DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Sappiamo tutti che la Francia, insieme alla Gran Bretagna, è stata la più attiva nel promuovere, nel fortissimamente volere, l’intervento Nato “per riportare la democrazia in Libia” (delle motivazioni e delle dinamiche di quest’intervento parliamo in un altro articolo).

Coscienza sporca, molto sporca, quella della grandeur francese incarnata oggi da Sarkozy, che anela a porsi come leader europeo: coscienza molto sporca, e molto… “smemorata” (i puntini e le virgolette indicano che non crediamo ai difetti di memoria della borghesia!). E allora, ai proletari cui invece, purtroppo, è stata cancellata a forza la memoria storica, ricordiamo quel che successe esattamente cinquant’anni fa, nella notte fra il 17 e il 18 ottobre 1961 (e nei quattro giorni successivi), a Parigi.

Siamo ormai alla fine della “guerra d’Algeria” (gli “accordi di Evian” saranno sottoscritti nel 1962). La potenza coloniale francese, che ha da poco perso il controllo dell’Indocina (1954), ha condotto una guerra feroce, fatta di massacri, bombardamenti, assassinii, retate, arresti, torture, contro il popolo algerino che tenta di scrollarsi di dosso il suo dominio (non dimentichiamo che il ciclo delle rivoluzioni nazionali anti-coloniali è ancora aperto, e tale rimarrà fino alla metà degli anni ’70). In Algeria, è attivo il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN), che ha una sua propaggine bene ramificata e radicata in Francia: qui, a contrastarlo non sono solo l’esercito e la polizia, ma anche formazioni mercenarie e paramilitari come l’OAS (Organisation de l’armée secrète). A Parigi, in particolare, dove esiste da tempo una grossa comunità nord-africana, le aggressioni e intimidazioni sono quotidiane.

Il prefetto di polizia Maurice Papon, un figuro già distintosi durante il governo di Vichy e in Algeria (nel 1998 sarà condannato per “crimini contro l’umanità”), crea una forza di polizia ausiliaria formata da “harki” (musulmani algerini anti-indipendentisti) che pratica sistematicamente la tortura; inoltre, apre il Centro d’identificazione di Vincennes, dove possono essere detenuti, senza alcuna imputazione, i “sospetti”, e nel 1958 proclama un coprifuoco per tutti i nord-africani a Parigi. Le torture, le denunce per maltrattamenti, le scomparse misteriose, si moltiplicano, in un silenzio impressionante e significativo del mondo politico e giornalistico.

Per la giornata del 17 ottobre 1961, come ulteriore strumento di pressione sui negoziati in corso, l’FLN indice una grande dimostrazione pacifica degli algerini di Parigi. In trentamila rispondono all’appello: uomini, donne, anziani, bambini, famiglie intere. Ma la polizia è ovunque, la città è praticamente in stato d’assedio. Via via che i manifestanti escono dalle stazioni del métro di Étoile e Opéra, o scendono dagli autobus alla stazione Concorde o sui Grands Boulevards, vengono sistematicamente isolati, manganellati, colpiti alla testa e al ventre col calcio dei fucili, arrestati. Sul Boulevard Bonne-Nouvelle, al ponte di Neuilly, al Pont-Neuf d'Argenteuil, in altri luoghi, i poliziotti sparano sulla folla del tutto inerme e pacifica. Dai ponti alle porte di Parigi e dal ponte Saint-Michel, molti corpi vengono buttati direttamente nella Senna, feriti gravemente o ancora svenuti per le percosse. Gli arresti sono più di diecimila – e, per quasi quattro giorni, restano internati al Palais des Sports, al Parc des Expositions, allo stadio de Coubertin, al Centro d’identificazione di Vincennes. Quel che succede in quei luoghi, in quei quattro giorni, è tremendo, e ricorda la selvaggia brutalità riservata ai Comunardi fatti prigionieri dai macellai di Thiers, nel 1871: pestaggi, torture, esecuzioni sommarie. Nei giorni successivi, la Senna a valle continua a restituire cadaveri di nord-africani; altri corpi vengono scoperti nei boschi intorno a Parigi. Le autorità dichiarano che i morti sono due, forse tre: indagini successive, che si scontrano con ogni genere di ostacoli burocratici e polizieschi, e che vedono concordi storici e giornalisti indipendenti, testate ultra-democratiche come Témoignage Chrétienne, organizzazioni come la Lega dei Diritti dell’Uomo, parlano invece di trecento-quattrocento morti, se non di più. Un massacro, una mattanza [1].

I commenti da fare sarebbero tanti: sulla democrazia come erede del fascismo (anche nel personale stesso che si travasa da un regime all’altro), sulla violenza intrinseca del modo di produzione borghese e dei regimi che lo rappresentano, sull’ipocrisia vomitevole dei “discorsi politici” borghesi, sul fatto che – come scriveva Marx nel 1853 – la borghesia non ha mai fatto un passo avanti “senza trascinare gli individui e i popoli attraverso il sangue e il sudiciume, la miseria e l’abbrutimento”.

Liberté, égalité, fraternité. Con la bella medaglia al petto del 17 ottobre 1961, la borghesia francese si propone di nuovo ai diseredati del Nord Africa come “portatrice di democrazia”.


[1] Cfr. Jean-Luc Einaudi, La bataille de Paris, Seuil, 1991; cfr. Claude Liauzu, “Le pagine strappate della guerra d’Algeria”, Le Monbde Diplomatique-Il manifesto, febbraio 1999.

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°04 - 2011)

 

 

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