DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Quando l’opportunismo (soprattutto nelle sue versioni più fetide e sfiatate) si autocelebra, genera autentici mostri: di ignoranza, di malafede, di falsità. E’ il caso della mostra davvero mostruosa intitolata “Avanti, popolo!”, inaugurata a Roma e destinata, per la gioia di noi tutti, a girare in parecchie altre città italiane.

Diciamo subito che, fin dal suo nascere, la nostra corrente politica ha fatto della lotta al personalismo nella battaglia politica una delle proprie caratteristiche distintive. Il fideismo, il culto dei capi, la riduzione delle differenti linee politiche al battibeccare sguaiato di leader in carriera, sono quanto di più estraneo alla nostra concezione teorica, da sempre incentrata sul riconoscimento della necessità della lotta di classe, della rivoluzione comunista e dell’instaurazione della dittatura del proletariato.

D’altra parte, la borghesia, vincitrice su ogni latitudine e in ogni clima sulla prodigiosa ondata rivoluzionaria del proletariato successiva alla prima guerra mondiale, scrisse poi la storia in mille differenti versioni, tante quante erano le correnti storiografiche asservite agli interessi propri delle diverse fazioni della classe dominante. Tutte queste versioni avevano però un carattere in comune: il sistematico stravolgimento della realtà storica al fine di cancellare, attraverso le omissioni, lo svilimento e la ridicolizzazione, quanto di più ricco era emerso dall’esperienza di una grandiosa stagione della lotta del proletariato mondiale per la propria emancipazione.

Ogni epoca ha i suoi cantori e, come non c’è da stupirsi per il triviale spettacolo offerto dai politicanti di mestiere nella scalcagnata Italietta di oggi, ancor meno c’è da stupirsi per le odierne rappresentazioni spettacolari di quella breve stagione che novant’anni fa vide il proletariato mondiale tentare un grandioso assalto al cielo.

Un caso di grossolana contraffazione storica, oltre che di pacchiana autocelebrazione del post-opportunismo tramutatosi in impresa commerciale, è proprio offerto da questa mostra, una full immersion in un patetico“amarcord” del fu Partito “Comunista” Italiano, con l’obiettivo di evidenziare gli aspetti più sciovinisti della sua ideologia.

Ignoranza, malafede, falsità, dicevamo. Per esempio: l’opuscolo distribuito all’ingresso è un capolavoro di crassa ignoranza della storia del movimento operaio, a partire dalle date. Secondo i curatori, la storia del Pci sarebbe cominciata nel 1921 con il congresso di Livorno, per concludersi nel 1991 con la pantomina della Bolognina che sanzionò la fine del partito. Già, ma quale partito? Il Partito Comunista Italiano non è nato il 21  gennaio 1921 a Livorno! In quella data e in quel luogo, nacque il Partito Comunista d’Italia - sezione italiana dell’Internazionale Comunista, qualcosa di ben diverso per programma e per organizzazione da quella formazione opportunista e socialsciovinista che a partire dal 15 maggio del 1943 assunse il nome di Partito Comunista Italiano: una dimenticanza non casuale, quella degli “smemorati” curatori della mostra. Così come non casuale è l’assenza di qualsiasi riferimento alle drammatiche svolte che segnarono la storia del Partito Comunista d’Italia: dalla nascita su basi coerentemente internazionaliste e classiste all’adozione di una linea politica centrista nel 1923, in seguito alla sostituzione della direzione di sinistra con una guida in linea con il processo di abbandono delle istanze internazionaliste in seno all’Internazionale Comunista, fino all’adozione, con il congresso di Lione del 1926, di posizioni apertamente anticomuniste e controrivoluzionarie, di allineamento con la direzione staliniana.

Ma andiamo avanti, in questa sagra dell’ignoranza e della malafede. Sul pannello esplicativo relativo al periodo 1921-1943 (tutto nello stesso calderone!), possiamo leggere: “Nel 1919, a Mosca, nasce l’Internazionale comunista. Al congresso di Livorno il Psi non accetta tutte le condizioni per aderirvi e, il 21 gennaio 1921, la minoranza guidata da Amadeo Bordiga proclama la nascita del Partito comunista d’Italia”. Eh, no!, carissimi ignorantissimi: le cose stanno assai diversamente. Il Psi aveva già aveva aderito all’Internazionale Comunista subito dopo la fondazione di quest’ultima. Il primo febbraio del 1919, meno di un mese dopo il I congresso della Terza Internazionale, una lettera veniva spedita a Mosca per comunicare l’adesione del Psi. E più tardi, in occasione del II congresso del Comintern (1920), il Partito Socialista Italiano venne rappresentato da una folta delegazione che comprendeva 9 delegati, di cui 4 con diritto di voto e 5 “consultivi”. Cose di poco conto? Non diremmo: la “svista” è funzionale alla ancor più odiosa omissione del fatto che, nella definizione delle  21 condizioni poste dal II congresso per l’adesione all’Internazionale, un ruolo di primo piano venne svolto proprio dai delegati della Frazione della Sinistra Comunista, allora ancora interna al Partito Socialista Italiano.

