DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

In questo oscuro inizio 2011 sembra che il mondo sia in attesa di qualcosa. Per qualcuno è “la ripresa” o la “rivalutazione dello yuan”; per altri è “il lavoro” o la vincita al lotto. Per tutti è l’arrivo di un Ercole che ripulisca le stalle di Augia di una politica, di una finanza, in breve di una società intera che, dicono, è corrotta fino al midollo. È dunque la sempre ricorrente “questione etica”, la cui soluzione dipende dall’arrivo di un Inviato lungamente atteso.

Nell’aspettativa di costui, le massime Autorità della politica, della teologia e della filosofia morale scendono in campo fustigando gli altrui degradati e corrotti costumi. Presidenti di questa o quella Repubblica, esponenti di spicco di questa o quella Chiesa, tutti sempre dimentichi di un proprio torbido passato, indossano i panni dell’Incorruttibile e minacciano, chi pene severissime da parte del braccio secolare, chi la dannazione eterna da parte, addirittura, del Padreterno. Gianfranco Girotti, Penitenziere apostolico, scaglia anatemi contro chi si macchi di peccati contro la dignità della persona. Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, condanna senza se e senza ma l’accidia, il pessimismo, le lusinghe dominanti. L’uno e l’altro, naturalmente, sono in prima linea nella battaglia per tenere a galla le disastrate finanze vaticane attraverso l’incredibilmente fitta rete di intrallazzi internazionali gestiti da società anonime, banche e cartelli, di cui lo scandalo IOR-Banco Ambrosiano fu solo un minuscolo emergere dell’iceberg. Né può meravigliare che gli stessi panni di pontefici massimi di moralità siano indossati da un Napolitano e da un D’Alema: il primo, adoratore del regime stalinista e fedele portaborse di Togliatti, almeno fino al momento in cui, fiutata con squisita sensibilità politica l’aria cangiante, si è votato anima e corpo all’atlantismo; il secondo, rotto a qualsiasi esperienza per il tornaconto proprio e della Patria, non esitò, in qualità di Presidente del Consiglio, ad esaltare l’intervento nazionale nei Balcani (1), trovando anche il tempo, tra un impegno governativo e l’altro, di presenziare con suoi compari, tra cui 400 vescovi e cardinali, al banchetto per il processo di santificazione del fondatore dell’Opus Dei nel 2002.

Sulla poco limpida carriera e sugli intrallazzi privati di Presidenti della Repubblica francese, da Chirac a Sarkozy, siamo stati informati per anni dai gazzettini borghesi e non c’è bisogno di ripeterli; mentre uno dei Padri della Patria dopo De Gaulle, cioè François Mitterrand, aveva inaugurato il sistema, presto seguito da tutti i compari europei, della pratica delle intercettazioni telefoniche allo scopo di fottere i concorrenti alle ambite poltrone. E in Germania? Un altro Padre della Patria, quell’Helmut Köhl che lega il suo nome alla riunificazione, è ben ricordato per lo scandalo che lo coinvolse con il suo partito, che si faceva finanziare vendendo carri armati all’Arabia Saudita, e per la maxi tangente di 40 milioni di euro pagata dal governo Mitterrand per l'acquisto di una compagnia petrolifera della Germania Est da parte dell'azienda parastatale francese Elf Aquitaine, di cui 15 milioni sarebbero stati versati direttamente alla Cdu come aiuto per la campagna elettorale di Köhl del 1994. Il suo successore, quel galantuomo di Schröder, persa la presidenza dello Stato acquistò quella della Nord Stream AG per conto di Gazprom, per la costruzione del gasdotto che, dalla costa russa e attraverso il Baltico deve portare il gas in Germania – un affaruccio da quattro soldi.

