della terra, nell’illusione che l’impatto mediatico (quest’ulteriore strumento di rimbecillimento collettivo) sia sufficiente a risolvere una drammatica situazione: nella realtà, consegnando chi cade nel tranello alla solitudine, all’isolamento, all’impotenza e alla frustrazione.

Di ben altro ha bisogno la classe proletaria aggredita dalla crisi del modo di produzione capitalistico: ha bisogno di mettere in campo la propria forza collettiva. E’ una questione di potere: ma non solo nel senso, evidente a i noi comunisti, che il potere va conquistato con la forza e, una volta conquistato, con la forza va imposto contro tutti i tentativi di rivalsa della vecchia classe dominante, per riorganizzare l’economia abbattendo i vincoli e le barriere proprie del modo di produzione capitalista e per far piazza pulita (in un tempo che non sarà certo breve) di abitudini e inerzie acquisite in secoli di dittatura capitalista. Noi sappiamo che questa scienza della rivoluzione, questa scienza del comunismo, non stanno “geneticamente” nella classe proletaria, come vorrebbero tanti immediatisti e operaisti: stanno nel partito rivoluzionario, che si fonda su una teoria verificata sull’arco di due secoli, su una tradizione e continuità di lotta politica, su un’organizzazione salda e internazionale, ed è solo dall’intervento di questo partito, a contatto con la classe, attraverso le sue battaglie e le sue sconfitte, che, dall’esterno, questa scienza della rivoluzione, questa coscienza di classe, possono essere introdotte nel proletariato.

Ma è una questione di potere anche sul piano della lotta quotidiana di resistenza al capitale: nel senso che o la nostra classe torna a lottare nella sia pur vaga consapevolezza di poter contare sulle sole proprie forze, sulla sola propria organizzazione, e a vedere le istituzioni, i partiti che le sostengono, i sindacati ufficiali, come altrettanti nemici di classe, e dunque si dà obiettivi e metodi di lotta che escano dal regime delle compatibilità, della concertazione, della delega e della prassi democratica, oppure rimarrà dentro a quel recinto per animali da macello, avviandosi in fila indiana, a capo chino (o con l’unica libertà di… strillare), rassegnata e disperata, al massacro – sul posto di lavoro o nel ghetto del non lavoro, e infine nel bagno di sangue collettivo del prossimo conflitto mondiale verso cui si dirige il corso dell’economia capitalistica.

Non è rinchiudendoci dentro la fabbrica o dentro la miniera o sui campi di raccolta che va riscoperta la nostra forza: è nel legame stretto e reale, non formale e retorico, con i proletari di altre fabbriche, miniere, campi, di altre località e nazioni; è nella rinascita di organismi di lotta territoriali, aperti a tutti, occupati e non occupati, uomini e donne, pensionati e precari, “indigeni” e “stranieri”, indifferenti tanto al “galateo sindacale” quanto alle “necessità superiori dell’economia nazionale”; è nella discesa in campo nelle strade e nelle piazze, organizzata e decisa, e non goliardica o ritualistica come invece ci hanno abituato decenni di prassi opportunista e piccolo-borghese; è nella decisa paralisi dei gangli vitali economici e politici ogni qual volta un settore sia minacciato, ogni qual volta un contingente del nostro esercito sia sotto attacco; è nella difesa a muso duro delle nostre condizioni di vita e di lavoro.

“Un attacco a uno è un attacco a tutti!”: questo slogan deve tornare a farsi carne e sangue della lotta proletaria su tutti i fronti. In quest’estate che finisce, i minatori spagnoli in marcia sulla capitale Madrid sono stati accolti dalle manganellate e dai proiettili di gomma della sbirraglia del capitale; in Sud Africa, altri minatori in lotta con le classiche rivendicazioni proletarie sono stati falciati e massacrati dalla medesima sbirraglia del capitale: non c’è stata una sola iniziativa a favore di questi nostri fratelli di classe da parte, non diciamo di sindacati da decenni venduti a Stato e padronato, ma nemmeno di organismi di base sempre pronti a dichiarare improbabili “scioperi generali”, a sventolar bandiere e a suonare musica a tutto volume. Deve tornare invece a farsi strada in una classe proletaria disorientata il senso della necessità della lotta a tutti i livelli, dell’estensione del conflitto sociale, della sua organizzazione e direzione, della sua dimensione internazionale: solo così la classe tornerà a far sentire la propria forza e sarà capace di rispondere colpo su colpo a ogni attacco. Solo così potrà farsi strada, in settori d’avanguardia e grazie all’intervento costante del partito rivoluzionario, la percezione (frutto dell’esperienza diretta) che questa forza espressa nelle strade, nelle piazze, nelle battaglie quotidiane, non basta: che la questione del potere si pone su un piano ben più alto, politico e rivoluzionario – la sua conquista e il suo esercizio dittatoriale. 

 

Partito Comunista Internazionale

(il programma comunista n°05 - 2012) 

 

 

INTERNATIONAL COMMUNIST PARTY PRESS
We use cookies

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.