Il testo del pannello esplicativo per il periodo 1921-1943 liquida poi, in poche righe, tutto l’arco di tempo che va dell’ascesa del fascismo, passando per il consolidamento del regime e la successiva alleanza con la Germania  nazista, fino alla Seconda guerra mondiale e alla caduta di Mussolini e alla formazione del governo Badoglio. Gli unici riferimenti sono alcuni cenni alla clandestinità cui viene costretto il Partito Comunista e al patto di amicizia fra Unione Sovietica e Germania nazista. Anche su quest’ultimo punto, troviamo nel testo un’imprecisione che denota la solita sciatteria di questi dozzinali “intellettuali organici”: “Stalin favorisce  la costruzione delle alleanze antifasciste, ma nel 1939 stipula con Hitler un patto di non belligeranza”. Le cose non andarono proprio così: Stalin adottò nel 1929 la linea politica pseudo-ultrasinistra passata alla storia come “lotta al socialfascismo”, la quale escludeva ogni tipo di alleanza con i partiti socialdemocratici. In seguito, nel 1935, al VII congresso dell’Internazionale Comunista (ridotta già da quasi un decennio a un mero strumento della politica estera dello Stato russo), venne adottata la politica dei “blocchi popolari”, che si ponevano l’obiettivo di mandare al governo i partiti comunisti, prevalentemente dell’Europa occidentale, insieme con i partiti socialisti. Poi, una volta constatata la difficoltà per l’Unione Sovietica di restare al di fuori del prossimo conflitto interimperialistico visto ormai come inevitabile, Stalin fece firmare al Ministro degli Esteri sovietico Molotov un “trattato di non aggressione” con la Germania nazista, sottoscritto anche dal Ministro degli Esteri tedesco von Ribbentrop. Bazzeccole? Non diremmo!

Constatiamo poi come i curatori abbiano del tutto tralasciato di rilevare i riflessi sul partito italiano delle successive svolte della politica staliniana. Non una parola sulla rottura con la Sinistra comunista, non un cenno all’espulsione delle minoranze definite trotskiste, non una sola riga sul famigerato “Appello ai fratelli in camicia nera” firmato da Palmiro Togliatti nel 1936 (“Per la salvezza dell' Italia e la riconciliazione del popolo italiano!”), mentre Gramsci, che pure a Lione era stato suo alleato nella lotta contro la Sinistra comunista, languiva nelle carceri del Duce e l’anno successivo moriva senza rivedere la libertà.

Tuttavia, qualche documento interessante il mostro lo offre, per chi sappia decodificare la vulgata opportunista. Una vera perla è un video in cui Giorgio Amendola racconta come, nel maggio del 1943, il Partito “Comunista” Italiano abbia cercato contatti con… la famiglia reale, per offrire la disponibilità dei “comunisti” ad appoggiare la defenestrazione di Mussolini e la formazione di un nuovo governo antifascista. Di nuovo, non si tratta affatto di un dettaglio di secondaria importanza, ma dell’ennesima prova che il Pci ha concordato con le forze capitaliste, comprese quelle più reazionarie, le mosse cruciali della gestione della guerra imperialista in Italia.

Che dire del resto? del dopoguerra, del “partito nuovo” togliattiano, della “legge-truffa”, del centrosinistra, del compromesso storico? Basti, come epitaffio e commento al tutto, una citazione a caratteri cubitali tratta da un discorso di Togliatti all’Assemblea Costituente: “La classe operaia italiana ha dato la prova di saper camminare sul solco aperto dal Conte Camillo Benso di Cavour”. Già, e di questo deve ringraziare proprio il quadrumvirato Gramsci-Togliatti-Longo-Berlinguer. Ma tutto ciò non ha proprio nulla a che vedere con il partito nato a Livorno novant’anni fa, nel gennaio 1921.

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°02 - 2011)

 

INTERNATIONAL COMMUNIST PARTY PRESS
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