Lasciamo pure perdere, in questa breve rassegna di moralisti, il caso di mister Blair, gran proprietario di immobili in mezzo mondo. Non possiamo però tacere che, in questo tipo di rapporti, naturalmente, gli USA sono maestri. La dinastia Bush ha legato le proprie fortune a questo intimo connubio tra finanza, politica e petrolio (Standard Oil). Bush figlio è stato, oltre che Presidente, anche amministratore di almeno quattro grandi compagnie, il padre fu direttore della CIA, e un loro sodale e protetto, Dick Cheney, oltre che segretario alla Difesa, fu presidente della Halliburton e vicepresidente degli USA. È dato per assodato che la Corte suprema degli Stati Uniti sia legata a importanti settori dell’industria, del petrolio, della finanza e dell’esercito. Solo i poveri di spirito possono davvero credere che l’Uomo della Provvidenza, il presidente degli Stati Uniti, sia in grado, anche volendolo, di modificare alcunché di questa rete di interessi.

Naturalmente si potrebbe continuare all’infinito sguazzando ben oltre gli italici confini, e l’esercizio può avere una sua funzione nella polemica e nella propaganda. Lenin (L’imperialismo) si avvalse di alcuni dati di questa natura nella sua descrizione del modo di funzionamento dell’imperialismo; e cinquant’anni prima, Marx (Le lotte di classe in Francia) descrisse con cura il modo con cui l’aristocrazia finanziaria sotto Luigi Filippo aveva saputo prendere al collo, mediante l’indebitamento crescente dello stato, l’intera società, con un sistema che rassomiglia, anche se in forma incomparabilmente più limitata, a quanto avviene oggi ovunque. Giudichi il lettore se il brano che ne riportiamo non potrebbe passare del tutto inosservato su un quotidiano del 2010: “Le enormi somme che […] passavano per le mani dello stato davano […] l’occasione a contratti di appalto fraudolenti, a corruzioni, a malversazioni, a bricconate d’ogni specie. Lo svaligiamento dello stato, che si faceva in grande coi prestiti, si ripeteva al minuto nei lavori pubblici. I rapporti tra la camera e il governo si moltiplicavano sotto forma di rapporti tra amministrazioni singole e singoli imprenditori […] Alla sommità stessa della società borghese trionfava il soddisfacimento sfrenato, in urto in ogni istante con le stesse leggi borghesi, degli appetiti malsani e sregolati in cui logicamente cerca la sua soddisfazione la ricchezza scaturita dal giuoco, in cui il godimento diventa crapuleux [licenzioso], e il denaro, il fango e il sangue scorrono insieme. L’aristocrazia finanziaria, nelle sue forme di guadagno come nei suoi piaceri, non è altro che la riproduzione del sottoproletariato alla sommità della società borghese” (pag. 145-46, Edizioni Rinascita 1948). A quell’epoca di immaturità politica e sociale (siamo negli anni Trenta e Quaranta del XIX secolo), alla vista di questi spettacoli, si rispose da parte di tutte le classi popolari con sdegno morale, e “la fantasia popolare si ribellava”. Ma per la rivolta fisica, ricorda Marx, ci volle altro: i cattivi raccolti mondiali e la crisi generale del commercio e dell’industria in Inghilterra. Fu allora, per quelle cause, e non certo per una esigenza morale, che il proletariato parigino nel febbraio del 1848 finalmente riuscì a conquistare “il terreno della lotta per la propria emancipazione rivoluzionaria”, anche se certamente non questa emancipazione.

Nella ridente penisola centro-mediterranea, la “questione morale” è un argomento usato da politici, preti e fini pensatori per solleticare la fantasia delle grandi masse. Alla vigilia della cosiddetta Grande Guerra, mentre già si profilavano all’orizzonte i bagliori del massacro e i socialisti italiani erano alle prese con il problema di una definitiva chiarificazione programmatica interna, scoppiò l’ennesimo bubbone “morale”: la questione del Mezzogiorno. Nacque, tra le fila stesse del partito, l’idea che, per risolvere il problema congiunto della presunta (2) arretratezza delle masse proletarie e contadine del Sud e dell’insieme delle piccole camorre amministrative locali, valesse l’adozione di due tattiche, una per il Nord progredito e una per il Sud arretrato. Contro una tale bestialità insorsero i primi nuclei della Sinistra, che fecero vivacemente sentire la propria protesta al Congresso del partito riunito ad Ancona (1914), attraverso il discorso del loro relatore:

“La moralità del Mezzogiorno possiamo risolverla solamente accelerando il delinearsi delle classi e, cosa che possiamo fare più direttamente, accelerando il delinearsi della posizione politica dei partiti che delle varie classi sono gli esponenti. Attraverso altra via non arriveremmo mai. Invertiremmo la nostra propaganda tuonando contro i soli borghesi ladri e disonesti e facendo dimenticare al proletariato che esso è quotidianamente vittima di un altro furto ben maggiore che non sia quello che si può compiere nelle amministrazioni locali, cioè il continuo furto che la borghesia esercita su di lui sfruttandone il lavoro nei campi e nelle officine. Esercitando quella propaganda moralista, distinguendo troppo tra il borghese ladro e il borghese onesto, invertiamo questo principio di propaganda che è la base del nostro proselitismo e che nessuna condizione speciale può farci dimenticare; quando si fa la questione morale, essa assorbe tutte le altre: essa diventa pregiudiziale, essa ci conduce alla solidarietà degli onesti di tutti i partiti e di tutte le classi, ciò che distrugge o sbiadisce la nostra fisionomia in modo addirittura indegno” (riprodotto in Storia della Sinistra comunista, Ed. il programma comunista, Milano 1964, pag. 220).

 

Quando, mezzo secolo più tardi, in mezzo all’orgia per il potere e per l’amministrazione borghese, il partito “comunista” e la D.C. presero a scannarsi sventolando bandierine ideologiche e ordini che arrivavano da parti opposte dei blocchi imperialisti, la stessa penna servì per scrivere cose non diverse, che noi non possiamo che far nostre ancora dopo i successivi, troppo lunghi, cinquant’anni, in mezzo agli odierni vomitevoli triclini sbandierati senza alcun pudore nelle pubbliche piazze, ed anzi, col giubilo o la disperazione, in ogni caso purtroppo col concorso delle grandi masse elettorali:

 

“Dall'altro secolo [cioè dal XIX secolo] distingue i marxisti dai buoni radicali borghesi il rifiuto delle quistioni morali e dell'uso dello scandalismo, in cui guazzano sempre più i rinnegati della nostra fede.

“Quando si pone, come risolutiva, la domanda: da quale parte sono i porci? la risposta giusta è sempre quella: da ambo le parti! Per il marxista la domanda risolutiva è quella delle posizioni di classe, e sempre abbiamo sostenuto che per porla dialetticamente si deve dire: ammesso che dalle due parti siano non porci, ma puliti ed onesti, quale delle parti va combattuta?” (“Vomitorium Montecitorii”, il programma comunista, n.9/1960).

 

Così i marxisti pongono la soluzione della questione morale. Essa è uno degli elementi di forza delle classi al potere, perché attorno ad essa queste cercano di alimentare nelle masse i sacri principi di Patria e Nazione, vulnerati dal malaffare. Quanto più la crisi precipita nella disperazione migliaia di proletari, tanto più forte e maleodorante si fa e si farà sentire l’urlo dei difensori della “legalità” borghese, di coloro per i quali la crisi è l’effetto di transitorie malversazioni causate da irresponsabili, e non il prodotto di un intreccio di meccanismi alla cui base sta il profitto capitalistico. Sappia il proletariato internazionale ritrovare le vie che ha percorso, contro la moralità borghese, nella sua lunga storia di battaglie!

Note:
1. “Ritengo che possano venire dei vantaggi economici dalla ricostruzione dei Balcani perché gli investimenti non sono un peso ma un’opportunità, un fattore di accrescimento... Il consolidamento della pace va di pari passo con la democrazia e con la crescita economica, quindi il Piano Marshall sarà un bene per tutti ed abbiamo interesse a parteciparvi”. Massimo D’Alema (La Stampa, 8 maggio 1999).2. Che si trattasse di presunzione, lo dimostreranno, di lì a pochi anni, le grandi lotte che coinvolgeranno masse di braccianti e di operai nell’intero Mezzogiorno, certamente non inferiori a quelle condotte nelle fabbriche del Nord.

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°02 - 2011)

 

INTERNATIONAL COMMUNIST PARTY PRESS
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